Rottamare i politici
La classe dirigente italiana è invecchiata, provinciale, a sesso unico, autoreferenziale e conservatrice: è questa l’analisi di un recente rapporto della Luiss, che rispecchia una realtà che tutti conosciamo e condividiamo. Infatti, il 58% degli italiani è insoddisfatto dei propri rappresentanti politici e come potrebbe essere diversamente considerando che due leader su tre in Italia hanno più di 65 anni, solo il 17,2% sono donne e solo 1 su 10 di loro ha un titolo post-laurea. Gli italiani vorrebbero liberarsene (il condizionale è d’obbligo perché poi molti finiscono per votare il 74enne Berlusconi), ma non sanno come o non hanno il coraggio di farlo, e restano in attesa di una rivoluzione pacifica che non verrà mai (anche se, forse, servirebbe un nuovo ’68). Eppure basterebbe poco per cancellare con un colpo di spugna questi politici, i loro vassalli, valvassori e valvassini e sostituirli con giovani preparati, non compromessi, aperti a una cultura cosmopolita e non separatista e regionale come quella della Lega e soprattutto pronti a fare scelte coraggiose, anche se impopolari. Ma i giovani migliori sono costretti a fuggire all’estero da una politica ottusa che penalizza l’istruzione (vedi i disastri della Gelmini, che forse sarebbe più opportuno che si dedicasse a fare la mamma a tempo pieno) e marginalizza la ricerca e l’innovazione, una politica conservatrice non inserita in un’economia globalizzata. A pagare il prezzo più alto è come sempre il Mezzogiorno, quel Sud disprezzato dal ministro dell’economia, Tremonti per far felice la Lega di Bossi. Tra l’altro i cittadini e gli elettori del Pdl, fra cui molti esponenti politici e parlamentari (anche Azzollini?) cominciano a capire che Berlusconi è alla fine, la sua parabola discendente è già iniziata ed è tempo di cambiare politica e magari casacca. Del resto il populismo del premier non convince più soprattutto se i cittadini pensano che non sono loro a decidere quale politica fare e quali rappresentanti in Parlamento eleggere, perché con l’attuale legge elettorale, la “porcata” del leghista Calderoli (altro personaggio competente della nostra classe politica), a decidere chi va alla Camera o al Senato, premiando i servi, è lo stesso Berlusconi. Sì proprio quello che si appella alle decisioni del popolo a parole, ma poi decide lui nei fatti. Ora il re è sempre più nudo, soprattutto dopo la svolta di Fini che sta aprendo uno squarcio anche nei “segreti” del Palazzo, confermando quello che già scrivemmo sul numero precedente, cioè che il nostro sindaco-senatore-presidente si presta a fare il “gioco sporco” per Tremonti in cambio se non di una candidatura (difficile da ottenere) almeno della nomina a sottosegretario, per non andare subito in pensione (anche se questa è già maturata ed è considerevole). E così Azzollini propone emendamenti irricevibili (poi ritirati ed etichettati come “refusi”), come quello del versamento dei contributi pensionistici oltre i 40 anni o quello del blocco delle tredicesime, fino ai tagli dei contributi ai disabili. Ma anche il lodo Mondadori, come le cronache ci hanno informato è stato sostenuto dal presidente della commissione Bilancio del Senato, che costringeva i colleghi a firmare l’emendamento vergogna salva-azienda del premier che ha permesso alla Mondadori, di proprietà di Berlusconi, di avere un fortissimo sconto sulle somme dovute al fisco. Infatti, invece dei 350 milioni previsti, la casa editrice di Segrate verserà solo 8,6 milioni, appena il 5% del dovuto. Raccontano le cronache che grazie allo strappo di Fini, i suoi uomini si sentono liberi di parlare. E così abbiamo appreso che a tavola allo stand del ristorante di Mirabello, nella notte, circondato da un capannello di militanti, il senatore padovano Maurizio Saia ha raccontato l’incredibile vicenda dell’emendamento salva-Mondadori: “Eravamo in Commissione Finanze, arriva Azzollini, e mi mette sotto il naso un testo incomprensibile: Firma!”. E io: “Ma firma cosa? Non capisco di che si parla..”. E lui: Firma, firma!”. Saia legge, sente puzza di bruciato e non firma. Si trattava del famoso emendamento fiscale a favore della Mondadori. “Capito? Stiamo sbagliando tutto e mi volevano far firmare un provvedimento che faceva perdere soldi all’Erario. Gli ho detto: “Siete pazzi!”. Il racconto prosegue e l’uditorio cresce intorno al tavolo: “Arrivarono Gasparri e Quagliariello e incazzati neri mi dicono: ‘O firmi subito, o ti dimetti da relatore della legge! Fini è d’accordo... Se vuoi fare la politica devi avere pelo sullo stomaco!”. Il racconto di Saia si chiude con un colpo di scena: “‘Bè, non mi sono piegato. Dico: ‘Sono pronto a dimettermi anche subito, ma prima voglio parlare con Fini’. Riuscii a trovarlo al telefonino. Gli parlai. Non solo Berlusconi non gli aveva spiegato nulla! Ma mi raccontò che era ancora più arrabbiato - aggiunge Saia - perché da lui era andato Ghedini, che gli aveva mischiato le carte in tavola senza dirgli cosa c’era in quella norma...”. In ambienti romani “Quindici” aveva raccolto indiscrezioni attendibili su una possibile trattativa, intermediario il viceministro Adolfo Urso, finiano di ferro, per valutare l’ipotesi di un passaggio del sen. Azzollini nel gruppo dell’ex leader di An, nell’ipotesi di una mancata ricandidatura al Senato. Azzollini smentisce decisamente questa ipotesi e fa pervenire a “Quindici” una nota del suo ufficio stampa, con la quale dichiara fedeltà imperitura a Berlusconi. Ma la voce continua a circolare e la confermano anche ambienti vicini al sen. Amoruso. Inoltre, nel Pdl dopo la “rottura” finiana, il ministro Raffaele Fitto e il sen. Francesco Amoruso hanno acquistato più forza e il nostro senatore Azzollini, che con i due uomini politici non ha mai avuto un rapporto idilliaco, si sente sempre più il loro fiato addosso e appare isolato. Del resto un passaggio fra i finiani, per uno come lui, abituato a ben altre giravolte, dall’estrema sinistra alla destra berlusconiana, sarebbe ordinaria amministrazione e non meraviglierebbe più di tanto. Ma Azzollini, in caso di elezioni dovrà dimettersi anche da sindaco e trovare un sostituto non sarà facile, ora che il probabile successore Antonio Camporeale è stato già piazzato alla Regione. Per la carica di sindaco a Molfetta, sul fronte opposto, si prepara a candidarsi l’ex sindaco Tommaso Minervini che all’epoca guidò una giunta di centrodestra con Azzollini. Ora, tornato alla casa madre di sinistra con il partito di Vendola, Tommaso punta a una candidatura nel centrosinistra. Insomma, gira e rigira, sempre le stesse facce. Ecco perché sarebbe opportuna una bella rottamazione dei vari Azzollini, Tommaso e Guglielmo Minervini, per dare spazio ai giovani, una vera rivoluzione anche culturale, con la quale Molfetta, ancora una volta si riproporrebbe come laboratorio politico nazionale. Vedremo se saranno gli stessi ipotetici candidati a fare un passo indietro a favore di quei giovani che a parole tutti vogliono lanciare.
Autore: Felice De Sanctis