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Rivolta studentesca, non alla Legge Aprea: ieri sit-in a Molfetta. La voce degli studenti a Quindici
23 novembre 2012

MOLFETTA - «Se tutti si battessero soltanto secondo le proprie opinioni, la guerra non si farebbe mai» (Lev Tolstoj). È proprio con questa frase che si può descrive la battaglia che gli studenti delle scuole superiori stanno conducendo anche a Molfetta per salvare la scuola pubblica dal business che da oramai da troppo tempo la attanaglia. Tolstoj nella sua eloquente citazione parla di opinioni e, infatti, i ragazzi del Liceo Scientifico di Molfetta nella serata di ieri sono scesi in piazza per manifestare la propria opinione contraria all’approvazione da parte dell’esecutivo Monti del DDL 953, ovvero dell’ex legge Aprea (norma per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e statali).

Anche quest’anno, con l’inizio delle lezioni scolastiche, si è presentata la “tanto attesa” lista infinita di problematicità irrisolte che ogni giorno gravano sulla schiena delle migliaia di studenti e studentesse che abitano e vivono il mondo della scuola.

«Nonostante il crollo del governo Berlusconi tutti i cittadini ed io come studentessa avevano manifestato mille perplessità sull’avvento di un governo tecnico, ancor più se esso fosse, come effettivamente è accaduto, presieduto da un tecnico legato alle banche ed ai sistemi dell’alta finanza come Mario Monti - ha spiegato in esclusiva a Quindici Maria Fasciano, rappresentante d’istituto del Liceo Scientifico"Albert Einstein" -. Fin dall’ insediamento del nuovo governo sapevamo che i problemi non sarebbero stati magicamente risolti specie nel mondo della scuola ma che, al contrario, sarebbero peggiorati o nascosti come la polvere sotto i tappeti».

In questi giorni molti studenti sicuramente sui giornali nazionali leggevamo una frase che affermava che «una scuola di qualità ce la chiede l’Europa». La scuola di qualità la reclamano, invece gli studenti che ogni giorno sono costretti a vivere in una situazione di disagio e sofferenza il mondo del sapere, una situazione in cui le famiglie arrivano a spendere circa 1000 euro per comprare i libri di testo (il mercato dell’usato funziona fino ad certo punto a causa delle continue ed inutili nuove edizioni) in un periodo che è segnato da una crisi economica e sociale di proporzioni enormi.

Quello che i ragazzi chiedono è un’istruzione di qualità di fronte al fatto che viviamo una scuola in cui gli immigrati, siano essi di prima o seconda generazione, sono trattati in modo differente dai loro compagni autoctoni. Assistiamo a scene di discriminazione tra i banchi di scuola e questo succede perché non esiste un programma decentemente definito sull’integrazione all’interno dell’ambiente scolastico.

Questo, ovviamente, fomenta la nascita di movimenti discriminatori che vanno fermati con un programma serio di condanna di qualunque forma di razzismo e con un elevamento culturale che sia in grado di creare delle teste pensanti e non degli studenti passivi che vivono l’istruzione come un peso e non come una possibilità d’arricchimento culturale personale. Questi allievi stanno dimostrando di essere in grado di mobilitarsi su più fronti, sempre più convinti che il diritto allo studio sia un tema che guarda non solo all’arco di tempo che si passa seduti tra i banchi.

Il diritto allo studio è anche un trasporto di qualità, il diritto di frequentare degli istituti a norma senza il rischio di vedere altre vittime sotto i tetti delle aule, la possibilità di usufruire di spazi interni alle strutture scolastiche anche al pomeriggio, non solo per lo studio collettivo o aiutato ma anche come possibilità di costruire della socialità all’interno della scuola, degli spazi ricreativi che possano dare agli studenti spunti ulteriori anche al di fuori dell’orario delle lezioni, diritto allo studio è vivere in una società che mette al centro il sapere ed il futuro dei giovani e non il proprio tornaconto personale.

«Noi studenti essenzialmente chiediamo che vengano bloccati i finanziamenti alle grandi opere che gravano sui territori e sulle teste dei cittadini fornendo così la capacità di investire sull’istruzione, la ricerca, sull’inserimento delle energie rinnovabili all’interno degli istituti, sul mondo del lavoro, sulla sanità - ha continuato ieri sera Maria Fasciano, durante il sit-in di fronte al Liceo Classico di Molfetta -. Chiediamo che venga elaborato un programma all’interno delle scuole volto a favorire l’integrazione sociale e la cooperazione tra studenti di diverse culture. E’ per questa serie di motivazioni che stiamo scendendo in piazza».

La rivolta studentesca è contro il progetto di Legge Aprea perché creerà la differenziazione dei diritti degli studenti da istituto a istituto, sostituendo i Consigli di Istituto con Consigli delle Autonomie, aumentato enormemente il potere dei Dirigenti Scolastici e allo stesso tempo diminuito quello di studenti e insegnanti, e inoltre tagliando i finanziamenti destinati alla scuola. In questi giorni sicuramente questi giovani si stanno rendendo protagonisti attraverso manifestazioni, striscioni e cartelloni e pacifiche rivolte: la voce dei giovani ribelli di tutta Italia è nella nostra città sembra non essere ancora terminata.

Purtroppo, è necessario spiegare ai giovani i vari problemi in termini semplici e comprensibili. Ricordate nei Promessi Sposi la scena in cui Don Abbondio parla a Renzo in latino? Ecco, lui sa benissimo che il ragazzo non conosce la lingua eppure continua a farlo. Oggi chi governa o sta al potere utilizza molto spesso questa tecnica, quella di interloquire senza "comunicare". E se i giovani conoscessero realmente ciò in cui vanno incontro, cosa succederebbe?

 

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Autore: Andrea Saverio Teofrasto
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Al termine della seconda guerra mondiale si riproduceva quel fenomeno di accentuazione della forbice domanda-offerta di forza lavoro qualificata che si era avuto dopo la prima. Da un lato la guerra aveva lasciato l'economia nazionale in una situazione disastrosa, con un apparato produttivo piuttosto provato e con un tasso di disoccupazione che, nonostante il blocco dei licenziamenti, raggiungeva punte elevatissime. Dall'altro le scuole secondarie e le università, dopo la forte espansione registrata nel decennio della depressione economica, si erano ulteriormente gonfiate negli anni di guerra, analogamente a quanto era avvenuto nel 1915-1918. Per valutare adeguatamente questo processo di espansione dell'istruzione superiore basta riprendere in mano le tabelle di registrazione di quegli anni. Da essa risulta che l'Italia, dopo essersi portata nel decennio della depressione al terzo posto nella graduatoria dei paesi europei per numero di studenti universitari, aveva raggiunto nel 1948-49 il primo posto. Con un rapporto di 36 studenti universitari per 10.000 abitanti, essa superava infatti di forte misura anche la Svizzera e la Svezia, oltre alla Germania, la Francia, la Gran Bretagna, l'Olanda, il Belgio e naturalmente la Spagna. Al termine della guerra, dunque, le scuole secondarie e le università italiane gettavano sul mercato decine di migliaia di diplomati e laureati. In cinque anni, dal 1945 al 1950, uscivano dalle scuole secondarie circa 300.000 neo-diplomati. La produzione di laureati, che nella seconda fase del periodo fascista era stata in media di 11.000 unità all'anno, raggiungendo però la punta record di 19.000 unità nel 1939-40, subiva un fortissimo incremento. Nell'anno accademico 1945-46 uscivano dall'università ben 27.000 neo-laureati. Nel quinquennio 1945-1950 i neo laureati immessi nel mercato del lavoro erano circa 113.000. In questa situazione la disoccupazione intellettuale, riassorbita soltanto ne3gli anni di guerra, riesplodeva con più forza che mai. La gravità della situazione veniva denunciata già nel 1945 da Adolfo Omodeo, Ministro della Pubblica Istruzione nel governo Badoglio, il quale osservava che solo nei due atenei di Roma e naqpoli vi erano più iscritti che in tutta l'Inghilterra. “La piaga sociale – scriveva – è preoccupante. La guerra ha moltiplicato iperbolicamente la massa degli spostati che si orientano alle professioni liberali”. E un altro articolo prevedeva che “la crisi di sovrapproduzione di laureati che era già manifesta nel ventennio del fascismo si inasprirà per la rovina economica dell'Italia”.





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