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Ritratto sgangherato dell'italiano medio al voto
15 maggio 2013

Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge. Costituzione della Repubblica Italiana (Art. 48). Così la Costituzione Italiana, quella che qualcuno ha definito la più bella del mondo, nel suo obbiettivo programmatico a lungo raggio, poneva le basi per un sistema democratico puro in ossequio al primo articolo “la sovranità appartiene al popolo”. I grandi uomini classe 1900 mettevano nelle mani del popolo un potere inestimabile frutto della riscoperta democrazia, all’alba del primo vero suffragio universale in Italia: il referendum per scegliere la forma di stato (monarchia o repubblica). Pian piano, nel ricostruire il Paese devastato dalle macerie, a fatica gli elettori dell’epoca diventavano i mandanti delle classi politiche che si avvicendavano al comando della nazione. Mandanti spesso ignoranti, analfabeti che grazie alle radio ed alle televisioni scoprivano la lingua italiana, i loro diritti e l’importanza della scuola per alfabetizzare i figli e fargli comprendere le logiche di quel paese che si affannava a riprendere. Nei lontani anni ’70, a cavallo tra la strategia del terrore ed il boom economico, si insediava lentamente il virus del consumismo sfrenato, ispirato ai modelli capitalistici più deleteri che ci hanno portato a schizzare in cima alle classifiche internazionali in tutti i campi, che esaltavano l’apparire e non l’essere. Veniva alimentato il mito del bello, spesso accostato al a guadagno facile e veloce, che ci faceva apparire agli occhi del vicino un prototipo a cui assomigliare. Contemporaneamente come burattini, cadevamo lentamente nella spirale della pochezza intellettuale sintomatica del blocco della naturale crescita della consapevolezza di ciascuno di noi. In questo miscuglio pericoloso, proliferavano tra gli elettori figure simpatiche, ma sintomatiche. Un’anziana signora era convinta che sulla scheda si metteva la croce sul simbolo più odiato, quello del partito che si vuole eliminare: quindi da cinquant’anni mandava in Parlamento i comunisti. Una buona donna per non scontentare quanti le chiedevano il voto, puntualmente nelle oscure cabine elettorali, con parsimonia scriveva i nomi di tutti quelli che le si sono proposti. Un lombardo dok, dedito al lavoro nei campi, deluso dalla lega nord votava lega perché diceva che, lavorando sempre, non aveva mai avuto il tempo di informarsi sull’eventuale esistenza di altri partiti. Un giovane, comparsa pubblicitaria, aspirante attore, rifiutava di farsi etichettare come il classico giovane disimpegnato: aveva confidato agli amici che sarebbe andato a votare a torso nudo sperando che qualcuno lo notasse. Uomini, tanti, che annullavano il voto per protesta: le loro schede elettorali contenevano le scritte “tutti a casa ladri”. Uomini che gridavano ‘dov’è lo Stato?”, anche quando il cane faceva la pipi in casa: questo non votava per protesta, così per partito preso. Qualcuno affermava che in realtà, non votare è impossibile: si può votare votando, oppure votare rimanendo a casa e raddoppiando tacitamente il valore del voto di un irriducibile. Ambrose Bierce, nel Dizionario del diavolo, nel 1911, asseriva che il voto è il simbolo e strumento della facoltà che ha ogni libero cittadino di dimostrarsi uno sciocco e di rovinare il proprio paese. È questa la conclusione a cui 100 anni dopo siamo arrivati? O bisogna chiedesi se questi mandanti, milioni di elettori coperti dall’anonimato, questi che chiamiamo elettori burloni, rappresentativi a pieno titolo della nostra società, dove il voto di ognuno vale quanto quello di un premio nobel (per dirne uno), sono le pecore nere da sbeffeggiare o se sono l’emblema di ciò che il “potere” ha voluto che divenissimo. Una scuola precaria di docenti appassionati, precaria di contenuti educativi, precaria di strutture, precaria di denari, è il presupposto necessario ed essenziale per incentivare il perverso meccanismo del controllo inconscio della mente umana. Un meccanismo che affonda le sue radici nella notte dei tempi, di cui nessuno si è mai accorto o chi vedeva ha girato la testa dall’altra parte, facendo finta di nulla, magari per paura. Poi un bel giorno tra barzellette accattivanti e un po’ spinte, come d’incanto, il tempo del riso cedeva il passo alla rabbia perché il dio denaro sembrava avesse preso la tangenziale. C’è crisi. C’è crisi non solo economica, ma crisi di valori, crisi di identità. Ebbene, crisi in greco significa possibilità. La storia insegna che l’orlo dell’abisso è il preludio della rinascita. Allora se non vogliamo che questo paese si riduca ad un misero parco turistico, dobbiamo lasciare il passo alla rabbia che vede nell’ apparato Stato la sola causa dello sfacelo. Il male lo abbiamo portato dentro come una serpe in seno, alimentato ogni giorno col malcostume, con le cattive abitudini, illusi che tutto ciò che a fatica i nostri nonni avevano tirato su sarebbe continuato come sempre, ciechi dinanzi alle nostre stesse contraddizioni quotidiane. Ma, nonostante tutto, questi stessi personaggi gridano al cambiamento. Il cambiamento quello vero, se lo vogliamo, deve essere la linfa che deve scorrere consapevole dentro ognuno di noi, deve respingere le forme di controllo delle menti, manipolazione e ricatto, non farlo significherebbe tradire i nostri figli. Noi stessi dobbiamo essere protagonisti del cambiamento nel quotidiano, prima di chiederlo ai nostri rappresentanti. Solo così facendo, ai nostri nipoti un giorno potremmo raccontare: c’era una volta una signora che votava comunisti per cacciarli dal Parlamento e poi terminare con il fatidico “vissero tutti felici e contenti” che annuncia il lieto fine della favola. Buon voto Molfetta.

Autore: Rebecca Amato
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