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Ritratto di Anna Rita Spezzacatena La pittrice molfettese recentemente scomparsa
15 luglio 2004

Fabbrica di San Domenico. Corridoio al piano superiore. Una teoria di visi che ti scrutano. Sono le 'facce del potere' (nella foto), espressione di una delle più intense stagioni dell'esperienza pittorica di Anna Rita Spezzacatena. Erano 'gli anni di piombo'. Dell'inquietudine sociale. “Ho rappresentato l'arroganza e il livore del potere con facce abnormi, a volte repellenti e con atteggiamenti ora compiacenti ed ora minacciosi...” Percorro il corridoio. Mi colpiscono i colori dei volti. Paiono di pietra; se talora non richiamassero alla memoria, qua e là, in qualche dettaglio, lineamenti di taluni personaggi della politica di quegli anni, si potrebbero comparare a figurazioni golemiche o all'eredità del celeberrimo 'Convitato di Pietra', poi sfociata nel Commendatore del 'Don Giovanni'. Segni distintivi ne sono gli occhiali, raramente assenti, che, in simbiosi con gli occhi, delle volte ne occultano totalmente la presenza, conferendo all'insieme un che di mostruoso. Le bocche? Ora spalancate in un ghigno detestabile, a mostrare dentature scintillanti, che, talvolta, rassomigliano a zanne di fiera o sembrano evocare fenomeni di vampirismo, ora quasi suggellate, in un tutt'uno appena distinguibile con naso e filtro. E poi occhi senza ciglio, grandi e apparentemente placidi o piccoli a fessura, crepitanti, mani con sei dita, zone appena abbozzate, a conservare un che di indefinito. O l'urlo di una figura femminile, che si avvita su se stessa, oppressa da una cappa di angoscia non esorcizzabile. Anna Rita Spezzacatena è scomparsa un paio di settimane fa. Era nata nel '42. Del suo percorso creativo, del suo amore per l'arte, (iscritta, per un curioso segno del destino, nel suo nome) manifestatosi nell'insegnamento secondario e nell'attività pittorica, restano suggestive monomanie. Gli 'occhi', vera e propria ossessione, ulteriore parcellizzazione di un'analisi prima esemplata nei volti; Molfetta, il rimpossessarsi della propria terra, scorta dopo l'auto-esilio fiorentino nella 'luce tremula del pianto' o poi riprodotta in immagini 'irrigidite in masse geometriche'. Poi la malattia. I 'santi'. Non pallidi come quelli del Cinin di Santagata, ma 'dagli occhi assenti' come li descriveva la pittrice stessa. Ieraticità lontana dal tormento dell'uomo; tutt'altro che semplice incursione nei meandri del folklore locale. Al quietarsi momentaneo del 'drago' i fiori, delicati, simbolo della vita riacquistata, quella che si è poi sprigionata anche nei paesaggi. Rivelatori, questi ultimi, secondo Giovanni de Gennaro, della capacità della Spezzacatena di utilizzare 'una straordinaria varietà di forme e colori per un tema che sembra identico', non 'paesaggi romantici e accattivanti', ma 'studi e ricerche su luce e colore', come scrisse Lorenzo Palumbo. Il suo percorso si è intrecciato con quello di Ida Caradonna, con cui condivideva lo Studio in Via Margherita e un ardore di sperimentazione mai pago. Il gusto di viaggiare... Gli amici le ricordano partire coi sacchi a pelo verso le mete più disparate, come due avventuriere d'altri tempi. Alla ricerca l'una di nuove forme da trasfigurare sulla scia delle suggestioni più disparate, dai monoliti di Kubrik alle sfere alla luna, l'altra, forse, di nuovi paesaggi in cui far traboccare la propria anima. Mari su cui, sull'azzurro intenso delle acque, le cui tonalità si distinguono per profondità di colore da quelle del cielo, si riflettono costruzioni con riflessi dorati. Montagne in lontananza, tramonti dai colori bellissimi... Con gli occhi spalancati a contemplare lo spettacolo dell'universo. Gianni Antonio Palumbo gianni.palumbo@quindici-molfetta.it
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