Reddito di cittadinanza, primo compleanno
Bilanci e novità del discusso provvedimento in vista della seconda edizione
Si avvicina il primo compleanno del Reddito di cittadinanza, la riforma nata come garanzia di un sussidio minimo per chi è privo di risorse sufficienti atte a coprire i bisogni della vita quotidiana. Nonostante conservi diversi difetti d’origine, è giunto però alla sua seconda “edizione”. Centri di assistenza fiscale presi nuovamente d’assalto, dati Isee richiesti fin dai primi giorni dell’anno. È ora di fare il punto della situazione in vista della presentazione delle domande aggiornate. A partire da questo mese, infatti, sia coloro che faranno domanda per la prima volta, sia chi già gode del sussidio, dovranno consegnare la documentazione necessaria presso i front office dei Caf. Le dichiarazioni presentate a partire da gennaio riceveranno il visto di conformità dall’Inps entro 10 giorni lavorativi. Gli anni presi in considerazione rimangono i due precedenti in modo tale da evitare i soliti furbetti che hanno pensato di svuotare nell’ultimo anno i propri conti in vista delle dichiarazioni. La più grossa novità è rappresentata dal modello precompilato, rilasciato dall’Inps, la cosiddetta Dsu (dichiarazione sostitutiva unica) che costituisce la base di lavoro dell’Isee. La Dsu sostituisce la classica compilazione del modello assieme agli esperti del Caf e lascia come unici dati autocertificati quelli anagrafici. Per intenderci, il reddito Irpef 2018 (Cud 2019), il canone di locazione della casa di abitazione, le informazioni sul patrimonio immobiliare e mobiliare, eventuali sostegni assistenziali, previdenziali e di indennità, la giacenza media dei conti correnti e i beni patrimoniali sono tutti, quindi, forniti da Agenzia delle entrate e Inps attraverso un controllo automatico. I cittadini possono scegliere tra il classico modello e la Dsu. Coloro i quali, invece, hanno usufruito del reddito di cittadinanza avvalendosi solo dello sportello postale saranno obbligati a ricorrere all’aiuto dei Caf, in quanto non hanno alcuna forma diassistenza sulle variazioni introdotte. Ma in quale misura, fino a questo momento, si può dire che il Reddito di cittadinanza ha espletato la sua funzione? In attesa del nuovo Rapporto Inps, i dati dell’Anpal (Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro) riportano che, al 10 dicembre, sono 28.763 – su un totale di 791.351 avviabili all’attività lavorativa – le persone che hanno avuto un contratto di lavoro dopo aver ottenuto il reddito di cittadinanza. Per quanto riguarda la formalizzazione contrattuale, l’Agenzia registra che dei 28.763 che hanno trovato lavoro il 67,2% ha un contratto a tempo determinato, il 18% a tempo indeterminato, il 3,8% in apprendistato. Di questi il 67,9% ha un’età inferiore ai 45 anni, il 58,6% sono uomini e il 41,4% sono donne. Entro gennaio, pare, partirà anche la fase di politica attiva di ricollocazione. Finora, per quanto riguarda la figura del Navigator, i compiti svolti dai 2.366 contrattualizzati nell’ottobre 2019 si sono concentrate nel supporto agli operatori dei centri per l’impiego nella convocazione di 109.709 beneficiari del reddito di cittadinanza e nell’assistere gli operatori dei Cpi nella gestione del primo appuntamento e dei colloqui orientativi di 33.110 beneficiari. Dall’altra parte, però, è stato reso noto che oltre 100mila beneficiari, a partire da gennaio 2020, rischiano di perdere il diritto al reddito di cittadinanza. Moltissimi di loro, infatti, non si sono presentati alle suddette convocazioni dei Cpi, aspetto che vede per legge la disattivazione delle card fino alla perdita del beneficio non dovessero presentarsi nemmeno alla terza chiamata. Sul Reddito di cittadinanza si è aperto da qualche tempo un difficile confronto. Quel che è certo è il bisogno di migliorare alcuni degli aspetti cardine della riforma. Prima di tutto, alleggerire le aspettative sia in chiave obiettivi (non dimentichiamo, infatti, la sua definizione di “misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro) assegnati negli altri Paesi a un più ampio ventaglio di politiche, sia in chiave importi, dimenticando la famigerata somma mensile di 780 euro colpevole di aver ristretto i margini di manovra per la cosiddetta «scala di equivalenza», in base alla quale calibrare l’ammontare della prestazione tenendo conto dei familiari. Di fondamentale importanza è poi la riflessione che va fatta sull’aspetto dell’inserimento al lavoro grazie ad una più profonda analisi tra domanda ed offerta, per evitare il rischio che gli «avviabili» si trasformino da poveri in cerca di lavoro a lavoratori poveri e precari. In conclusione, è difficile solo dopo un anno di vita promuovere o bocciare la riforma del Reddito di cittadinanza. In attesa del prossimo rapporto Inps che saprà sicuramente dirci qualcosa in più, l’auspicio è che tutto sia improntato davvero sulla costruzione di interventi volti a incidere positivamente ed a lungo termine sui cittadini. © Riproduzione riservata
Autore: Daniela Bufo