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Quella dannata abitudine di sfidare la morte
31 agosto 2008

MOLFETTA - In questi giorni tormentati anche un gesto meccanico come mettersi al volante può portare pensieri. Se i continui inviti alla prudenza delle campagne ministeriali sugli incidenti stradali ci stimolano solo riflessioni veloci e passeggere, all'indomani di tragedie come l'ultima accaduta a Molfetta, i pensieri galleggiano in mente per più tempo e ci tormentano. Ci si interroga sulle dinamiche, coinvolti dai “sentito dire”, si maledice il destino infame e volubile, o magari si preferisce razionalizzare, dando al fato un nome e cognome e maledicendo la pessima abitudine di sfidare la morte. La verità è che di certe dinamiche non si potranno mai sapere i dettagli, del destino infame nessuno ha le prove, e dalla sfida lanciata alla morte ci si può salvare solo per caso, testa o croce. E sempre in questi giorni di coscienze più sensibili, ci si mette al volante con un nuovo e fugace spirito di osservazione, che dura il tempo di un dolore, ma che affina l'osservazione. A quanto pare, della sfida alla morte ci sono testimonianze numerosissime e continue, con in cima alla classifica quell'insensato fenomeno che produce l'uso “creativo” del casco su motorini leggeri, quelli usati dagli adolescenti per di più. Ad uno sguardo attento e preoccupato pare che si possa, con orrore, classificare un Prêt-à-porter idiota del suddetto casco: c'è chi lo inforca col braccio a mo' di borsetta, chi lo cede al compagno di sella perché gli pare che anche solo uno indossato sia sufficiente. Chi lo indossa senza legarlo sicuramente ha il problema di mantenere intatta la capigliatura, con la variante importante che consente di legare il casco alla sommità della testa o quella più sbarazzina che lo adagia alla base del collo, col laccetto che fa da collanina. Spesso, poi, un po' per pudore e un po' per abitudine, si decide di non contarli nemmeno quei mini centauri totalmente privi di protezione; ma se ci si ferma a pensare, seppure in quel minuto di attesa ad un semaforo rosso, e proviamo a guardare negli occhi il proprietario del motorino che ci si è fermato accanto, in un battito di ciglia si può realizzare che una banale caduta senza casco può essergli fatale. E allora sarebbe bello che ci venisse quell'istinto immediato e primordiale di abbassare il finestrino, di chiamare il ragazzino con un fischio e indicargli con l'indice la testa. “Tanto sei bellino lo stesso, anche coi capelli piatti”.
Autore: Alessia Ragno
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