“Quell’odore di mastice fece di me un’artigiana dalle mani d’oro”
Sono nata il 19 luglio 1931 ma dichiarata il 23 luglio. A quei tempi si pativa la fame e dimostrare di avere figli più piccoli della reale età, significava ricevere maggiori quantità di cibo. Mi chiamo Giovanna Murolo, vedova di Ignazio Samarelli. La signora Giovanna ci accoglie nella sua casa che profuma di ordine, di pulito, di lei. I suoi occhi chiari e limpidi dichiarano la sua onestà ma non la sua età, manifestano una giovinezza e vivacità che contraddicono gli atti ufficiali di nascita. Ultima esponente di una classe artigiana che scompare inevitabilmente, che merita di essere raccontata e raccontare la sua vita è raccontare un pezzo di storia di quella Molfetta pulita, operosa e grata per i frutti del proprio lavoro. Giovanna attualmente ripara per hobby borse, scarpe e capi di pelle. Circondata da una splendida famiglia, vuole continuare a mantenersi attiva e continua con una passione che prima era il suo lavoro. Signora Giovanna, come ha iniziato? «Sono sempre stata ribelle, “pazzaredd”, non volevo studiare ed in quarta elementare lasciai la scuola. Prima di otto figli con un padre contadino, non ci si poteva permettere di far stare un figlio a casa e mia madre mi portò da una maestra ricamatrice che mi insegnò il tombolo. Rimasi fino ai dodici anni e pur riuscendo a realizzare dieci metri di merletto, sentivo che era un mestiere che non mi apparteneva, non mi piaceva. Finiti i merletti scappavo da una signora che cuciva tomaie, mi piaceva l’odore del mastice e la pregavo di far “provare” la cucitura alla macchina. Ma ero piccola, minuta e dovevo mettermi in punta di piedi per azionare la macchina. La signora mi “invitava” ad andare a giocare. Vista la mia ostinazione, mia madre mi portò da una rivettatrice dove rimasi un anno, senza essere pagata, per imparare il mestiere, una maestra che cuciva tomaie per conto di altre persone. Un giorno un uomo mi chiese se volessi andare a lavorare con lui. “Quanto mi date?” chiesi. Volevo essere d’aiuto alla mia famiglia. Dopo un mese portai a casa 150 lire. Mia madre mi portò dal maestro chiedendo la provenienza dei soldi, pensando che io li avessi sottratti a qualcuno e ricevute le spiegazioni, mi riportò a casa e mi permise di continuare a lavorare. Facevamo tomaie per una officina che lavorava per la Rizzoli Ortopedia, poi il maestro dichiarò fallimento e a 16 anni mi ritrovai disoccupata. Lavoravo in casa, ma nessuno mi conosceva. Un giorno andaii dal parrucchiere dove una lontana parente mi disse che il signor Gianni Porta (Jeannot) cercava lavoratrici per la propria bottega. Ho lavorato per il signor Porta dal 1947 al 1958 fino a diventare responsabile di reparto. Lavoravo in bottega e tornata a casa continuavo a lavorare per clienti privati e negozi come Bottier, Cippone, Sasso, Pansini. Ho lasciato l’azienda Porta quando mi sono sposata, per crescere i figli, ma ho continuato a lavorare a casa». Quale è stato l’atteggiamento di suo marito verso il suo lavoro? «Io e Ignazio siamo stati sposati per 55 anni e 3 mesi. E’ stato sempre comprensivo e collaborativo. A volte mi sentivo in colpa perché, per poter consegnare nei termini un lavoro, non riuscivo a preparare il pranzo. Ignazio mi rassicurava e si adoperava lui in cucina». La signora Giovanna è stata anche un’abile “restauratrice” di indumenti in pelle. La nuora, la signora Enza ricorda un episodio. Era fidanzata con il figlio di Giovanna e indossava un capo di pelle appena acquistato. Malauguratamente il capo in pelle si lacerò. Enza non aveva il coraggio di confessarlo a sua madre e lo consegnò alla signora Giovanna perché lo riparasse. L’“intervento” riuscì talmente bene che nessuno mai si accorse dello strappo. Oltre a ricevere commissioni da parte di negozi, a Giovanna erano commissionati lavori da privati cittadini. Un noto giudice di Molfetta, dopo aver esaminato un lavoro eseguito per lui, affermò che la signora Giovanna fosse molto più intelligente di lui. La signora, molto rispettosa verso tutti ma vivace e curiosa, chiese il perché di questo complimento, secondo lei immeritato. Il giudice le rispose “Perché la sua intelligenza è del suo cervello che lei fa funzionare. La mia è quella di chi ha studiato, è una intelligenza che deriva dai libri”. Oggi Giovanna continua, per hobby e per amore, a creare borse e a riparare capi che altrimenti andrebbero buttati. La vita, la guerra, le ha insegnato a riparare, a cercare il buono anche quando, sembra improduttivo riparare, quando altri penserebbero di buttare ciò che non appare più utile. Eccola questa ragazza dagli occhi vispi, chiacchierona, spiritosa, ribelle, indipendente, sorridente e bella, molto bella. Mi chiamo Giovanna Murolo, sono nata a Molfetta il 19/07/1931 ma dichiarata il 23. Ogni giorno guardo il Crocifisso e rendo grazie al Signore perché la mia vita è un premio. E’ questa è la mia storia. Storia di una donna moderna. © Riproduzione riservata
Autore: Beatrice Trogu