Quei quarantamila fedeli in paziente attesa dalle prime luci dell’alba
Alle 3.00 del mattino le vie della città erano già in fermento. I più di duecento volontari si apprestavano a partire da Piazza Cappuccini per raggiungere ciascuno la propria postazione. Una moltitudine di fedeli attendeva ai dieci varchi d’accesso alla zona rossa, presidiati dalle forze dell’ordine. Affluivano anche i primi gruppi provenienti da altre città, per esempio, dall’area della BAT. La gente si salutava lietamente senza neppure conoscersi. Sembrava strano poter circolare per le strade di Molfetta a quell’ora insolita, senza il timore di imbattersi in teppisti o in combriccole di giovinastri avvinazzati e/o incivili, cosa che invece avviene non di rado anche durante le ore del giorno. Unico neo il vento (maestrale?, si diceva); alcuni disabili (e non solo), giunti già prima dell’alba, hanno particolarmente patito questa situazione. Non tutti erano debitamente attrezzati con coperte. C’è da dire che sin dal primo momento, il piano di sicurezza, frutto della cooperazione tra Amministrazione Comunale, Prefettura, Questura e Gendarmeria Vaticana, s’è dimostrato validamente congegnato e condotto. Non si sono verificati disordini; solo qualche mugugno per il fatto che singoli fossero introdotti nella zona rossa in maniera diretta, senza esser sottoposti alle code. Il più delle volte, peraltro, si trattava di volontari o membri dello staff, ma questo, di certo, chi protestava per aver atteso da un’ora o più non poteva o non voleva considerarlo. Ben presto i settori si sono andati riempiendo, almeno nell’area immediatamente adiacente il palco. Quest’ultimo faceva un bellissimo effetto: l’albero d’ulivo, la croce stupenda a sormontare l’altare di un giorno, il simulacro della Madonna dei Martiri in attesa di ricevere la rosa d’oro fatta fondere per volontà dei Frati minori. La surreale atmosfera di un “avvento notturno”. La città appariva di una bellezza struggente, quella che poeti e scrittori del secolo scorso hanno tratteggiato con pennellate efficaci, quasi mitizzando il borgo antico, le strade pronte ad animarsi delle armonie del “padiglione della musica”, la nobile cortesia di una generazione che gradualmente si è andata spegnendo. Il venti aprile, Molfetta ha mostrato il suo volto più bello: la Villa comunale un tripudio di decorazioni floreali, le vetrine dei negozi inghirlandate dalle parole di don Tonino, la gente silenziosa e composta, solo di rado vanamente berciante. È questa la città che vorremmo e questo è stato l’ennesimo dono di mons. Bello a Molfetta. Emozione c’è stata già quando i maxischermi hanno trasmesso i momenti della tappa di papa Francesco ad Alessano. La lunga “sosta orante” – come l’ha definita il vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca, mons. Vito Angiuli – sulla tomba di don Tonino e il superbo discorso sul Salento e la frontiera non meramente come finis terrae, ma quale fecondo luogo di incontro, perché il Mediterraneo possa diventare un’“arca di pace”. Un discorso attualissimo nell’epoca in cui il Global Peace Index del Vecchio Continente ha subito un decremento, probabilmente anche in virtù del montare, un po’ in tutta l’Europa, di populismi. Ideologie che cavalcano il risentimento e fanno leva sugli istinti deteriori della gente, mostrando l’immigrato come un pericolo, un Giano bifronte dietro il quale possa celarsi un potenziale terrorista. I migranti sono una risorsa e la Chiesa contempl-attiva tanto amata da mons. Bello non può che farsi banditrice e attuatrice di questa verità. Perché “una Chiesa che ha a cuore i poveri rimane sempre sintonizzata sul canale di Dio, non perde mai la frequenza del Vangelo”. Ritto e curvo al contempo dinanzi a quella tomba che “non si innalza monumentale verso l’alto”, ma “è tutta piantata nella terra” (e come poteva essere diversamente, trattandosi di don Tonino?), il Pontefice ha lanciato il suo sommesso e vibrante appello a “vivere il Vangelo senza sconti”. A non cedere all’elegiaca tentazione di limitarsi a ricordare il dono della presenza di chi sapeva “sognare con audacia”, “decentrare la propria esistenza per metterla al servizio”: “Imitiamo don Tonino, lasciamoci trasportare dal suo giovane ardore cristiano”. Terminata la visita ad Alessano, il Pontefice si apprestava a ripartire. L’avevano accolto oltre ventimila persone nella terra natale di Mons. Bello. Ad attenderlo a Molfetta quarantamila fedeli… © Riproduzione riservata
Autore: Gianni Antonio Palumbo