Nel vestibolo del Liceo Classico di Molfetta, sulla scalinata, c’è una lapide di marmo bianco, che sulla base lobata reca questa iscrizione: «QUI TEMPRARONO LE LORO ANIME / AL CULTO DELLA PATRIA / GLI STUDENTI EROICI CADUTI / MCMXV - MCMXVIII». Osservando la lapide, tra una teda accesa e un gladio avvolti da rametti e foglie d’alloro aggettanti rispettivamente nel margine sinistro e destro di chi guarda, sotto un libro appena appena dischiuso, un volume serrato e una pergamena srotolata posti superiormente in altorilievo, appare una lastra con due gruppi di nominativi. Il gruppo superiore porta in ordine alfabetico i nomi di nove ex liceali: BARILE GAETANO / DE DONATO DIEGO / DE TOMA SALVATORE / DE VENUTO MICHELE / GALEPPI GIUSEPPE / LEZZA GIUSEPPE / MARZOCCA MAURO / POLI F. PAOLO / ROTONDO GIUSEPPE. Il gruppo inferiore aggiunge alfabeticamente i nomi di altri quattro ex studenti: AZZOLLINI MAURO / LABOMBARDA ANGELO / MANTELLI MAURIZIO / MASTROPASQUA FILIPPO. Per la fede nei propri ideali e per l’estremo sacrificio della propria vita, quei giovani eroi meritano almeno il conforto postumo di qualche scarno cenno biografico. Gaetano Barile di Giuseppe nacque a Terlizzi il 1° dicembre 1895. Era sottotenente di complemento nel 142° reggimento di fanteria della brigata “Catanzaro”. Morì sul Monte Fortin, non molto lontano da Gorizia, il 30 aprile 1916. Diego De Donato di Michele e Luisa De Ruvo vide la luce a Molfetta il 27 febbraio 1898. Era sottotenente di complemento nel 1° reggimento Genio zappatori. Perì il 3 luglio 1918 allo sbarramento di Merlo in Valbrenta. Salvatore De Toma di Vincenzo nacque ad Andria il 20 aprile 1896. Era sottotenente di complemento nel 9° reggimento di fanteria della brigata “Regina”. Cadde il 12 agosto 1916 a Oppacchiasella (Opatje Selo, in Slovenia) durante la sesta battaglia dell’Isonzo. Fu decorato con medaglia d’argento al valor militare. Michele De Venuto di Arcangelo nacque a Giovinazzo il 13 gennaio 1894. Era tenente in servizio attivo nel 90° reggimento di fanteria della brigata “Salerno”. Morì presso la trincea di Nad Bregom sul Carso il 23 maggio 1917 durante la decima battaglia dell’Isonzo. Fu decorato con una medaglia di bronzo e una d’argento al valor militare. Giovinazzo gli ha intitolato una via. Con Galeppi si coglie il primo errore sulla lapide, forse dovuto a chi ha compilato o ricopiato la lista degli ex liceali caduti da consegnare al lapicida incaricato. Infatti non di Giuseppe si tratta, ma di Michele e più estesamente Michelangelo Galeppi, nato il 23 luglio 1893 a Monte Sant’Angelo dal molfettese Vito e da Angela D’Errico. Tenente della Milizia Territoriale, fu inquadrato nel 121° reggimento di fanteria della brigata “Macerata”. Spirò a Oppacchiasella il 14 agosto 1916, durante la sesta battaglia dell’Isonzo, per le ferite riportate il giorno precedente in un’azione che gli meritò la medaglia d’argento al valor militare. Molfetta gli ha dedicato una strada. Un’altra manchevolezza riguarda il giovane successivo, che nelle fonti militari non ha per nome Giuseppe Lezza, ma Nicola Lezza, nato a Câmpina in Romania il 3 ottobre 1896 dall’architetto e costruttore molfettese Luigi e da Maddalena (o Elena) Zanardi. Era sottotenente di complemento nel 6° reggimento bersaglieri della I brigata. Cadde sul Monte Vodice il 28 maggio 1917 durante la decima battaglia dell’Isonzo. Molfetta gli ha intitolato una via (v. Nicola Lezza, eroe italo-romeno di Molfetta, in «Quindici», n. 4, 15 aprile 2017). Gli altri nominativi sono esatti. Mauro Marzocca di Saverio e Natalizia Minervini nacque a Molfetta il 17 aprile 1896. Era sottotenente di complemento nel 128° reggimento di fanteria della brigata “Firenze”. Morì il 22 agosto 1917 nell’assalto al Fortino Rutarsce nell’altopiano della Bainsizza, colpito alla fronte dalla raffica di una mitragliatrice annidata in una grotta. Fu decorato con medaglia d’argento al valor militare. Molfetta gli ha dedicato una strada. Francesco Paolo Poli di Giambattista e Maria Lucia Ventura vide la luce a Molfetta il 30 novembre 1896. Era tenente in servizio attivo nel 13° reggimento bersaglieri. Andato in avanscoperta, perì il 21 maggio 1918 presso la testa di ponte di Capo Sile sul Piave, colpito da una pallottola di shrapnel. Fu decorato con medaglia d’argento al valor militare. Gli è stata dedicata una strada di Molfetta e intitolato lo stadio “Paolo Poli”, il cui campo da gioco fu inaugurato nel marzo del 1922. Giuseppe Rotondo di Francesco e Giovanna Allegretti nacque a Molfetta l’8 aprile 1896. Era sottotenente di complemento nel 220° reggimento di fanteria della brigata “Sele”. Risultò disperso in combattimento tra il 26 e il 28 ottobre 1917 nel ripiegamento verso il Piave, durante la battaglia di Caporetto. Il secondo gruppo di nominativi fu aggiunto sulla lapide successivamente al 1922 per quattro caduti con un ordine alfabetico proprio, indipendente dal gruppo superiore. Mauro Azzollini di Vincenzo e Teresa De Candia nacque a Molfetta il 18 gennaio 1893. Era soldato del 138° reggimento di fanteria della brigata “Barletta”. Perse la vita il 27 giugno 1916 sul Monte Zebio nell’Altopiano dei Sette Comuni durante una controffensiva italiana. Angelo Labom-barda di Luigi e Chiara Catanzaro nacque a Giovinazzo il 12 maggio 1896. Era sottotenente del 4° reggimento di artiglieria da fortezza. Per ferite riportate in combattimento, spirò il 25 giugno 1917 nell’ospedaletto da campo n. 085 dislocato a Cittadella, località di Pergine Valsugana. Maurizio Mantelli di Augusto e Marina Mastandrea nacque a Molfetta il 2 febbraio 1897. Figlio di un ufficiale dei carabinieri, era sottotenente di complemento nel 6° reggimento bersaglieri, lo stesso di Nicola Lezza. Morì il 24 maggio 1917 nella 3a sezione di sanità in séguito alle ferite riportate sul Monte Vodice. Filippo Mastropasqua di Giuseppe e Isabella Panunzio nacque a Molfetta il 21 marzo 1897. Era soldato del III battaglione ciclisti del 3° reggimento bersaglieri. Per le ferite subite in combattimento, spirò il 23 ottobre 1915 ad Aquileia nell’ospedaletto da campo n. 093 installato nella Villa Prister in località Sant’Egidio. Esaurita la lista epigrafica, si può fare ora qualche considerazione. Filippo Mastropasqua fu il primo ex studente falciato dalla Grande Guerra fra tutti gli ex liceali riportati nella lapide. Aveva appena diciotto anni. Anche gli altri caduti erano giovanissimi. La loro età oscillava fra i venti e i ventitré anni. Possiamo credere senza ombra di dubbio che diversi di loro si trovavano tra gli studenti interventisti che il 13, 14 e 15 maggio 1915 manifestarono a Molfetta per l’entrata in guerra dell’Italia (v. Molfetta e l’Italia nel 1915, in «Quindici», n. 6, 15 giugno 2015). Purtroppo, tra gli ex liceali entrati nella carriera militare o partiti volontari per il fronte o crudelmente strappati alla scuola, gli ex studenti caduti nella prima guerra mondiale furono parecchi di più di quelli elencati nell’epigrafe commemorativa, alcuni anche più noti ma più anziani, che studiarono nel Collegio-Seminario di Molfetta, come il maggiore Giacomo Mazzara (1873-1916, una medaglia di bronzo e una d’argento), il capitano Domenico Picca (1882-1916, medaglia d’oro), il cap. Tommaso De Candia (1882-1916, due argenti), o più giovani, che si formarono nel Liceo- Ginnasio di Corso Umberto I, come il cap. Gaspare De Gennaro (1890-1916, un argento e un bronzo), il ten. Umberto Magrone (1890-1915, un bronzo, capitano post mortem), il cap. Michele Carabellese (1891- 1918, un argento e tre bronzi) e il sottoten. Giovanni Pappalepore (1895-1917, un bronzo). Perché allora sulla lapide non risultano altri nomi di ex studenti morti in guerra, almeno altrettanto giovani? Perché l’iniziativa non partì dalla presidenza del Liceo- Ginnasio, nel 1922 retto dal dott. Nicola Matera, ma dagli studenti universitari promotori della commemorazione, cui si aggregarono alcuni congiunti dei caduti ed ex liceali, che contribuirono materialmente all’acquisto del marmo occorrente per la lapide, pur con gli errori anagrafici segnalati. Possiamo inoltre chiederci: chi educò quei giovani al culto della Patria tra i banchi di scuola? Al di là delle esaltanti pagine storiche e letterarie sui fasti di Sparta, Atene e Roma, al di là dei passi scelti di Dante, Petrarca, Machiavelli, Parini, Alfieri, Foscolo e Mazzini, al di là delle pagine impregnate di cultura e retorica risorgimentale veicolate dal Corso di storia generale di Costanzo Rinaudo, in uso anche nel Liceo di Molfetta, e segnalate dalle Letture del Risorgimento italiano di Carducci, disponibili sin dal 1896-97, e da tanti altri libri e articoli, un ruolo di primo piano fu rivestito dai docenti. Del resto tutto lo svolgimento della cultura italiana postunitaria legittimava e spiegava l’adesione quasi unanime degli intellettuali alla guerra per ragioni politiche. Nelle aule della Scuola Tecnica uno dei più accesi interventisti fu il prof. Mauro Poli, calligrafo e disegnatore, che, sulle orme di d’Annunzio, deprecò «l’opera infame e diabolica» del neutralista Giolitti e inneggiò con veemenza alla guerra. Poli, inoltre, scrisse il bozzetto drammatico in due atti Per la patria, rappresentato nel Politeama Sociale di Molfetta nell’ottobre del 1915. Toccherà poi al reduce sanseverese Luigi Schingo scolpire nel 1923 una lapide marmorea per sei giovani caduti in guerra educati nella Scuola Tecnica di Molfetta rinominata Scuola Complementare. A loro volta, dalle cattedre del Liceo-Ginnasio interagivano professori dotti e appassionati, come quel Francesco Francavilla di San Ferdinando di Puglia che appoggiò Salvemini nelle elezioni del ’13 e nelle «radiose giornate» di maggio del ’15 arringò di fronte al Liceo gli studenti di una dimostrazione interventista. Quel professore di belle lettere del ginnasio superiore aveva al suo attivo Alcune osservazioni sulle due edizioni dell’Orlando Furioso pubblicate dall’autore l’una il 1516, l’altra il 1532, stampate a Isernia nel 1902; la conferenza Sul romanzo, lavoro di Emilio Zola, apparsa a Palmi nel 1903, e una Spigolatura leopardiana, uscita nel 1907 a Molfetta dai torchi del tipografo-editore Michele Conte. Francavilla verrà meno di lì a poco, il 1° aprile 1923, a 49 anni e il prof. Luca Claudio ne terrà l’orazione funebre. Un altro docente influente presso gli alunni fu Domenico Magrone (1860-1934), professore di materie letterarie nel ginnasio inferiore, ostile a Salvemini nelle votazioni Pugliese come autore di studi storici sul comune molfettese e curatore della trascrizione del codice recenziore del Libro Rosso di Molfetta, data alla luce in tre volumi nel 1899, 1902 e 1905 dall’editore Valdemaro Vecchi in Trani. Sarà lui che nel 1928 pronuncerà nel Liceo- Ginnasio, da un anno intitolato al “Principe di Piemonte”, il discorso per l’Inaugurazione dell’aula dedicata agli studenti caduti nella Grande Guerra, ricordando solo De Donato, Lezza, Marzocca e Rotondo degli studenti presenti sulla lapide, ma aggiungendovi gli ex liceali Vincenzo Francavilla di San Ferdinando (1887-1916) e Vincenzo Marcolongo di Manfredonia (1892-1915) insieme ai molfettesi Giacomo Ciccolella (1881-1916), Tommaso De Candia, Domenico Picca, Angelo Losito o Lusito (1884-1915), Giuseppe Introna (1885-1918), Sergio Bufi (1887- 1916), Umberto Magrone, Michele Carabellese, Michele Silvestri (1891-1915) e Antonio Panunzio (1892-1915). Ma torniamo alla lapide marmorea. Essa fu scolpita da Giulio Cozzoli, che generosamente rinunciò al suo compenso, e fu discoperta nella giornata celebrativa di sabato 4 novembre 1922, a pochi giorni di distanza dalla marcia fascista su Roma, nel quarto anniversario della Vittoria. Su di essa erano incisi solamente i primi nove nomi degli ex liceali immolatisi per la Patria. Il giorno precedente nella Cattedrale era stata scoperta una lapide dettata dal vescovo Pasquale Gioia per tutti i caduti molfettesi della prima guerra mondiale e ispirata dalla sezione di Molfetta dell’Unione Femminile Cattolica Italiana, promotrice anche di un album manoscritto – una sorta di obituario – con i capilettera dei nomi miniati di rosso e le foto di molti concittadini caduti nella Grande Guerra. La lapide vescovile, dopo il monogramma di Cristo ( ), recava queste parole: «AI VALOROSI FIGLI DI MOLFETTA / CHE NELLA IMMANE GUERRA MONDIALE / FECERO OLOCAUSTO DI LORO GIOVINEZZA / PER UNA PATRIA PIÙ PURA E PIÙ GRANDE / LA CITTADINANZA / ISPIRATRICE L’UNIONE FEMMINILE C. I. / PER RICORDARE AI POSTERI / IL VALORE E LA FEDE / DOVE LE SPOSE E LE MADRI / CERCARONO CONFORTO SUPPLICHEVOLI / QUESTA LAPIDE POSE // 3 NOVEMBRE 1922». Per volere del Comitato organizzatore e per delega di mons. Gioia, la targa commemorativa del Liceo fu benedetta il 4 novembre da mons. Pasquale Ciocia, che tra il ’15 e il ’18 era stato rettore del Pontificio Seminario Regionale Calabrese “S. Pio X” di Catanzaro e nel 1922 era vicario generale della diocesi. La celebrazione iniziò col giro di un grande corteo per le vie cittadine. Erano presenti le autorità, il Fascio di Combattimento, l’Associazione Nazionalista, i Mutilati, i Combattenti, il Tiro a Segno e altre associazioni con i vessilli, l’intero Collegio dei docenti liceali e cittadini di ogni classe sociale. Dopo la benedizione, il corteo si dispose lungo il perimetro dell’atrio del Liceo per la commemorazione ufficiale. Aprì i discorsi di rito il sindaco dr. Domenico Roselli, che rimarcò la «tradizione liberale» dell’istituto e l’«alito di vita nuova» che «da pochi giorni» elevava «il prestigio d’Italia». Non fu da meno mons. Ciocia, che magnificò il sacrificio di quegli eroi «per i propri fratelli» e invitò gli studenti a seguire l’appello al dovere perentoriamente lanciato dal «Capo del governo» (Mussolini) in un momento in cui «l’ordine civile» era «minacciato e la patria» era «in pericolo». Per ragioni di opportunità ovviamente passò sotto silenzio il litigio scoppiato nello stesso anno tra una squadra di fascisti e un gruppo di giovani del Circolo cattolico “Vito Fornari”. Ai due oratori si aggiunse lo studente di giurisprudenza Gabriele Poli di Mauro, futuro avvocato (da non confondersi col caporale degli alpini e maestro elementare Gabriele Poli di Giuseppe Saverio), che ampollosamente esaltò la marcia di d’Annunzio da Ronchi a Fiume e ravvisò nella lapide i simboli dell’«elevamento» dei nuovi studenti e la «fierezza di mete raggiunte». Per invito di un gruppo di studenti «entusiasti», il discorso ufficiale fu tenuto da un giovane e promettente professore di lettere italiane, Natale Addamiano di Barletta. Terminato da poco il servizio militare, nel 1920 aveva pubblicato con Sonzogno di Milano la traduzione della Ifigenia in Tauride di Goethe e fatto stampare a Cagliari un pregevole studio di letteratura comparata, Delle opere poetiche francesi di Joachim Du Bellay e delle sue imitazioni italiane, mentre nel 1922 erano apparse le Spigolature platoniche, un contributo agli «Studi in onore di Francesco Torraca», suo venerato maestro all’Università di Napoli. Destinato a una brillante carriera, curerà nel 1925 per l’editore Sandron di Palermo- Roma I classici italiani sia per il ginnasio inferiore, sia per gli istituti tecnici superiori e, da docente straordinario che era nel Liceo di Molfetta, nel 1928 risulterà ordinario di lettere italiane e latine nel Liceo “Ennio Quirino Visconti” di Roma. Il prof. Addamiano, come rappresentante dell’istituto, nella lusinga di far sorgere col suo discorso anche in uno solo degli ascoltatori un «pensiero d’amore e di pietà», esaltò l’«impagabile sacrifizio» dei «generosi caduti», che, educati nel Liceo-Ginnasio di Molfetta, «partirono per il fronte e fecero dono di se stessi alla Patria». Dopo aver ricordato come una delle più belle esperienze della sua vita le conversazioni fatte con i soldati che comandava al fronte, tutti lavoratori siciliani, campani e pugliesi, citò Mazzini, il quale avvertiva che la Patria non è «il territorio sul quale si vive, ma il sentimento di reciproco amore e il desiderio di perfezionamento morale, che lega i cittadini in vista di un fine comune; che la Patria è dentro di noi, […] che la Patria non si ama, né si serve con le grida, con l’odio per chi non la pensa come noi, con la sopraffazione violenta, ma austeramente, col consiglio e la disciplina, facendo dell’anime nostre tempii dello spirito, cioè della virtù […], che la Patria è dedizione, non speculazione». Anche per un ideale di Patria così elevato come quello mazziniano, tutti quei fiorenti giovani di belle speranze non meritavano di venire inghiottiti nell’immane carneficina della prima guerra mondiale. Con una classe dirigente più avveduta e sensibile questo olocausto si sarebbe potuto evitare, mantenendo un saggio neutralismo e opponendosi al “colpo di Stato” del duopolio Salandra-Sonnino, sostenuto soprattutto dal Corriere della Sera di Milano e dal Giornale d’Italia di Roma. Ma gli speculatori e gl’industriali, come Carlo Esterle della Edison, Emilio Bruzzone dell’Unione Zuccheri, Giovanni Agnelli della Fiat, Pio e Mario Ferdinando Perrone dell’Ansaldo e gli armatori e banchieri Parodi, seppero abilmente sfruttare attraverso le sovvenzioni, la stampa, i comizi, le manifestazioni di piazza, Il Popolo d’Italia di Mussolini e la retorica guerrafondaia di d’Annunzio, Marinetti, Papini e compagni sia l’interventismo nazionalistico che quello democratico e gettarono cinicamente l’Italia e gli italiani nella tremenda fornace della guerra.
Autore: Marco Ignazio de Santis