QUANDO LE PIETRE PARLANO
“Il restauro della Chiesa dei Frati Cappuccini di Molfetta è un evento per tutti coloro che sono consapevoli dell'importanza del recupero del passato”: così esordisce la dottoressa Rosanna Savoia, vicedirettore dell'archivio statale di Brindisi, esperta della storia dei Cappuccini della Provincia di Bari, ma anche delle traversie di questo e altri ordini (ad esempio i Carmelitani scalzi) a Brindisi, Francavilla Fontana e altrove. La sua lucida relazione sulla presenza dei Cappuccini a Molfetta, tenutasi il 14 gennaio 2005 alle 19.30 (e seguita da un impeccabile concerto dell'Orchestra della Provincia di Bari, diretta da Giuseppe Monopoli), si inserisce nel quadro delle celebrazioni dell'avvenuto restauro della Chiesa Santissimo Crocifisso.
“A parlare saranno le pietre”, sottolinea la Savoia. Il racconto che ne nasce è quello della lunga storia d'amore tra i frati e la nostra città. Il primo convento dei Cappuccini a Molfetta, secondo in Terra di Bari, sorgeva nel 1540. Nelle vicinanze del Pulo, a 2 miglia dall'abitato, spartano nell'arredamento a testimoniare umiltà, povertà e disprezzo del mondo, costituiva il punto d'avvio di un incessante moto di carità dai monaci alla cittadinanza. Agli occhi della gente, i frati apparivano 'uomini che soffrivano in mezzo agli uomini', costantemente impegnati in significative crociate contro miseria, carestie e soprattutto l'usura, cancrena della società del tempo.
A quegli inizi, soffusi ancora d'un alone vagamente leggendario, rimonta l'aneddoto della celeberrima partita a scacchi fatale per un usuraio di Molfetta e predetta all'incallito derisore dell'ordine da Fra Giacomo Paniscotti, figura nodale per le vicende dei Capuccini all'epoca di stanza in città, personaggio comunque discusso in virtù di un certo antisemitismo allora non inconsueto, ma non per questo giustificabile. La lontananza dall'abitato del primo convento, che rendeva ardui gli spostamenti dei frati e impediva ai monaci infermi di fruire di cure mediche, fu d'impulso alla costruzione di un nuovo monastero, avviata intorno al 1554. Il vecchio fu successivamente adibito ad abitazione per contadini; è la premessa al ritrovamento, avvenuto molto tempo dopo con grande clamore tra i Molfettesi, degli scheletri intatti di due frati nel terreno adiacente all'antico monastero.
Il '600 rappresentò una sorta di secolo aureo per l'ordine, che conobbe predicatori del calibro di San Lorenzo da Brindisi; nel 1755, esso contava ben 528 religiosi, variamente dislocati nei 29 conventi della Terra di Bari. L'occupazione francese del Regno di Napoli e successivamente il processo di laicizzazione dello stato seguito all'Unità d'Italia, produssero la chiusura d'innumerevoli conventi e la diaspora dei loro religiosi. Mentre si levava un coro unanime, che invitava a piangere 'l'avvenuta sventura', i Cappuccini di Molfetta si riorganizzavano, affittando una casa in Via Terlizzi. Poi la possibilità di usufruire nuovamente di alcune celle del convento, riadattato a ospizio per sordomute, sino allo sfratto imputabile a istanze di anticlericalismo. Cominciava così un'appassionata crociata popolare di solidarietà verso i fraticelli, costretti a una sistemazione angusta, con la spada di Damocle del minacciato smistamento in altri centri da parte della Congregazione Capitolare.
Infine, il ritorno alle celle rimaste nel convento, complici le elezioni del 1913 e la necessità di procacciamento dei voti dell'elettorato cattolico da parte di alcuni politici. E la storia dei Cappuccini a Molfetta continua, tra nuove difficoltà e atti d'amore (non ultimo l'impegno dell'ordine in missioni in Mozambico e Albania), a testimoniare quanto sia vigorosa “la forza di una pazzia che dura nel tempo e resiste ai tempi”.
Gianni Antonio Palumbo
gianni.palumbo@quindici-molfetta.it