Recupero Password
Puglia, countdown sulle province: Roma deciderà sulla fibrillazione dei Comuni pugliesi
23 ottobre 2012

Dal nostro inviato
BARI (Consiglio regionale) - Attenersi alla volontà degli enti locali. È questo il dispositivo ratificato dal Consiglio della Regione Puglia sul riordino delle province, approvato con voto congiunto e trasversale tra maggioranza e opposizione (i vari consiglieri sono intervenuti a titolo personale, divergendo anche dalla linea del proprio partito) e inviato al Governo centrale.

Un atto amministrativo tra il pilatismo e la lungimiranza che, impostato sulla relazione iniziale dell’assessore al Federalismo e agli Enti locali, Marida Dentamaro (Pd), è stato elaborato in comunione d’intenti extrapolitici e fuori dai soliti stereotipi destra-sinistra tra i vari capigruppo consiliari, in particolare da Rocco Palese del Pdl, Enzo Decaro del Pd e Michele Losappio di Sel (assente il presidente Nichi Vendola).
In questo modo non solo è stato garantito il rispetto dei deliberati comunali e della volontà delle varie comunità locali (alla Regione stessa pervenuti mozioni e lettere di associazioni e liberi cittadini). Ma si è cercato anche di recuperare la democraticità e la sovranità popolare maldestramente elusi nel provvedimento governativo sul riordino delle province, contestato da tutti i consiglieri intervenuti e anche dalla stessa Dentamaro.
Il D.Lgs. n.95/12 e la Legge n.135/12 sono stati definiti dai consiglieri di maggioranza e opposizione con vari epiteti e aggettivi: «normativa intruglio che scarica la responsabilità su Regioni e Comuni» (Nicola Marmo del Pdl), «riforma peggiore della storia repubblicana» (Palese, che ha definito gli attuali governanti nazionali come «incoscienti»), «legge pasticcio fatta da sprovveduti» (assessore al Bilancio Michele Pellilo del Pd), «legge arlecchino» (Ruggero Mennea del Pd), «legge di disordino» (Aurelio Antonio Gianfreda dell’Idv), e «legge pasticciata» (Francesco Pastore del Gruppo Misto, ma ex Sel). Insomma, un vero e proprio provvedimento anticostituzionale, per quasi tutti i consiglieri regionali intervenuti nel dibattito.
Così, in questo Consiglio regionale non solo è stato delineato in modo completo il quadro della riforma, necessario per la dislocazione politico-territoriale dei vari Comuni, ma si è anche assistito a una straordinaria unanime difesa delle prerogative della “Patria Apulia” (presente anche il presidente della Provincia BAT, Francesco Ventola, oltre a rappresentati di alcuni Comuni pugliesi).
 
LE PROSPETTIVE
Questo dispositivo sembra delineare la possibilità di una nuova configurazione provinciale che potrebbe addirittura emendare la legge nazionale di riferimento, proprio come Quindici aveva anticipato lo scorso mercoledì. In pratica, l’accorpamento delle Province di Brindisi e Taranto o la costituzione del Grande Salento, la riduzione della Città metropolitana di Bari ai soli territori circostanti il Comune di Bari e l’eventuale costituzione di una nuova provincia che avvolga non solo la BAT, ma anche i Comuni che non avranno aderito alla Città metropolitana e alla Provincia di Foggia, come Molfetta e Bitonto (che ha espresso l’«assoluta contrarietà del territorio bitontino alla Città metropolitana»).
In quest’ultimo caso, è problematica la posizione di Bitonto che, interclusa da altri Comuni e interna alla Città Metropolitana, non sarebbe contigua al territorio di una possibile nuova provincia che, ad oggi, non è una realtà così fantomatica come si sarebbe potuto pensare all’inizio di ottobre.
 
UNA NUOVA PROVINCIA?
Significativo è un passaggio nella relazione della Dentamaro: «i dieci Comuni appartenenti alla Provincia BAT hanno trasmesso atti dei rispettivi consigli tendenti a provocare “al fine di non aderire alla Provincia di Foggia” una iniziativa governativa, nell’ambito del procedimento fissato dall’art.18 comma 4, correttiva dello stesso D.Lgs. n.95/12 che consenta la costituzione di una nuova Provincia, comprendente i territori della Provincia BAT e quelli dei Comuni eventualmente non aderenti alla costituenda Città metropolitana di Bari. A tal fine i Consigli comunali hanno dato mandato ai rispettivi sindaci di attivarsi per la definizione di una nuova circoscrizione territoriale».
De facto, è una «ipotesi non praticabile». Eppure la relazione lascia aperto un pertugio perché l’impossibilità non dipende dall’assenza di uno dei requisiti demo-territoriali (l’estensione di questa nuova provincia è di appena 1.600km2 rispetto i 2.500km2 fissati per legge), ma «perché l’iniziativa non ha ancora conseguito il risultato auspicato negli atti consiliari, ossia la definizione di una nuova circoscrizione provinciale attraverso la condivisione di tutti i dieci Comuni della BAT e l’adesione di altri Comuni, per ottenere la quale era stato conferito mandato ai sindaci di attivarsi».
In sostanza, nel caso in cui si delineassero i contorni di questa nuova provincia e di fronte alla volontà popolare, il Governo centrale potrebbe anche emanare un provvedimento correttivo: sono in atto emendamenti e deroghe alla legge per le altre Regioni e Città metropolitane e, come ha ricordato il consigliere Domenico Lanzilotta (Pdl), nella lettera della BCE tra le città metropolitane da istituire non si nomina Bari perché non soggetta a un fenomeno di metropolizzazione, bensì di semplice regionalizzazione.
Non bisogna nemmeno dimenticare che in alcuni interventi (Marmo e Antonio Mattarelli di Sel) si è delineata la possibilità di ristrutturare l’organizzazione provinciale secondo i vecchi giustizierati federiciani sopravvissuti per ben sette secoli (Capitanata, Terra di Bari e Terra d’Otranto).
 
GOVERNO SPALLE AL MURO
Il dispositivo consiliare inchioda il Governo centrale: perché, nel caso in cui non dovesse considerare le decisioni dei Comuni e la volontà delle comunità locali, potrebbe essere tacciato di antidemocraticismo e, perfino, di dittatura. Tra l’altro, la volontà di commissariare le province pugliesi per attuare ex abrupto la riforma è stata letta da alcuni consiglieri come una minaccia e un vero e proprio provvedimento fascistoide. Se la riforma dovesse essere applicata, potrebbe anche scatenarsi una rivolta comunale (qualche consigliere ha parlato di «comunità partigiane» senza mezzi termini).
Non bisogna dimenticare che per l’istituzione della Città metropolitana il D.Lgs. n.95 e la Legge n.135 derogano ai principi di democraticità sanciti dalla Legge n.42/09 («Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione») che fissava le modalità per la costituzione delle Città metropolitane in attesa «della disciplina ordinaria riguardante le funzioni fondamentali, gli organi e il sistema elettorale delle città metropolitane che sarà determinata con apposita legge».
La proposta di costituzione sarebbe dovuta spettare al Comune capoluogo congiuntamente alla Provincia, al Comune capoluogo congiuntamente ad almeno il 20% dei Comuni della Provincia interessata che rappresentino, unitamente al Comune capoluogo, almeno il 60% della popolazione, infine alla Provincia, congiuntamente ad almeno il 20% dei Comuni della Provincia medesima che rappresentino almeno il 60% della popolazione. Nessuna consultazione popolare: la legge ha troncato le gambe a ogni forma di partecipazione democratica.
 
LA CITTA’ METROPOLITANA
Della Città metropolitana si è discusso molto poco e, all’occasione, non positivamente. Da un lato, i consiglieri hanno evidenziato la difficoltà di pianificazione, gestione e controllo per la sua pluriformità socio-territoriale (Saverio Congedo del Pdl), dall’altro l’impossibilità di deliberare l’adesione a un ente erigendo come semplice atto di fede, se privo di uno statuto di partenza (Decaro, secondo cui «la Città metropolitana ha un senso solo se il territorio è omogeneo e non frazionato in realtà differenti»).
Per di più, nella relazione iniziale dell'assessore Dentamaro si ribadisce la negatività di usare criteri solo quantitativi nel riordino delle province, senza considerare gli aspetti storici, psicologici, tradizionali, culturali, economici e identitari (come ad esempio per la BAT o per la Provincia di Brindisi smembrata tra Bari e Lecce). Si tratta, innanzitutto, di un problema di «deficit di legittimazione democratica»: l’assenza di uno statuto o di un sistema istituzionale di riferimento potrebbe anche innescare il centralismo barese (decisioni riguardanti politiche pubbliche rilevanti per la popolazione dell’intera area potrebbero essere assunte solo dal Comune centrale del capoluogo).
A questo si aggiunge un problema di «efficace allocazione di costi e benefici»: il Comune centrale paga i costi di servizi pubblici di cui usufruiscono in parte significativa cittadini di altri Comuni che rappresentano un peso sul bilancio comunale pur non contribuendovi attraverso l’imposizione fiscale e tariffaria.
Allo stato attuale, sembra che il Governo centrale abbia già in saccoccia una decisione (probabilmente un provvedimento correttivo). Bisognerà solo attendere.
 
© Riproduzione riservata
Autore: Marcello la Forgia
Nominativo  
Email  
Messaggio  
Non verranno pubblicati commenti che:
  • Contengono offese di qualunque tipo
  • Sono contrari alle norme imperative dell’ordine pubblico e del buon costume
  • Contengono affermazioni non provate e/o non provabili e pertanto inattendibili
  • Contengono messaggi non pertinenti all’articolo al quale si riferiscono
  • Contengono messaggi pubblicitari
""

Leggo dall'agenzia ASCA: Citta' metropolitane: Confindustria, grande riforma per crescita (1 upd) 23 Ottobre 2012 - 12:03 (ASCA) - Roma, 23 ott - ''L'istituzione delle Citta' Metropolitane e' una delle grandi riforme di cui il Paese ha bisogno per ripartire e per orientare una crescita dell'economia a costo zero partendo proprio dalle grandi aree urbane''. Lo affermano in una nota i presidenti della 'Rete Associazioni Industriali Metropolitane' di Confindustria collegate alle citta' metropolitane di Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Roma, Torino e Venezia. ''Abbiamo avviato da piu' di due anni una Rete che, nel riunire le Associazioni industriali metropolitane di Confindustria, ha reso possibile un'attivita' di confronto ed analisi sul valore delle aree metropolitane per le prospettive di sviluppo del sistema industriale e per la competitivita' del Paese nel suo complesso''. Mentre e' stato avviato il percorso amministrativo che portera' all'istituzione delle Citta' Metropolitane e in virtu' del fatto che la competizione economica internazionale oggi si misura soprattutto sulla capacita' dei grandi centri urbani di essere motori di sviluppo, chiediamo con cognizione e convinzione a Governo, Parlamento, Regioni, UPI, ANCI, - e a tutte le altre realta' istituzionali o associative coinvolte nel dibattito - di procedere speditamente affinche' le aree metropolitane divengano presto realta'. I nove presidenti della rete associazioni metropolitane di Confindustria indicano alle istituzioni che il percorso amministrativo, che oggi sembra prefigurarsi per la nascita delle citta' metropolitane, ''appare certamente migliorabile; ma, senza dubbio, consente di puntare ad un nuovo protagonismo economico dei territori, dove i ''nuovi'' confini non dovranno piu' essere quelli rigidamente tracciati oltre cento anni fa''. ''In questa prospettiva, chiediamo che ci sia una decisa svolta della qualita' del dibattito oggi in corso su precise questioni''. In dettaglio ''piu' attenzione ai fattori di sviluppo (densita' industriale, infrastrutture, governance dei servizi pubblici locali, poteri e funzioni, risorse) anche in fase di decisione circa la perimetrazione delle Citta' metropolitane''. Inoltre ''meno avvitamento politicistico su sistemi elettorali, sul ruolo dei super sindaci e su possibili ulteriori evoluzioni istituzionali e amministrative''. ''Valorizzando i principi e la cultura sussidiaria di autonomia territoriale - pur all'interno di una cornice strategica nazionale - e partendo dai temi dello sviluppo locale, possiamo davvero provare ad imprimere, a costo zero, un'accelerazione vera all'economia reale del nostro Paese''. Mi fate capire che giro c'è sotto? Quali interessi ci girano intorno a questa città metropolitana? Da un lato i politici, bontà loro...dall'altro gli industriali...e i cittadini comunimortali nel mezzo (bella prospettiva, perchè la loro posizione ricorda quella del ...). Non capisco nemmeno perchè ora se ne esca Confindustria: forse ha paura che decada la citrtà metropolitana e con lei i suoi interessi economici e industriali? Quindi è vero che decade, se loro hanno paura...bah, secondo me dietro c'è una rete oscura...che peserà solo su di noi...boh...


COMUNICATO STAMPA DELLA REGIONE A CONFERMA DI QUANTO RIPORTATO DAL GIORNALISTA DI QUINDICI - Agenzia nr. 4551 del 22/10/2012 - » Consiglio regionale Rimodulazione Province: Consiglio regionale approva relazione assess. Dentamaro - Il Consiglio regionale ha approvato a maggioranza (astenuto Giovanni Alfarano -PdL, voto contrario di Eupreprio Curto - Fli e Ruggiero Mennea - PD) la relazione dell'assessore al Federalismo Marida Dentamaro sul nuovo assetto delle Province in Puglia. Il dispositivo proposto dal presidente del consiglio Onofrio Introna, prende atto delle deliberazioni dei consigli comunali e delle dichiarazioni dei sindaci pervenute e chiede al Governo nazionale di attenersi alle volontà espresse degli enti locali, come rappresentate negli atti deliberativi degli stessi. La relazione, rivista nella stesura originaria, soprattutto per quanto riguarda gli atti deliberativi assunti dai Comuni della provincia di Brindisi con l'acquisizione dell'atto formale dell'amministrazione comunale di Francavilla Fontana, invita anche il Governo e il Parlamento al superamento delle criticità rilevate in relazione alla mancanza dei requisiti minimi demo-territoriali previsti. L'assemblea ha preso atto anche del fatto che, allo stato, per la provincia di Barletta-Andria-Trani “non vi è materia né spazio per la formulazione di proposte o pareri regionali”. Di conseguenza l'istituenda Città metropolitana di Bari risulta costituita dai comuni delle provincia di Bari, escluso il Comune di Molfetta che ha espressamente dichiarato di non voler aderire e compreso il comune di Fasano che ha deliberato l'adesione a seguito di referendum. La Provincia Brindisi-Taranto comprende i comuni facenti parte delle due province soppresse fatta eccezione per Fasano e per quelli che hanno aderito alla provincia di Lecce avendo il requisito della continuità territoriale (Cellino San Marco, Erchie, Mesagne, San Donaci, San Pancrazio Salentino, San Pietro Vernotico, Torchiarolo e Torre Santa Susanna). La Provincia di Lecce comprende i comuni già facenti parte della stessa provincia nonché quelli delle province di Brindisi e Taranto, avendone il requisito della continuità territoriale, che hanno optato per il passaggio alla stessa provincia di Lecce: Cellino San Marco, Mesagne, San Pancrazio Salentino, San Pietro Vemotico, Torre Santa Susanna, Erchie, San Donaci e Torchiarolo (BR) e Avetrana (TA). Per comodità di consultazione si allega copia integrale della relazione dell'assessore Dentamaro.

Ieri si sono ricordati che sono Pugliesi... prim'ancora che di destra, di sinistra, di sotto e di sopra. Vi sono temi che non possono essere contaminati dalle logiche a volta perverse di maggioranza e di opposizione. Questo è uno di quelli! A Bari lo hanno capito, a Molfetta, è prevalsa la logica del mulo contro mulo. Peccato! Non c'azzeccava 'na mazza, la pur legittima e sacrosanta opposizione, al governo scellerato del nutella, con la difesa dell'identità, dell'autonomia, della storia della nostra comunità. Ad un certo punto, non s'è più capito dove fosse la destra o la sinistra in consiglio regionale. Ma s'è capito perfettamente, dove stava la ragione, la logica, l'intelligenza! Dalla parte della libertà, dell'autonomia, della democrazia, dell'autodeterminazione, della conservazione dell'identità di una comunità. Nessuno di tutti quelli che hanno "sproloquiato", sul tema, è andato a vedere cosa succedeva fuori da Molfetta, e cosa stava succedendo in consiglio regionale. Facciamo ancora in tempo a "correggere le rotte", cari amici "alternativi"... ma che non abbiano più a ripetersi, altri abbagli, è un lusso che non ci possiamo più permettere. Per intanto, "digerite la pillola": è questa testata che ha voluto vederci chiaro, voi No! Errare è umano, perseverare è diabolico. Qui muli, non ce ne stanno, ma persone che ragionano e verificano poi se "le cazzarole" sparate in più d'una occasione a Corso Umberto, erano frutto di dati oggettivi, o della foga di attaccare il satrapo a tutti i costi. C'è stato il c.d. "piano casa" che richiedeva altrettanta foga... e qui mi fermo!
E SE ALLA FINE LA PUGLIA DEL FUTURO SI TROVASSE AD ESSERE LA PUGLIA DEL PASSATO? - Comuni, Province (quelle che restano, quelle che si accorpano - forse - e quelle che scompaiono), la Regione alle prese col rebus aperto dal decreto del governo Monti accarezzano, tra le opzioni anche quella di un ritorno alla Puglia tripartita nata addirittura per volontà di Federico II nel 1231 con le Costituzioni di Melfi. - I giustizierati di Capitanata, Terra di Bari e Terra d'Otranto definirono un assetto territoriale che è durato, pressoché immutato per sette secoli, costruendo anche identità territoriali più o meno forti che hanno giustificato, almeno fino alla stesura della Costituzione repubblicana la compresenza del termine «Puglia» e del suo plurale, «le Puglie». Poi (e non senza discussione alla Costituente, dove pure si affacciò l'ipotesi della costituzione di una regione Salento) prevalse il singolare. Senza però che questo significasse una vera unificazione di un territorio spropositatamente «lungo» (più di 400 chilometri, molti rispetto alla media italiana) e segnato anche da una frontiera linguistica assai marcata. Comunque se la tripartizione geografica della Puglia risale all'imperatore svevo (e siciliano), la storia vera di queste unità amministrative si avvia sotto il segno di un altro imperatore, quello dei Francesi, il corso Napoleone. Il cui fratello Giuseppe, graziosamente installato sul trono di Napoli dalle baionette dell'Armée, tra le tante leggi promulgate per rimodellare anche questa parte d'Europa sul modello della Francia postrivoluzionaria, l'8 agosto del 1806 firmò quella «Sulla divisione ed amministrazione delle province del Regno» che sopprimeva i vecchi giustizierati (poco più che circoscrizioni giudiziarie) e modellava la nuova architettura del Regno sul modello dei dipartimenti d'Oltralpe, con a capo dei prefetti e con una prima organizzazione decentrata degli organi dello Stato. Cinque anni dopo, nel 1811, il circondario di Larino che aveva condiviso sei secoli di storia con la Capitanata, fu aggregato al Molise, fissando così sul corso del Saccione e del Fortore il confine settentrionale della Puglia. La restaurazione borbonica non toccò l'assetto amministrativo del regno, limitandosi a cambiare il nome del funzionario apicale dal troppo francese «prefetto» al più tradizionale «intendente». All'appuntamento dell'Unità il Sud arriva dopo che, nel 1859, il decreto Rattazzi ha scelto per il nuovo regno d'Italia il modello centralistico francese fondato sulle province, che al centro-nord ha fatto definitivamente giustizia degli stati preunitari. Le province storiche del Mezzogiorno continentale entrano perfettamente nel nuovo schema politico-amministrativo e restano infatti inalterate (nei loro confini); ai prefetti si affiancano però i Consigli provinciali eletti democraticamente (sulla base di un suffragio che via via si allargherà fino a diventare universale nel 1946) e le Deputazioni provinciali (diventate poi giunte) elette dal consiglio e presiedute dal prefetto. Dal 1889, infine, a capo delle province viene eletto un presidente, mentre il prefetto resta il (potente) rappresentante del governo sul territorio. È il fascismo a dare uno scossone oltre che agli assetti istituzionali delle province (detto in soldoni, non si elegge più nessuno, si viene nominati) anche a quelli territoriali. In Puglia nasce prima, nel 1923 la provincia di Taranto (fino al 1951 la definizione ufficiale sarà «dello Ionio»), poi, nel 1927 quella di Brindisi (vuole la leggenda che in quella tornata, che vide nascere ben 17 nuove province, sparì all'ultimo momento dall'elenco quella di Barletta: l'uomo forte del fascismo pugliese, Araldo di Crollalanza non voleva che Bari, città della quale era podestà, fosse in alcun modo «diminuita»). È la Puglia a cinque province che abbiamo conosciuto sui banchi di scuola. Quattro province pugliesi (resta esclusa Foggia) sono le prime ad essere restituite dagli Alleati all'amministrazione civile italiana dopo l'8 settembre '43 e il trasferimento del re e del governo a Brindisi; cinque anni dopo la Costituzione repubblicana istituisce le regioni (e tra esse la Puglia), ma ci vorranno 22 anni per vederle nascere e per vedere, di conseguenza, cominciare a morire le province. È un processo inevitabile: man mano che le regioni assumono poteri e funzioni, le province li perdono. Le leggi e i decreti che alla metà degli anni Settanta delegano cospicue funzioni amministrative agli enti locali privilegiano regioni e comuni, mentre le province diventano l'anello debole della catena del decentramento. Più avanti sarebbe venuto anche il discredito, l'interrogativo diffuso sulla loro utilità. Non senza, però, che in controtendenza alcuni territori ne rivendicassero l'istituzione, in qualche caso arrivando anche al traguardo. Tra questi appena ieri, nel 2004 anche il Nord barese, dove l'antica aspirazione di Barletta per essere soddisfatta deve fare i conti con la forza demografica di Andria e l'allure storica di Trani per dare origine all'inedita provincia con tre capoluoghi (e solo dieci comuni in tutto), la Barletta-Andria-Trani che passerà alla storia solo e sempre come Bat. Ora si cambia, ora si taglia. E come quasi sempre accade quando si cambia per tagliare (i costi) non è detto che si cambi nel migliore dei modi, come potrebbe accadere se, viceversa, si tagliasse per cambiare. La confusa e precipitosa discussione in atto in questi giorni, sembra infatti del tutto prescindere da una riflessione sui sistemi territoriali, sul destino dei singoli territori, sulle necessità di pianificazione sovracomunale e infraregionale di servizi (la sanità, i trasporti, la gestione dei rifiuti, ecc.). Anche perché nel frattempo sono entrati in campo nuovi protagonisti: per esempio l'Unione europea, che destina una parte delle sue risorse proprio ai sistemi territoriali, prescindendo dalla loro identità istituzionale: ecco ad esempio che le Aree vaste, protagoniste della programmazione di specifici assi di spesa cofinanziati dall'Ue in Puglia sono dieci, più di una per provincia, alcune a cavallo di più province come nel caso di quella centrata intorno alla valle d'Itria, un territorio dalla fortissima identità perfino paesistica e con un progetto ben condiviso di sviluppo ma che comprende comuni della provincia di Bari, di Brindisi e di Taranto. Per non parlare del caso di Bari, cuore pulsante al centro della regione, area metropolitana che non ha mai saputo ben definire i suoi confini, ma alla quale avevano (e a giusta ragione, probabilmente) già voltato le spalle i comuni della fossa premurgiana e quelli dell'estremo Sud della provincia. Oggi il decreto Monti trasforma d'amblais la Provincia di Bari (comprese Altamura e Gravina, Monopoli e Locorotondo) nella città metropolitana di Bari. Con tanti saluti alla possibilità di affidare davvero a questo ente intermedio (come alla superprovincia Foggia-Bat a Nord, e a Taranto-Brindisi o al Grande Salento a Sud) quelle competenze in materia di pianificazione territoriale che pure le spetteranno. Forse era meglio seguire la strada maestra: cambiare la Costituzione e abolire le province. Fonte: il Pittacino Autore: Luigi Quaranta Articolo del 7 ottobre 2012

Quindici OnLine - Tutti i diritti riservati. Copyright © 1997 - 2024
Editore Associazione Culturale "Via Piazza" - Viale Pio XI, 11/A5 - 70056 Molfetta (BA) - P.IVA 04710470727 - ISSN 2612-758X
powered by PC Planet