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Progetto Policoro, secondo incontro: i principi della dottrina sociale della Chiesa
26 marzo 2011

MOLFETTA - Si continua a parlare della Dsc ( dottrina sociale della Chiesa) nel secondo incontro organizzato dal Progetto Policoro e tenutosi nella Sala Turtur. Don Michele Stragapede nella conferenza «Il Bene Comune e i principi della dottrina sociale della Chiesa: quali i principi e i criteri per una vita sociale rispettosa della persona umana» ci illustra i principi primi della Dsc come appaiono nella «Rerum Novarum», opera di Papa Leone XIII con cui, come ci spiegava don Paolo Malerba nell’incontro precedente, nasce la Dsc.

Primo principio fondamentale della Dsc è la dignità della persona. Il relatore ci ricorda che «tutto è stato portato all’uomo, ma la persona resta un assoluto» . La dignità è infatti innata «non dipende dalla razza, dalla religione, dallo status, dal genere, è quella dimensione sacra dataci con la semplice venuta all’esistenza» continua don Michele.
Altro importante criterio della Dsc è lo sviluppo, che non può essere solo economico, ma deve comprendere ogni dimensione dell’essere umano: sociale, culturale, politica e spirituale. Il solo sviluppo economico non equivale infatti allo sviluppo autentico dell’uomo. «Il vero sviluppo umano deve tradursi in dedizione e solidarietà, specialmente con le persone e i popoli impoveriti e oppressi», ribadisce don Michele Stragapete.
Il Bene Comune costituisce un altro elemento su cui si fonda la Dsc. Infatti la dignità umana può essere riconosciuta e sviluppata solo all’interno di una comunità. «Il Bene Comune è l’insieme di tutte quelle condizioni del vivere sociale (economiche, politiche e culturali) che consentono ad una persona di raggiungere la sua perfezione» ci ha spiegato il relatore. Tutte quelle strutture sociali che non aiutano lo sviluppo autentico e il bene comune universale sono chiamate «strutture di peccato». Il Papa Benedetto XVI fa esplicito riferimento al Bc (Bene Comune), che insieme alla giustizia costituisce il principio orientativo dell’azione morale. «Adoperarsi per il Bc significa adoperarsi per la promozione di quelle istituzioni politico-sociale-culturali e civili che strutturano il nostro vivere insieme come polis».
Un altro costituente della Dsc è la dignita del lavoro, che come precisa il relatore «non è la fonte della dignità umana, ma è lo strumento attraverso cui la persona si esprime e sviluppa se stesso e la sua dignità». Per questo il lavoro deve essere sempre funzionale alla dignità dei lavoratori, consentire il mantenimento della vita della loro famiglia e permettere di organizzarsi e formare sindacati.
I diritti e le responsabilità costituiscono il quinto principio su cui si fonda la Dsc. I diritti includono: il diritto alla vita, alla casa, al cibo, alla’assistenza sanitaria, all’educazione, al giusto e sufficiente salario, alla religione, alla migrazione, all’associazione, alla partecipazione, come chiarisce don Michele .
«L’indifferenza dinnanzi alle sofferenze di tanti è segno di atrofia spirituale» aggiunge don Michele, la solidarietà costituisce quindi un altro elemento fondamentale della Dsc. Frutto di solidarietà e giustizia tra i popoli è la pace, per questo la Dsc è sempre stata per la cessazione del mercato delle armi. Il Papa Giovanni XXIII, ci ricorda il relatore, parlava della guerra come pazzia pura «Guerra alienum est a ratione» .
Settimo e ultimo principio della Dsc è la cura per il creato. San Francesco, come menziona il relatore, diceva che il nostro corpo è fatto di materia e che non siamo vincolati alla terra che è nostra madre. Aver cura della terra significa aver cura di noi stessi. Proprio per questo don Michele Stragapede conclude l’incontro invitandoci a prestare molta attenzione ai modelli di consumo affinchè siano ecologicamente sostenibili.
 
© Riproduzione riservata
Autore: Loredana Spadavecchia
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Mentre a livello personale nessuno, a meno che non sia un pazzo, può rimanere indifferente testimone di una minaccia all'esistenza di tutti noi, coloro che sono investiti della responsabilità della pubblica amministrazione in pratica non muovono un dito, e quanti hanno affidato il proprio destino alle loro mani continuano a non far nulla. Come si spiega che il più forte tra tutti gli istinti, quello della sopravvivenza, abbia cessato di fungere da incentivo? Una delle spiegazioni più ovvie è che i leaders intraprendono molte iniziative che rendono loro possibile di fingere di operare efficacemente per evitare una catastrofe: conferenze senza fine, risoluzioni, trattative per il disarmo, sono tutte cose che concorrono a dare l'impressione che i problemi sono presi in considerazione e che si fa qualcosa per risolverli. Non accade nulla che abbia un'effettiva incidenza, ma ciò non toglie che i leaders e coloro che ne sono guidati anestetizzano le proprie coscienze e la propria aspirazione alla sopravvivenza facendo credere di conoscere la strada e di procedere nella giusta direzione. Ormai non ci meravigliamo più di vedere uomini politici e dirigenti economici formulare decisioni che a prima vista sono a loro esclusivo vantaggio, ma che risultano insieme dannose e pericolose per la comunità. In effetti, se è vero che l'egoismo è uno dei pilastri dell'etica pratica del giorno d'oggi, perché costoro dovrebbero comportarsi diversamente? La conseguenza del dominante atteggiamento egoistico è che i leaders della nostra società ritengono che la gente possa essere mossa soltanto dall'aspettativa di vantaggi materiali, vale a dire di ricompense e che non reagisca ad appelli alla solidarietà e al sacrificio. Solo una struttura socioeconomica radicalmente diversa e un'immagine completamente differente della natura umana potrebbero comprovare che la corruzione non è l'unico mezzo (o il mezzo migliore) per esercitare un'influenza sulla gente.
La modalità esistenziale dell'avere, incentrata sulla brama di possesso di oggetti e di potere, sull'egoismo, lo spreco, l'avidità e la violenza – opposta alla modalità esistenziale dell'essere, basata sull'amore, la gioia di condividere, l'attività autenticamente produttiva e creativa, dalla quale hanno parlato i grandi maestri di vita e di pensiero, da Gesù a Buddha, da Tomaso d'Aquino a Spinoza e Maestro Eckhart, a Marx e Albert Schweitzer -, domina nel mondo contemporaneo, e sta portando l'umanità alla catastrofe. La grande illusione che il progresso industriale e tecnologico illimitato portasse la felicità per tutti, attraverso la soddisfazione di tutti i desideri, e ristabilisse la pace sociale e l'armonia dell'uomo con la natura, è ormai incontestabilmente fallita. L'uomo contemporaneo è diventato un ingranaggio dell'immensa macchina burocratica, alienato, manipolato dall'industria, dai mass media, dai governi, esposto a pericoli ecologici e al rischio di conflitti nucleari, psicologicamente depresso, isolato, angosciato, preda di impulsi distruttivi. Necessitiamo di un diverso atteggiamento verso la natura e la società. UN UOMO NUOVO. I giudizi di valore devono pertanto presiedere ai mutamenti tecnologici, perché senza valori l'uomo è privato della sua umanità e del suo bisogno di collaborare con la stessa struttura dell'universo. Non si può più perdere tempo, dal momento che la lunghezza d'onda del mutamento attualmente è più breve della durata della vita dell'uomo.


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