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Processo Bufi, il mistero delle registrazioni scomparse Una strana perquisizione notturna in casa del presunto assassino
15 febbraio 2005

Udienza piena di polemiche quella che si è svolta dinanzi alla Corte D'Assise di Trani al cospetto del presidente Maria Concetta Russi per l'omicidio di Anna Maria Bufi, la ragazza che fu brutalmente uccisa 13 anni fa e che fu fatta trovare oramai priva di vita sul ciglio della S.S. 16 bis. E' da segnalare, infatti, l'intervento dell'avvocato Di Terlizzi, difensore di Domenico Marino Bindi, l'uomo accusato di aver ucciso la Bufi, che ha aspramente criticato l'operato del Pubblico Ministero, dott. Bretone in quanto secondo lui avrebbe violato l'articolo 430 c.p.p. perché non avrebbe comunicato al Di Terlizzi, i risultati di un'attività integrativa d'indagine nei confronti di alcuni soggetti, attività che avrebbe dovuto essere immediatamente depositata nella segreteria del pubblico ministero con facoltà delle parti di prenderne visione o estrarne copia. Dal canto suo il P.M. si è giustificato affermando che la sua è un'attività che si lega al segreto professionale. Lasciando da parte l'esasperato tecnicismo giuridico, veniamo alla sostanza del processo con l'esame dei testimoni nominati dal difensore di parte civile della famiglia Bufi, l'avvocato Maralfa. Subito un particolare non indifferente ha colpito l'attenzione della giuria popolare e delle persone presenti in aula. Si è parlato infatti di bobine che sarebbero servite per intercettare le telefonate in uscita dall'abitazione della famiglia Bindi. Ebbene, inizialmente si parlava di quattro bobine con contenuti importanti; poi, in base alla testimonianza di Maddalena Longo, funzionaria della cancelleria della Procura di Trani, si è successivamente constatato, rispondendo ad una precisa domanda del giudice, che “le bobine erano solo due”. Subito dopo è arrivato il turno di Antonia Porta, amica di Lidia Toni, moglie del Bindi. Anche in questo caso le polemiche e i misteri non sono mancati. Oggetto delle domande di parte civile è stata una telefonata, avvenuta tra la moglie del Bindi e Antonia Porta, in cui la stessa sarebbe stata destinataria di alcune confidenze che riguardavano presunti rapporti di amicizia tra il P.M. che all'epoca dell'omicidio era titolare dell'indagine, il dott. Alessandro Messina e Vito Marino Bindi. Di qui la ferma opposizione da parte della difesa che ha chiesto il ritiro delle suddette domande perché la dichiarazione della teste non essendo stata sottoscritta non poteva essere utilizzata come elemento probatorio. Successivamente è arrivato il turno di Michele Boccaccio, insegnante di educazione fisica nonché ex socio della palestra di cui era proprietario, insieme ad altri soci, con il Bindi. Il teste ha descritto Anna Maria Bufi (nella foto) come una ragazza acqua e sapone e molto riservata e ha riferito che era a conoscenza della perquisizione effettuata nella casa dell'imputato, perquisizione a dir poco anomala perché avvenuta “molto tardi, di notte”. Si è parlato anche della crisi tra i coniugi Bindi dovuta al fatto che “lui beveva”. Quella del 9 febbraio è stata un'udienza molto particolare, in cui sono emersi alcuni lati nascosti dei “protagonisti” del nostro processo, ma anche tanti lati oscuri, forse fin troppi. A cominciare dal numero dimezzato di bobine per finire con la perquisizione notturna. A chi scrive è stato affidato il compito di raccontare, senza far nessun tipo di valutazione o di riflessione, ciò che accade all'interno dell'aula giudiziaria, a voi lettori il compito di giudicare, e per chi se la sente, di trarre conclusioni su una vicenda che si fa sempre più complicata e intricata. Prossima udienza 23 marzo. Alessandro de Gioia
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