MOLFETTA - «Abbiamo il dovere di difendere la memoria. Se è successo, può riaccadere». Così Walter Veltroni alla presentazione a Molfetta (nella foto con Francesca Lunanova di "Quindici") del suo nuovo romanzo Noi edito da Rizzoli in un affollatissima sala Finocchiaro commenta l’Italia di oggi mettendo in guardia l’uditorio.
Un libro quello di Veltroni che vuol essere un monito per i più giovani e per i meno giovani che lo ascoltavano attenti e interessati durante il suo discorso. Veltroni durante la presentazione del libro ha ripercorso i momenti più bui della storia italiana, dal 1943 passando dai giorni nostri e immaginandosi il 2025. Così come ha strutturato il suo nuovo libro “Noi” che parte dall’estate del 1943, passa alla primavera del 1963, poi all’autunno del 1980 per poi raccontare i fatti dell’inverno del 2025 (che Veltroni si immagina, ndr).
Il romanzo nato durante una visita al campo di concentramento di Auschwitz ripercorre e fotografa attraverso le storie di quattro ragazzi, Giovanni, Andrea, Luca e Nina, quattro generazioni appartenenti alla stessa famiglia, i diversi avvenimenti che dal ’43 ad oggi hanno segnato la storia dell’Italia.
«Ho cercato di raccontare sotto la storia, la memoria - ha detto Veltroni -. Perché ho seriamente paura che il mondo stia perdendo memoria».
Noi, ha spiegato l’autore, è un modo per far riemergere attraverso la storia e con gli avvenimenti raccontati da questi ragazzi i fatti più bui della storia italiana. «Perché – ha continuato l’ex segretario nazionale del PD - l’uomo ha una memoria selettiva, tende a ricordare i momenti piacevoli e a cancellare quelli più cupi». E’ per questo che Veltroni nel suo libro si sofferma ai tragici avvenimenti del ’43 come il bombardamento di Roma del 19 luglio e la deportazione degli ebrei il 16 ottobre. Nel romanzo racconta attraverso la voce dei protagonisti gli avvenimenti del ’63, le prime televisioni, il boom economico, il primo uomo sulla luna e le tante scoperte in ambito scientifico, facendo permeare quel senso di fiducia e di speranza che in quegli anni albergava felice. Poi dopo il racconto del giovane Giovanni, vissuto all’epoca del fascismo e al racconto del tredicenne Andrea, si passa al racconto di Luca vissuto negli anni terribili della strage di Bologna e la tragedia di Ustica, che registra sulle cassette del suo mangianastri l'anno terribile del terremoto in Irpinia, del terrorismo, dell'assassinio di John Lennon. E poi infine il 2025, con Nina che vorrebbe preservare attraverso la memoria e il ricordo di quello che è già successo il suo futuro e la sua vita.
Il romanzo quindi risulta uno spaccato di quello che il Belpaese ha vissuto negli anni, dalle tragedie ai momenti più felici del boom economico fino ai giorni nostri.
Nell’ultimo capitolo,Veltroni si immagina però i prossimi 15 anni (il 2025, ndr) e racconta di un mondo superfluo dove lo spirito di comunità è perduto e la società fatta ormai solo di “io” e non più di “noi” porterà l’uomo alla violenza e al conflitto con l’altro uomo. «Perciò - spiega Veltroni – ciò che dobbiamo fare, è cercare l’ottimismo, perché nella vita quello che conta è il viaggio e non la meta, una volta approdati in un porto bisogna aver voglia di scoprirne uno nuovo senza mai fermarsi. Invece noi ora siamo cupi, non riusciamo a vedere un futuro migliore per i nostri figli. I ragazzi non sono affatto sicuri che faranno un lavoro migliore di quello che fanno i loro genitori, com’è accaduto invece ad Andrea nel romanzo. E’anche per questo che il mio libro si conclude in inverno, nell’attesa della primavera. Una primavera che non arriva da se, ma solo grazie allo sforzo tutti noi. Ricostruendo quello spirito di comunità e soprattutto il senso e lo spirito del “noi”».
Durante l’incontro Walter Veltroni ha accennato anche al ruolo della politica e al senso di questa che non deve essere vista solo come arricchimento personale, ma come mezzo per migliorare il bene comune, guardando alla politica come ad una missione che un uomo sceglie di intraprendere per cancellare per sempre lo spirito dell’ “io” e infondere nella comunità il senso e lo spirito del “noi”.
«Da qualche tempo siamo arrivati a conoscere solo la cultura del prendere - conclude Veltroni - invece dobbiamo convertirci alla cultura del dare». Insomma, secondo Veltroni, dobbiamo abituarci a dare e non solo a ricevere, perché solo chi dà, poi riceve, insomma chi semina poi raccoglie.