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Presentato a Molfetta il libro “Un popolo alla sbarra”, di Valentino Romano Il primo appuntamento dell’8° edizione della rassegna “Storie italiane”, a cura della libreria “Il Ghigno”
Romano, Spagnoletti, De Marco
31 agosto 2020

MOLFETTA - Il primo appuntamento dell’8° edizione della rassegna letteraria “Storie italiane”, a cura della storica libreria molfettese “Il Ghigno” vede protagonista la presentazione del libro “Un popolo alla sbarra. Giustizia militare: la repressione dei contadini-briganti in terra di Bari e Taranto 1864-1865, dello storico Valentino Romano (Secop editore).

«Dopo mesi di lockdown in cui i nostri animi sono stati messi a dura prova, è giunto il momento di riprenderci i nostri spazi, di riappropriarci delle passioni che siamo soliti coltivare, quale miglior occasione la presentazione del libro dell’autore storico Romano», introduce la prof.ssa Isa de Marco.

«Quale migliore cornice per festeggiare i 15 anni che ci vedono combattere per diffondere un certo tipo di letteratura, amo definire Secop “una casa editrice altra”, in cui il pluralismo, la varietà e la validità vengono messi al primo posto dall’editore Peppino Piacente. La collana che comprende anche “Un popolo alla sbarra”, nata da poco, all’insegna della scoperta, ma soprattutto della riscoperta della storia è diretta da Marino Pagano», prosegue l’addetta alle pubbliche relazioni della casa editrice Secop, Raffaella Leone.

«La collana “storia è memoria” è una raccolta saggistica, con una particolare attenzione alle ragioni del Sud, il cui intento è ricordare che non sempre la memoria è sinonimo di storia, ma filtrata attraverso le lenti sapienti dello storico può valorizzarla nel modo migliore», dichiara Marino Pagano, direttore della collana “Storia è memoria” di cui fa parte l’inedita opera dell’autore Romano.

«Il prodotto storico, steso con rigore scientifico, è un libro ben confezionato - afferma il professore di storia moderna Angelantonio Spagnoletti -. I toni sono sia sobri che partecipativi, l’autore non si lascia attrarre dalle sirene del revisionismo ma tratta tematiche spinose con un’attenta e scrupolosa penna di storico».

Il fulcro dell’opera è la lotta al brigantaggio, intentata da italiani (non solo dai piemontesi come si è soliti dire), esaminata e inquadrata in maniera puntuale e pedissequa grazie alla consultazione di fonti archivistiche, sia provinciali che nazionali.

L’autore brindisino, dopo aver ringraziato la casa editrice Secop e l’uditorio, rimarca il suo orgoglio di essere pugliese: «Ho la fortuna di vivere in una gioielleria, piena di scrigni. Uno di questi è l’archivio centrale nazionale, luogo in cui ho potuto consultare i 200 faldoni che mi hanno permesso di approfondire le mie conoscenze e porre le basi per il mio libro». L’interazione letteraria tra i due storici Romano e Spagnoletti ha focalizzato l’attenzione della platea sull’emanazione della Legge Pica, del 15 agosto 1863, n. 1409 (dal nome del suo promotore, il deputato abruzzese Giuseppe Pica), la quale introdusse il reato di brigantaggio, i cui trasgressori sarebbero stati giudicati dai tribunali militari, prodotto legislativo che ha permesso di consultare i benedetti fascicoli dell’archivio centrale italiano; l’endemicità del brigantaggio/banditismo nel Sud Italia e la fine di esso, grazie al lungimirante generale Emilio Pallavicini.

L’iter processuale del brigante catturato è raccontato con perizia storica dallo scrittore Romano, il quale trae un excursus cronologico dei secoli in cui il brigantaggio ha imperversato: dalla fine del ‘500 che vede protagonista il brigante Marco Sciarra e le sue bande; alla fine del ‘600; alla pausa dell’anno 1799 (anno in cui si verificò una rivolta repubblicana, repressa duramente da Ferdinando IV, poi divenuto Ferdinando I delle Due Sicilie, in cui furono condannati a morte tutti i giacobini rivoltosi); all’800 che vide protagonista la banda della famiglia Vardarelli; ai briganti della terra d’Otranto. Percorso storico che testimonia una tensione nella società meridionale, alla mercé del brigantaggio perché isolato dallo Stato.

Il filo conduttore dell’opera è sicuramente il rapporto tra il banditismo e il contesto storico-sociale: «E’ doveroso fare una premessa: il liberatore utilizza gli stessi metodi dell’oppressore. Pallavicini ebbe l’intuizione di comprendere che bisognava adottare le stesse metodologie dei briganti. Egli articolò la campagna militare in questo modo: la prima reazione fu combattere le insorgenze, la seconda fu quella di articolare le truppe in “colonne mobili”: composte sia dai reparti di fanteria, dei bersaglieri e della cavalleria, dislocate in varie parti della Puglia: Barletta, Altamura e Taranto, in modo che le bande criminali non avessero rifugio e soprattutto perdessero il consenso popolare, concesso per l’assenza dello Stato che finalmente si faceva sentire e rivedere», racconta l’autore Romano.

“Un popolo alla sbarra. Giustizia militare: la repressione dei contadini-briganti in terra di Bari e Taranto 1864-1865.”, è un prodotto letterario storico che vale la pena di essere letto e sviscerato, per puro orgoglio del Sud, perché “la sbarra” deve essere solo lo strumento per innalzarci non per castigarci.

© Riproduzione riservata

Autore: Marina Francesca Altomare
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