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Poesia e musica con Ada de Judicibus Lisena
15 dicembre 2013

Raffinatissima e di grande suggestione emotiva la conversazione che, in data 26 novembre, ha visto quale protagonista, presso l’Università Popolare Molfettese, la poetessa Ada De Judicibus Lisena. La scrittrice, con l’ausilio delle efficaci letture della brava Lucia Amato, ha presentato un gruppo di sue liriche, alcune inedite, ispirate all’ascolto di grandi autori della storia della musica. A introdurre la serata la Presidente dell’Associazione, prof.ssa Ottavia Sgherza, che, muovendo dal celebre discorso di Eugenio Montale a Stoccolma sulla sopravvivenza della poesia, ha poi riflettuto sulla peculiarità della poetica della De Judicibus Lisena. Ella parte dalla “disforia della storia”, per poi librarsi nella “dimensione estatica della poesia”. Nei suoi versi si avverte il “dolce naufragio dell’io fenomenico nell’io puro”, in un “dettato sorretto da un rigoroso controllo formale”. Dopo la sua lucida presentazione, la prof.ssa Sgherza ha ceduto la parola alla scrittrice, che ha voluto aprire la serata con la lettura di una poesia inedita, consacrata al mese di novembre. Rifiutando l’inerzia e l’”abulia” spesso ispirate dalle inclementi condizioni del cielo, la poetessa pennella la squisita effigie di un “frate Novembre” che al convento predilige la strada, totalmente “immerso nelle dinamiche della vita”. Una sorta di “frate operaio” in camice, prefigurazione, composta in tempi non sospetti, dell’attiva dedizione al prossimo di Papa Bergoglio, con il suo francescanesimo e la sua “concezione evangelica della vita”. Poi si passa al gruppo delle liriche accomunate dall’esaltazione del magnetico e pervasivo potere della musica, senza la quale, affermava Nietzsche, “la vita sarebbe un errore”. Riecheggiano così frammenti d’ascolto, che, sull’onda dell’ispirazione poetica, determinano, in chi si lasci rapire dall’incanto di questa comunione tra musica e verso, un indefinibile “senso d’ali”. Dalla “cattedrale sommersa” di Debussy, “estatica nenia di un liquido sogno”, la poetessa muove a rievocare lo stato di grazia avvertito all’ascolto delle note del Largo di Händel, udite da un “giardino mosso dal vento”, mentre si libravano in un complesso ecclesiastico di Bergamo. Mirabile esempio di “armonia tra natura e cultura”, con la musica in sintonia perfetta con il frusciare delle foglie, questi versi rappresentano un limpido esempio dell’eleganza innata della poesia della De Judicibus. La scrittrice prosegue in un dialogo, che diviene piacevolissima conversazione sulla storia della musica. Riflette sulla grandezza di Bach, “perizia musicale”, sorretta da una poderosa ispirazione etico-morale; registra gli effetti di un suo andante sulla piccola nipote, che interrompe il gioco per abbandonarsi a un pensoso ascolto del concerto, in un delizioso bozzetto di vita infantile. E ancora la scrittrice medita su Mozart, rassomigliando un suo adagio a un giardino bellissimo, “magari all’italiana”, scrutato “dietro vetri di malinconia”. La gioiosa vitalità del farfallone Cherubino diviene occasione per esaltare la “grazia di efebo” del nipotino Francesco, “albero snello”, che gioca col vento. La musica di Rachmaninov accompagna ancora il compianto marito della scrittrice, Francesco Lisena, in un suo ritorno alla salute, dopo un delicato intervento subito a Bergamo (questa dolorosa vicenda esistenziale è al centro della silloge Note ai margini di una pena). Infine, la scrittrice riflette su due colossi della musica ottocentesca, Wagner e Verdi, meditando sull’essenza della loro arte, sulla natura allegorica di divinità ed eroi wagneriani e sulla profonda, per dirla con Bontempelli, “terrestrità” delle creature verdiane. Rivivono, grazie alla magia delle loro note e all’incanto orfico dei versi della De Judicibus, memorie di un recente passato, della Molfetta delle feste patronali, con il padiglione della lirica; del giudice Poli, amante della musica wagneriana, che tornava da campestri promenades con un “rametto d’ulivo nell’occhiello”. Memorie familiari, con il nonno amorevole complice di meravigliosi ascolti verdiani... La musica ricopre un ruolo fondamentale nell’ispirazione della Lisena: potremmo citare anche liriche non oggetto di lettura nel corso della serata, ma egualmente significative. “La guerra era vicina”, con la scrittrice che coglie “iris / sui margini dell’orto” e canta lo stornello della Lola di Mascagni, mentre le nubi del secondo conflitto mondiale si addensano all’orizzonte; o “Canzoni”, in cui, alla voce della madre che intona motivetti malinconici come Pierrot, lo spazio della casa pare dilatarsi smisuratamente. “Un sogno, un’utopia”, in cui è rievocato il “padre accigliato e tenero”, forse involontario fautore della passione infinita della scrittrice per la musica. Bellissimo anche l’inedito a conclusione della serata, una “Leggenda”, quella di San Martino, evocazione di una primo fantasticante e platonico innamoramento per il cavaliere che divise il suo mantello con un povero. Espressione di quell’inveterato moto d’amore per il creato e le creature, che avvolge e anima la poesia della De Judicibus Lisena e le dona quel palpito di grazia che da sempre la connota.

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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