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Pochi figli, paura del futuro e instabilità economica turbano le giovani coppie. Incontro con il vescovo di Molfetta
24 marzo 2012

MOLFETTA - Si fanno pochi figli, non c’è tempo, si ha paura del futuro, c’è instabilità economica e non si pensa agli ultimi. Una famiglia tendenzialmente chiusa ed asfittica, poco solidale verso gli altri, afflitta dai problemi della vita quotidiana che impediscono un proficuo dialogo tra coniugi. Una famiglia lacerata dal tempo che non basta mai, ed oppressa dalle incertezze di un futuro pieno di incognite ed interrogativi.
E’ questa la realtà che vivono le giovani coppie di sposati, ad un anno così come a cinque anni dal matrimonio, tra fasi di transizione e cambiamenti in rapida successione, cui non è sempre facile adeguarsi. Soprattutto quando arriva il primo figlio. Che spesso finisce per rimanere unico. Soprattutto quando il lavoro si perde o non è mai stato fisso. Soprattutto quando la propria casa resta un’utopia e si paga l’affitto per un monolocale, pur di “metterla su”, questa famiglia.
E’ quanto è emerso nel corso dell’incontro del vescovo, mons. Luigi Martella, con le giovani coppie di sposi della Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, tenuto il 18 marzo scorso nell’auditorium “Regina Pacis” della parrocchia della Madonna della Pace. Nel giorno di quello che sarebbe stato il 77esimo compleanno dell’indimenticato vescovo della Diocesi, don Antonio Bello, per la prima volta in assoluto, l’Ufficio Pastorale per la Famiglia ha organizzato l’incontro, da tempo fortemente voluto, tra il vescovo e poco più di una ventina di coppie di sposi, coordinate da animatori dei corsi di preparazione al matrimonio, educatori dell’Azione Cattolica, e dal parroco della chiesa Cuore Immacolato di Maria, il giovane don Vincenzo Di Palo.
Dopo l’incontro di due settimane fa con i fidanzati, è stata la volta di quello con le giovani coppie, unite nel sacro vincolo del matrimonio. Un momento di riflessione, preghiera, dialogo, confronto su argomenti di importanza cruciale per la vita stessa della famiglia, alla luce del VII incontro mondiale delle famiglie con il Papa, che si svolgerà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno 2012, e per il quale è previsto un enorme afflusso di partecipanti da tutto il mondo.
“Si tratta di una iniziativa – ha spiegato il vescovo – venuta fuori in questo anno pastorale, ma che era nell’animo da tanto tempo. L’ho comunicata ai sacerdoti, a don Vincenzo, e all’ufficio pastorale per la famiglia e abbiamo preso l’impegno di convocarvi, perché ci accorgiamo che alcune attenzioni sono sviluppate, altre un po’ meno. C’è molta attenzione a livello generale per il matrimonio, nella sua fase di preparazione con i corsi pre-matrimoniali ormai ben consolidati, i quali sono di grande sostegno ed aiuto, anche nei confronti di quei sposi che partecipano con iniziale diffidenza, come se quella del corso pre-matrimoniale fosse una sorta di ‘tassa’ da pagare alla Chiesa per sposarsi. Ma non basta. Abbiamo constatato quanto nel corso di questo cammino nascano legami di grande familiarità tra i partecipanti e sorga il bisogno di continuare ad incontrarsi. Perché è necessario interrogarci su dove stiamo costruendo la nostra casa. Se sulla roccia dei valori o se sulla sabbia dell’effimero. E’ vero – ha ammesso mons. Martella – non siamo in molti in questa splendida domenica di sole, ma questo è un primo tentativo che assume il valore di una decisione irreversibile. Quando si parla di pastorale familiare, si deve intendere la famiglia in tutto il suo percorso completo. In questo processo mancava un anello: le giovani coppie di sposi. Orbene, da qui al 2013 ci incontreremo almeno una volta l’anno”.
Parole pronunciate con mitezza, dolcezza, umiltà assolute. “Vi ringrazio per l’accoglienza – ha detto don Gino, (lo chiamavano così, ndr) – sono grato della vostra presenza e, anche se non siamo tantissimi, posso essere contento”.
Poi la sorpresa. E le risate. Una sfilata di famiglie-tipo davanti a lui. Con la colonna sonora inconfondibile del talk-show “Uomini e Donne”. Sei famiglie, per la precisione. Una provocazione bella e buona, che ha fatto riflettere mentre si rideva. Sì, perché secondo i ragazzi dell’Azione Cattolica della Parrocchia Cuore Immacolato di Maria, guidati dagli educatori Marianna, Leonardo e Vincenzo, esistono sei tipi di famiglie: quella devota, disoccupata, snob, in affari, coatta e sportiva. Tutte con eccessi specifici, tipici della sua connotazione. E di queste, insomma, non se ne salvava neanche una.
Sono stati invece tre gli argomenti su cui si è incentrata la riflessione, per così dire “seria”. Suddivisi in tre gruppi, i giovani sposi sono stati invitati a sedersi formando un cerchio simbolico e, guidati dagli educatori, si sono interrogati e confrontati su: la famiglia che genera la vita; la famiglia che si apre agli altri; la famiglia e il tempo. “Come chiesa domestica, la famiglia è chiamata ad annunciare, celebrare e servire il Vangelo della Vita. E’ un compito che riguarda innanzitutto i coniugi, chiamati ad essere trasmettitori della vita, sulla base di una sempre rinnovata consapevolezza del senso della generazione, come evento privilegiato nel quale si manifesta che la vita umana è un dono ricevuto per essere a sua volta donato.
Nella procreazione di una nuova vita i genitori avvertono che il figlio se è il frutto della loro reciproca donazione d’amore è, a sua volta, un dono per ambedue, un dono che scaturisce dal dono” (Evangelium Vitae, 92). Orbene, sulla base della lettura di questo breve passo, è emerso che si genera poco per tre ragioni: l’egoismo, l’instabilità economica, l’impossibilità di avere figli. Ma il principale, spesso, addirittura l’unico, freno al desiderio di genitorialità è proprio l’egoismo. Perché non si è pronti al sacrificio, non si vuol perdere la libertà, non si è disposti a “mettersi in gioco” ed esiste, nella coppia e a livello personale, una “scaletta di priorità” nella quale i figli non si direbbe siano proprio collocati ai primi posti. E, con la scusa della crisi e della instabilità economica, si tende a rimandare. Insomma, non si fanno figli o, al massimo, se ne fa uno soltanto.
Diversa completamente è invece la condizione di coloro che desiderano ardentemente un figlio che “tarda” ad arrivare.
Altra riflessione: l’apertura della coppia al mondo che la circonda. “A ben guardare, la crisi della famiglia contemporanea, soprattutto la sua crisi educativa, è essenzialmente il frutto di una incapacità ad aprirsi ai problemi del mondo. La famiglia non riuscirà a sopportare la pressione della realtà solo chiudendo porte e finestre e rifugiandosi in una malintesa ed asfittica intimità. Una famiglia chiusa è una famiglia che, prima o poi, esplode e si disintegra (G. Campanini). Niente di più vero. Presi dallo stress del quotidiano e dalle nuove responsabilità, non si frequentano più gli amici, cambia il tempo e lo spazio che le famiglie di origine occupano, e degli ultimi, di chi ha difficoltà, non ci si preoccupa per nulla. Non si sa neanche riconoscerli e dunque aiutarli. Come fossero trasparenti.
Infine, il tempo. Questo sconosciuto elemento che ci accompagna dalla culla alla tomba, eppure così inafferrabile. “Bisogna saperlo gestire, organizzandosi”, ha consigliato il vescovo. “Molti dicono: non ho tempo, ma in realtà non è così. Ci vuole organizzazione, altrimenti è il tempo che organizza noi”. E’ seguita poi una presentazione in powerpoint sull’attività del Consultorio familiare Diocesano, dal titolo “Già sposi, ed ora?”, in cui è stato sintetizzato, con l’ausilio di numerose foto, il percorso per genitori in attesa e neo-genitori tenuto negli ultimi anni da specialisti, coordinati dalla responsabile, Giovanna Parracino, nella sede di piazza Garibaldi, accanto al Seminario Vescovile, e rivolto alle giovani coppie prima e dopo la nascita di un figlio. Nell’occasione è stata ribadita la disponibilità del Consultorio ad accogliere, sostenere ed ascoltare le giovani famiglie, con l’ausilio di volontari ed esperti, pronti a collaborare con sensibilità e competenza.
E’ seguita infine la celebrazione della Santa Messa nella Chiesa della Madonna della Pace e la consegna, a ciascuna coppia di sposi, dalle mani del vescovo, della sua lettera scritta per loro. Perché l’incontro annuale con i giovani sposi sia “un prezioso momento di sosta nel cammino di coppia, una sosta di riflessione, di riposizionamento, un attimo di ricarica per il tratto di strada successivo”, scrive don Gino. Perché, a fondamento della casa degli sposi, non sia la sabbia dell’effimero, ma la roccia dei valori. La roccia dell’essenziale. 

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Autore: Giulia La Volpe
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……..poi incomincerai a camminare da te, a mangiare da te, a scegliere da te dove andare e quando lavarti. E allora sorgeranno altre schiavitù. I miei consigli. I miei insegnamenti. Le mie raccomandazioni La tua stessa paura di darmi dolore facendo cose diverse da quelle che ti avrò insegnato. Passerà molto tempo, ai tuoi occhi, prima ch'io ti lasci partire come gli uccelli che i genitori buttano fuori dal nido, il giorno in cui sanno volare. Infine quel tempo verrà, e io ti lascerò partire, ti lascerò attraversare la strada da solo, col verde e col rosso. Ti ci spingerò. Ma questo non aumenterà la tua libertà perché mi resterai incatenato con la schiavitù degli affetti, la schiavitù dei rimpianti. Alcuni la chiamano schiavitù della famiglia. Io non credo alla famiglia. La famiglia è una menzogna costruita da chi organizzò questo mondo per controllare meglio la gente, sfruttarne meglio l'obbedienza alle regole e alle leggende. Ci si ribella più facilmente quando si è soli, ci si rassegna più facilmente quando si vive con altri. La famiglia non è che il portavoce di un sistema che non può lasciarti disubbidire, e la sua santità non esiste. Esistono solo gruppi di uomini e donne e bambini costretti a portare lo stesso nome e abitare sotto lo stesso tetto: detestandosi, odiandosi, spesso. Però il rimpianto esiste, e i legami esistono, radicati in noi come alberi che non cedono neanche all'uragano, inevitabili come la fame e la sete. Non te ne puoi mai liberare, anche se ci provi con tutta la tua volontà, la tua logica. Magari credi di averli dimenticati e un giorno riaffiorano, irrimediabilmente, spietati, per metterti la corda al collo più di qualsiasi boia. E strozzarti. Insieme a quelle schiavitù, conoscerai quelle imposte dagli altri e cioè dai mille e mille abitanti del formicaio. Le loro abitudini, le loro leggi. Non immagini quanto sono soffocanti le loro abitudini da imitare, le loro leggi da rispettare. Non fare questo, non fare quello, fai questo e fai quello…….. E se ciò è tollerabile quando vivi tra brava gente che ha un'idea della libertà, diventa infernale quando vivi tra prepotenti che ti negano perfino il lusso di sognarla, realizzarla nella tua fantasia. Le leggi dei prepotenti offrono un solo vantaggio: ad essi puoi reagire lottando, morendo. Le leggi della brava gente, invece, non t'offrono scampo perché ti si convince che è nobile accettarle. In qualsiasi sistema tu viva, non puoi ribellarti alla legge che per mangiare ci vuole il denaro, per dormire ci vuole il denaro, per camminare dentro un paia di scarpe ci vuole il denaro, che per avere il denaro bisogna lavorare. Ti racconteranno un mucchio di storie sulle necessità del lavoro, la gioia del lavoro, la dignità del lavoro. Non ci credere, mai. Si tratta di un'altra menzogna inventata per la convenienza di chi organizzò questo mondo. Il lavoro è un ricatto che rimane tale anche quando ti piace. Lavori sempre per qualcuno, mai per te stesso……………………..forse in passato tanto lontano che se ne è smarrito il ricordo, lavorare era una festa, un'allegria. Tu vieni al mondo dopo “2012” anni la nascita di un uomo che chiamano Cristo il quale venne al mondo centinaia di migliaia di anni dopo un altro uomo di cui si ignora il nome, e di questi tempi le cose vanno come t'ho detto. Una recente statistica afferma che siamo già cinque miliardi. In quel mucchio entrerai. E QUANTO RIMPIANGERAI IL TUO SGUAZZARE SOLITARIO NELL'ACQUA, BAMBINO! (Dialogo immaginario....Lettera un bambino mai nato - O.F.)
“Se fosse uomo! - Ma se nascerai uomo io sarò contenta lo stesso. E forse di più perché ti saranno risparmiate tante umiliazioni, tante servitù, tanti abusi. Se nascerai uomo, ad esempio, non dovrai temere d'essere violentato nel buio di una strada. Non dovrai servirti di un bel viso per essere accettato al primo sguardo, di un bel corpo per nascondere la tua intelligenza. Non subirai giudizi malvagi quando dormirai con chi ti piace, non ti sentirai dire che il peccato nacque il giorno in cui cogliesti una mela. Naturalmente ti toccheranno altre schiavitù, altre ingiustizie; neanche per un uomo la vita è facile, sai. Poiché avrai la barba, rideranno se tu piangi e perfino se hai bisogno di tenerezze. Poiché avrai una coda davanti, ti ordineranno di uccidere o essere ucciso alla guerra ed esigeranno la tua complicità per tramandare la tirannia che instaurarono nelle caverne. Eppure, o proprio per questo, essere un uomo sarà un'avventura altrettanto meravigliosa: un'impresa che non ti deluderà mai. Almeno lo spero perché, se nascerai uomo, spero che sarai un uomo come io l'ho sempre sognato: dolce coi deboli, feroce coi prepotenti, generoso con chi ti vuole bene, spietato con chi ti comanda. Infine, nemico di chiunque racconti che i Gesù sono figli del Padre e dello Spirito Santo: non della donna che li partorì. Bambino, io sto cercando di spiegarti che essere un uomo non significa avere una coda davanti: significa essere una persona. E anzitutto, a me, interessa che tu sia una persona. E' una parola stupenda, la parola persona, perché non pone limiti a un uomo o a una donna, non traccia frontiere tra chi ha la coda e chi non ce l'ha. Del resto il filo che divide chi ha la coda da chi non ce l'ha, è un filo talmente sottile: in pratica si riduce alla facoltà di maturare o no una creatura nel ventre. Il cuore e il cervello non hanno sesso. Ti chiederò solo di sfruttare bene il miracolo d'essere nato, di non cedere mai alla viltà. E' una bestia che sta sempre in agguato, la viltà. Ci morde tutti, ogni giorno, e son pochi coloro che non si lasciano sbranare da lei. In nome della prudenza, in nome della convivenza, a volte della saggezza. Vili fino a quando un rischio li minaccia, gli umani diventan spavaldi dopo che il rischio è passato. Non dovrai evitare il rischio, mai: anche se la paura ti frena. Venire al mondo è già un rischio. Quello di pentirsi, poi, d'essere venuti . - (Oriana Fallaci – Lettera a un bambino mai nato)

"......è emerso che si genera poco per tre ragioni: l'egoismo, l'instabilità economica, l'impossibilità di avere figli". C'è una quarta ragione: l'AMORE! - “Sarai un uomo o una donna? Vorrei che tu fossi una donna. Vorrei che tu provassi un giorno ciò che provo io: non sono affatto d'accordo con la mia mamma la quale pensa che nascere donna sia una disgrazia. La mia mamma, quando è molto infelice, sospira: “Ah, se fossi nata uomo!” Lo so: il nostro è un mondo fabbricato dagli uomini per gli uomini, la loro dittatura è così antica che si estende perfino nel linguaggio. Si dice uomo per dire uomo e donna, si dice bambino per dire bambino e bambina, si dice figlio per dire figlio e figlia, si dice omicidio per indicar l'assassinio di un uomo e di una donna. Nelle leggende che i maschi hanno inventato per spiegare la vita, la prima creatura non è una donna: è un uomo chiamato Adamo. Eva arriva dopo, per divertirlo e combinare guai. Nei dipinti che adornano le loro chiese, Dio è un vecchio con la barba: mai una vecchia coi capelli bianchi. E tutti i loro eroi sono maschi: da quel prometeo che scoprì il fuoco a quell'Icaro che tentò di volare, su fino a quel Gesù che dichiararono figlio del Padre e dello Spirito Santo: quasi che la donna da cui fu partorito fosse un'incubatrice o una balia. Eppure, o proprio per questo, essere donna è così affascinante. E' un'avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai. Avrai tante cose da intraprendere se nascerai donna. Per incominciare, avrai da batterti per sostenere che se Dio esistesse potrebbe anche essere una vecchia coi capelli bianchi o una bella ragazza. Poi avrai da batterti per spiegare che il peccato non nacque il giorno in cui Eva colse una mela: quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disubbidienza. Infine avrai da batterti per dimostrare che dentro il il tuo corpo liscio e rotondo c'è un'intelligenza che urla d'essere ascoltata. Essere mamma non è un mestiere. Non è nemmeno un dovere. E' solo un diritto fra tanti diritti. Faticherai tanto ad urlarlo. E spesso, quasi sempre, perderai. Ma non dovrai scoraggiarti. Battersi è molto più bello che vincere, viaggiare è molto più divertente che arrivare: quando sei arrivato o hai vinto, avverti un gran vuoto. E per superare quel vuoto devi metterti in viaggio di nuovo, crearti nuovi scopi. Si, spero che tu sia donna: non badare se ti chiamo bambino. E spero che tu non dica mai ciò che dice mia madre. Io non l'ho mai detto. – Se fosse uomo!...........(continua)

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