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Pesante impatto della crisi economica a Molfetta
15 gennaio 2009

Ormai la parola “crisi”, negli ultimi mesi, è la più utilizzata nelle analisi economiche, nei resoconti giornalieri, nei listini di borsa: basti vedere i titoli in discesa, le prospettive di recessione del FMI o della Banca centrale europea, che, in uno dei suoi bollettini mensili, ha prospettato un “periodo di debolezza piuttosto prolungato”. Basti guardare quello che succede intorno a noi. Per avere le idee chiare, bisogna sapere che questo scenario economico, innescato dal crollo dei subprime americani, non è una crisi di liquidità: significherebbe che l'economia è nei guai perché le imprese non possono più ottenere crediti e prestiti per i loro investimenti. Al contrario, la crisi del 2008 è il risultato della crescita eccessiva della finanza rispetto alla crescita dell'economia reale, la produzione. Le statistiche di questi mesi fotografano un'Italia depressa e insoddisfatta: la percentuale di coloro che si dichiarano soddisfatti della propria situazione economica registra un crollo dal 51,2% del 2007 al 43,7% del 2008. Per non parlare della sfiducia dei giovani, che vedono il proprio futuro contrarsi, perché i tempi per il primo impiego si sono allungati. L'inflazione, la recessione e i default finanziari galoppano e si abbattono come macigni sugli italiani, che si lamentano e richiedono riforme per uscire dalla crisi: lo Stato, di contro, riduce le spese attraverso la legge del taglione, soprattutto su quei settori di estrema necessità sociale, quali sanità e scuola. Le riforme approvate non hanno prodotto soluzioni efficaci e capaci di invertire questo flusso negativo: i bassi salari e la sfiducia stanno facendo calare a picco i consumi, costringendo molti imprenditori e commercianti a resistere, rivedendo i prezzi per non chiudere le proprie aziende, anche se chi, nonostante la crisi, li ha ritoccati in aumento per non perdere i propri profitti. Molti ritengono che questa crisi internazionale porterà ad una “seconda metamorfosi”, dopo quella avvenuta tra il 1945 e il 1975, grazie a immigrati, piccole imprese, crescita della competitività, temperata gestione dei consumi e dei comportamenti. È bene, allora, capire la reale situazione economico-sociale del Paese, per non partire dal principio di “avere la botte piena e la moglie ubriaca”, che in periodo di vacche magre è una cosa sconsiderata e iniqua per molti. Quindici, partendo da queste premesse, ha realizzato un'inchiesta fra i cittadini di Molfetta sull'impatto della crisi a livello economico, famigliare e sociale, con l'intento di capire la reale situazione della città in questo periodo, la percezione e gli effetti della recessione e le modalità dei tagli operati. La lettura dei grafici ci obbliga ad alcune considerazioni, al di là delle fredde percentuali. Innanzitutto, dai 20 ai 50 anni si sono effettuati i maggiori tagli, in riferimento a beni primari (come generi alimentari o vestiario e scarpe) o a beni superflui (come viaggi, cinema, teatro, concerti o tecnologie). Allo stesso tempo, i pensionati e il ceto medio impiegatizio e autonomo hanno ridotto o, addirittura, soppresso le spese negli acquisti (le percentuali maggiori si registrano, ad esempio, per pasti fuori casa, viaggi, frequentazione di cinema e teatri, acquisto di elettrodomestici e tecnologie): infatti, le buste paga o le pensioni sono rimaste le stesse, i consumi sono diminuiti, ma il carovita e i prezzi della merce aumentati. Del resto, questo conferma uno studio dell'Ires-Cgil, secondo cui le buste paga hanno registrato nel 2008 una crescita pari allo zero e l'aumento medio annuale della retribuzione (3,4%) verrà fagocitato dall'elevato tasso di inflazione (circa il 3,4%). Se la classe dirigente non ha, viceversa, ridotto drasticamente i consumi, i dati relativi alla classe operaia e agli studenti non devono trarre in inganno: le percentuali piuttosto basse non denotano stabilità o aumento dei consumi, ma ci permettono di capire come queste due classi sociali abbiano effettuato i tagli maggiori e più dolorosi, rispetto al potere d'acquisto reale dei salari dei primi e all'assenza di un reddito per i secondi. Anche la percezione della crisi è relativa alla classe operaia, al ceto medio autonomo e ai pensionati per le ragioni sopra denunciate, mentre la stabilità la palesano il ceto medio impiegatizio e gli studenti e un miglioramento solo la classe dirigente: questi dati si riscontrano anche per quel che concerne la percezione in base all'età, perché tutti, con le dovute oscillazioni, sono consapevoli della recessione in atto e del peggioramento delle proprie condizioni di vita. Molti hanno rinunciato ad acquisti importanti (24,4%), come casa, auto, arredamenti, altri hanno individuato strategie per difendere il portafogli domestico, risparmiando su elettricità, riscaldamento e benzina. Una percentuale superiore (28,6%) acquista nel periodo dei saldi, una pratica diffusa e, ormai, necessaria. Non meno importanti le percentuali di coloro che hanno ridotto le uscite (19,3%) o hanno smesso le attività del tempo libero (16,3%). Ma il dato più preoccupante è questo: il 67,7% degli intervistati ritiene che i giovani di oggi avranno una situazione socio-economica peggiore dei loro genitori.
Autore: Marcello la Forgia
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