Perché la Shoah: Michele Spadavecchia degli “Eredi della storia” all'Associazione Eirène di Molfetta
MOLFETTA - “I am a Jew. Hath not a Jew eyes? Hath not a Jew hands, organs, dimensions, senses, affections, passions? Fed with the same food, hurt with the same weapons, subject to the same diseases (…) as a Christian is?” (“Io sono un Ebreo. Non ha occhi un Ebreo? Non ha mani, organi, membra, sensi, affetti, passioni un Ebreo? Non è nutrito dallo stesso cibo, ferito dalle stesse armi, soggetto alle stesse malattie di un Cristiano?) (William Shakespeare, The merchant of Venice, Atto III scena I). Così Shylock, l’ebreo shakespeariano, poneva una questione tanto ovvia quanto cruciale, contro i suoi detrattori. Il popolo ebraico è sempre stato vittima di persecuzioni, come dimostra già l’opera dell’autore inglese del sedicesimo secolo, sarà per la maledizione di non avere una terra, per la posizione che occupava nelle attività finanziarie (Shylock stesso era un usuraio) o per la “colpa” di aver causato la morte di Cristo. Senza dubbio l’episodio più eclatante e crudele è quello della Shoah, di cui sempre si parla per cercare di evitare che un tale fenomeno si ripeta. Il prof. Michele Spadavecchia, presidente dell’associazione “Eredi della storia”, ha rievocato gli elementi salienti dell’Olocausto nella serata “Perché la Shoah”, tenutasi alla sede dell’associazione Eirène, di cui Lucia Sgherza (nella foto) è la presidente. Il processo di esclusione e disumanizzazione degli ebrei è stato talmente lento e così graduale che il popolo tedesco quasi non se n’è reso conto. Bisogna premettere che quello era un periodo particolare per la Germania, uscita sconfitta dalla Grande Guerra e strozzata economicamente dalle potenze vincitrici, tanto che il marco aveva ormai il valore di carta straccia. L’enorme crisi e la decadenza derivatene spinse il Paese ad accettare una soluzione, una qualunque soluzione, che gli permettesse di vedere la luce e tornare alla precedente grandezza. Ecco perché Hitler venne accolto come una specie di salvatore della patria e il partito nazista riuscì a salire al potere, con tutte le conseguenze che conosciamo.
Dapprima fu pensato di deportare gli ebrei in Madagascar, ma la soluzione fu impossibile da attuare a causa di difficoltà logistiche e anche perché la Royal Navy inglese controllava i mari e non avrebbe mai permesso un’azione del genere. Nel febbraio del 1941 Hitler e Robert Ley, politico tra i più importanti del Partito Nazionalsocialista, pensano alla Judenfrage, la soluzione finale per eliminare questo popolo; l’importante però era rendere il provvedimento legale. Ma il tutto cominciò molto prima. Per prima cosa era necessario definire chi era da considerare ebreo, ovvero i praticanti, coloro che avevano uno o entrambi i genitori o i nonni ebrei. Si cominciò poi col boicottaggio delle attività commerciali, ad opera delle cosiddette camicie brune, che si piazzavano davanti ai negozi ed esortavano la gente ad andarsene e a non entrare. Il 13 settembre 1935 venne promulgata la legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco, vietando i matrimoni tra ariani ed ebrei e vietando alle famiglie ebree di assumere personale di razza ariana. Nel ’38 fu emanato l’ordine di chiusura delle attività e l’obbligo di vendita a compratori tedeschi a prezzi irrisori: agli ebrei non era concesso di possedere nulla; infatti in seguito venne anche vietato di avere capi di vestiario “superflui”, biciclette, apparecchi elettrici e oggetti di valore in genere, i quali andavano consegnati, fu persino vietato di avere animali domestici; in alcune città era negato loro l’ingresso; nel ’42 fu anche vietato l’insegnamento ai bambini di religione ebraica, divieto che però fu aggirato da attività di studio clandestine. C’era la possibilità di lasciare il Paese, ma solo a costo di un pesante versamento, fu infatti istituita la tassa sulla migrazione. Quelli che rimanevano erano destinati al lavoro coatto nelle fabbriche e nel 1941 ci fu l’obbligo di portare la stella gialla a sei punte, simbolo del giudaismo, come segno di distinzione e insieme arrivò la deportazione verso i ghetti (che mai furono posti in Germania, a causa di una certa resistenza); questa forzata segregazione era indice della completa rottura di tutte le relazioni sociali tra tedeschi ed ebrei e significava anche la completa disumanizzazione di questi ultimi. Nei ghetti era anche seguita una dieta particolare, senza pane bianco, panini, carne e uova e il cibo era razionato, raggiungendo quantità inferiori alle razioni giornaliere dei detenuti; l’obiettivo era affamare gli ebrei e questo portò a circa 5.000 morti al giorno, a causa di malattie, epidemie e stenti.
Il 20 gennaio 1942 ci fu il convegno di Wannsee, tenutosi in una villa sul lago omonimo, durante il quale si riunirono alti ufficiali e burocrati nazisti per mettere in atto la “Soluzione finale della questione ebraica”, con la reclusione nei campi di concentramento, e legalizzarla anche in Occidente, rendendola un’opera costituzionale. Per farla accettare furono diffuse foto di propaganda in cui i lager venivano presentati come industria coatta. Questo provvedimento fu trattato come una specie di “presa di coscienza scientifica”, fu una decisione studiata a tavolino.
Alla fine de secondo conflitto mondiale, la Shoah, termine che in lingua ebraica significa “distruzione”, ebbe come risultato lo sterminio del 40% della popolazione ebraica.
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Autore: Rossana Petruzzella