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Passio, le emozionanti opere di Maria Addamiano
15 aprile 2013

Emozionante e permeata di dolce struggimento la personale di Maria Addamiano, Passio, organizzata dalla FIDAPA (presieduta da Lidia Gagliardi) e curata da Daniela Calfapietro (la riproduzione fotografica di una delle opere esposte, in manifesto, è invece opera di Mauro Germinario). La mostra è stata inaugurata il 16 marzo presso lo Spazio Aperto all’Arte e si è conclusa il 2 aprile. Da sempre l’attitudine alla meditazione sul sacro è cara all’artista Addamiano e la fede, col suo corollario di speranza, è una delle corde che il plettro della sua mano fa risuonare con maggior frequenza e intensità. Passio è un itinerario scandito dalla meditazione silente, che ora si trasfonde in grido di gioia annunciante, ora si compone in dolore sobrio, costantemente puntellato dalla forza della preghiera. Il primo pensiero è per le donne, meste e poi trionfanti testimoni del mistero; in un interessante collage con cartapesta a tecnica mista su cartoncino, la via della croce si fa deserto polveroso, dove s’ingorga la mestizia. Sprazzi d’azzurro, tuttavia, sembrano indicare la direzione che conduce a Dio, attraverso la sofferenza. Variegate le tecniche e le arti che costellano il percorso della passione. Prevale la scultura, ambito d’eccellenza dell’Addamiano, con costanti aperture all’ecoart e netta prevalenza di materiali poveri, ma non mancano tecniche miste acquerellate, l’acrilico e l’olio su tela, l’altorilievo in cui il dolore “condiviso” sembra debordare rispetto ai confini dell’opera, per divenire ecumenico. Una prima sezione di creazioni si sofferma sui protagonisti della Passio. Permeata di memoria della tradizione, viva nella rivisitazione della Pietà Rondanini o nella rievocazione – venata di composta commozione – delle processioni molfettesi, la sacra rappresentazione si dispiega con forza e tenerezza. Centro ideale il miracolo della vita che vince la morte, simboleggiato anche dalla tensione verso il cielo (che l’Addamiano rende materico, concreto) e verso il padre. Altre suggestioni dell’arte e della storia sacra ricorrono, per esempio, in quel Sudario (acquerello su tela di fazzoletto), che allude alla tradizionale veronica di San Pietro, cui sia Petrarca che Dante dedicarono versi. Di dolce bellezza l’angelo “testimone di resurrezione” in terracotta bronzata, che sembra volersi scrollare di dosso il tanfo del peccato per rinascere crisalide; c’è posto anche per una Maddalena inginocchiata e orante, i cui lineamenti riecheggiano, suggestivamente, anche nelle figure femminili successivamente tratteggiate, a simboleggiare come in ogni donna alberghino Maria e Maddalena. La seconda sezione, seppur non priva di suggestioni ascrivibili agli influssi della tradizione (si pensi alla maschera del Cristo, che ha forse memoria delle maschere funerarie micenee), riflette le implicazioni e risonanze del mistero dell’incarnazione sull’uomo contemporaneo. Verso la salvezza coniuga la cogitatio mortis tipica del Medioevo (ma così attuale nella moderna “età di mezzo” tuttora in corso) con lo slancio del volo e l’aspirazione alla purezza. Paura della croce e senso d’ali coesistono in una sorta di ispirato neoromanticismo. Meditazione, in un moto apparente di veli e panneggi, cela un viso assorto, forse raccolto in preghiera, proprio come la moderna “pia donna” che, in uno scenario essenziale, stringe la croce fra le mani e rivolge all’Altissimo pensieri che non ci è dato conoscere. In Tre chiodi sono, invece, i simboli del martirio ad apparire nella loro quotidianità, che si carica di sovrasensi. Il Cristo che pare caracollare Giù dalla croce rivela, purtroppo, la triste attualità del dolore, connaturata alla condizione umana, e allude a ogni moderno Golgota che il verbo dell’odio e il sonno della ragione contribuiscono a insanguinare.

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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