Paola: Roma ormai la sento come la mia casa e sono felice lì
È stato nel settembre del 1997 che mi sono trasferita a Roma. Avevo 18 anni, un biglietto del treno stropicciato in tasca, e cinque biglietti da cento mila lire arrotolati, che mio padre aveva infilato in un angolo della valigia per pagare il primo affitto. In testa un chiodo fisso: studiare giornalismo. Era il periodo in cui Scienze della Comunicazione era una facoltà ancora non troppo inflazionata, che permetteva un percorso di studi serio e variegato e prometteva un posto di lavoro facile. O forse era solo “la novità”. Una novità che a Bari mancava. Andai a vivere in un appartamento di via Baldo degli Ubaldi, insieme ad altri due molfettesi, amici da sempre: Roberto Patriarca e Sabino De Bari. Ci misi poco a capire che il posto migliore dove iniziare un percorso nuovo sentendomi anche un po'a casa era là. Mi iscrissi alla stessa università di Roberto, la Lumsa, un'accogliente e fin troppo rassicurante università privata la cui sede era in zona San Pietro, l'unica in Italia ad avere, allora, attivato un corso specifico di Giornalismo all'interno di Scienze della Comunicazione. Per mia scelta, passai quel primo anno lontana il più possibile da Molfetta, consapevole che se avessi voluto davvero mettere radici altrove, dovevo provare a non tenere il piede in due scarpe, e dovevo scommettere su un posto piuttosto che sull'altro. E io non ero partita guardandomi indietro, ma scrutando avanti con curiosità, quasi eccitata dagli stimoli e dai colori della grande città. Ed entusiasta della possibilità di reinventarmi, di farmi nuova in un posto nuovo.
La vita a Roma non è mai stata semplice. Imparai presto a saltare da un autobus all'altro e a scegliere le stazioni della metropolitana. Imparai a non rientrare troppo tardi a casa, a guardarmi sempre le spalle e a tenere sempre gli occhi spalancati. Imparai i prezzi della frutta e della verdura e imparai che la frutta e verdura di Roma sono quasi immangiabili in confronto alla nostre. Imparai a vivere senza il mare, senza la comitiva che ti aspetta al Corso o al Blues di turno, senza i genitori che ti risolvono ogni problema (anche se i miei, nonostante la distanza, hanno continuato a risolverne gran parte).
Cambiai casa un'altra volta e infine ebbi la fortuna di vedermi consegnare da mio padre e mia madre, nel gennaio 1999, le chiavi di un bilocale tutto mio, visto che la prospettiva di restare a vivere nella capitale prendeva sempre più piede e pagare 500mila lire di affitto legittimava l'ipotesi di investirne altrettanti in un mutuo mensile, che avrebbe consentito però a me di avere uno spazio tutto mio e ai miei famigliari di venire a trovarmi in assoluta libertà e con maggiore frequenza.
Mi sono laureata in regola, nel 2002. Ho avuto alcune esperienze di stage molto formative, tra cui una in RAI, al giornale radio, e una nella redazione di “Leggo”, un quotidiano gratuito del gruppo “Il Messaggero”. I primi mesi dopo la laurea ho collaborato intensamente per “Leggo”, ma come esterna (vincolata da un Co.Co.Co), riuscendo a guadagnare massimo 400 euro al mese e nel frattempo a conseguire il tesserino da giornalista pubblicista. Contemporaneamente, ho iniziato a cercare alcuni concorsi di dottorato per continuare il mio percorso formativo, con il forte desiderio di approdare all'università pubblica e di approfondire i miei studi politici.
Nel novembre 2003 ho vinto una borsa di studi (poco meno di 830 euro al mese) a Scienze Politiche, presso l'Università “La Sapienza” e ho iniziato un dottorato di ricerca che si concluderà a novembre del prossimo anno.
Ho continuato, seppure blandamente, la collaborazione con le pagine di attualità di “Leggo”, ma da qualche mese ho iniziato a lavorare in un settore che sembra coniugare perfettamente i due poli della mia formazione: la comunicazione e gli studi politici. Ho accettato, infatti, nel febbraio scorso, contestualmente al dottorato, un incarico come capo ufficio stampa del Comitato nazionale per il Sì ai referendum parzialmente abrogativi della legge 40 sulla fecondazione assistita.
Ho lavorato al fianco di parlamentari e giornalisti di fama nazionale e ho esplorato un settore, quello della comunicazione politica, infinitamente interessante. Si sono così spalancati per me scenari professionali nuovi e assai stimolanti, impensabili se fossi rimasta a Molfetta e che spero possano vedermi realizzata e appagata anche dopo il dottorato.
Se spero di tornare in Puglia, nella mia città? Oltre al lavoro, Roma mi ha fatto incontrare il mio compagno, Marco (oltre sette anni fa), molti amici e moltissimi interessi. Ormai la sento come la mia casa, e sono felice lì. Questo, però, non significa voltare le spalle a Molfetta. Qui cerco di tornare spesso, e non da turista, ma provando ancora a partecipare alla sua vita politica, a fare delle cose per il territorio, per questa terra meravigliosa e violata. Perché niente e nessuno potrà mai privarmi delle mie radici e potrà mai togliermi l'odore di salsedine dalla pelle e il riflesso delle persiane verdi dalle pupille.
Paola Natalicchio