Paola Natalicchio: il cambiamento è ora il Comune come un palazzo di vetro
Impaziente e ambiziosa, Paola Natalicchio è già sulla buona strada per riportare il centrosinistra di Molfetta a Palazzo di Città. La 34enne, giornalista e collaboratrice di Quindici con cui ha mosso i primi passi ai tempi del liceo ginnasio a 16-17 anni, è senza dubbio la candidata fuori dagli schemi. Il suo obiettivo è quello di fare una campagna elettorale trasparente perché ogni cittadino si sentano protagonisti della realtà locale. Con le maniche rimboccate come Barack Obama, non “minaccia di rottamare i vecchi politici che hanno governato Molfetta”. Il suo appello è fondato sulla partecipazione collettiva e soprattutto sull’ascolto. La Natalicchio, chiaramente, piace agli elettori giovani e a quelli stufi di anni di stagnazione politica. La vittoria dipenderà dalla partecipazione al voto in un momento di diffusa disillusione verso i politici in generale. A differenza del centrodestra, la candidata della coalizione Pd-Sel non vuole fare promesse che poi potrebbero non essere realizzate. Tra i suoi sostenitori c’è sicuramente il Movimento delle Donne “Vorrei” che è stato decisivo all’interno dei partiti nella scelta della candidata. La Natalicchio potrebbe davvero essere quella figura che rappresenta il rinnovamento portando gli elettori oltre i confini un po’ asfittici di una dimensione passatista dell’idea di sinistra. Paola Natalicchio si è dichiarata subito disponibile, a differenza degli altri candidati di centrosinistra e centrodestra, con i quali avremmo voluto fare un confronto all’americana come quello che Quindici realizzò con successo con tutti i partiti che si opponevano al centrodestra e al sindaco uscente Azzollini. I veti incrociati, anche nel centrosinistra (Gianni Porta e Bepi Maralfa) tra di loro e nei confronti del centro (Pino Amato), ce lo hanno impedito, il candidato del centrodestra Ninnì Camporeale rifiuta ogni confronto (per timore di brutte figure?) e i grillini (Antonio de Robertis) hanno scelto di non misurarsi con gli altri, come avviene a Roma. Così abbiamo deciso di fare il forum con tutti i giornalisti di “Quindici” che hanno rivolto domande a Paola Natalicchio, candidata del centrosinistra. Ecco una sintesi del forum nella redazione di Quindici. Paola Natalicchio, era ed è così impossibile raggiungere un accordo con gli altri partiti del centrosinistra, in particolare con Rifondazione Comunista? «La mia candidatura viene dalla cosiddetta “società civile” ed è una candidatura di pace e di unità nel centrosinistra. Il mio schema di coalizione è senza l’Udc, uno schema che da anni Rifondazione Comunista richiedeva. Il mio obiettivo è quello di marcare una linea di discontinuità forte nei confronti dell’amministrazione Azzollini. In passato sono stata solo tesserata col partito di Rifondazione, la cui tessera era stata firmata dal segretario Gianni Porta. Insomma, con questo voglio dire che ad oggi non sono né il candidato del PD, né il candidato di SEL. Il dialogo con altre forze politiche lo abbiamo cercato candidando me e non Giovanni Abbattista o Tommaso Minervini. Per di più, appena ho saputo della proposta di una mia eventuale candidatura nei primi giorni di gennaio ho subito chiamato Gianni Porta, condividendo con lui questa situazione quando non avevo ancora conosciuto personalmente Tommaso Minervini». Quindi, non è assolutamente vero che la sua candidatura sia stata appresa solo per mezzo della stampa locale, come ha sostenuto Rifondazione Comunista. Per quanto riguarda, invece, il dialogo politico con l’altro candidato sindaco Maralfa? «Assolutamente no. Non escludo, comunque, che ci possano essere scenari di possibile unità. La difficoltà di Bepi è quella di avere un movimento reale e attivissimo di fronte a sé che è maturato nel corso di questi mesi. Sicuramente Bepi ha una vocazione al dialogo maggiore rispetto ai miei amici di Rifondazione. Io ho anche lanciato le primarie quando mi sono resa conto della situazione di stallo in questo dialogo. Alla proposta delle primarie è arrivato subito il secco “no” sia di Bepi che di Rifondazione Comunista. Trovo irragionevole, però, ritirare la mia candidatura a 50 giorni dalle elezioni comunali». Quale sarà il ruolo dei giovani nella sua amministrazione? «Innanzitutto, non voglio essere additata come la candida giovane, perché solo in Italia a 34 anni siamo considerati ancora giovani. Il mio staff di lavoro è fatto di under 45 e 50. I giovani sono un punto cardine del mio programma e il mio obiettivo è sicuramente quello di coinvolgere anche loro nella vita politica molfettese. Mi preme ribadire di avere preso l’impegno di costituire una giunta per la metà composta da donne. Ho cominciato a fare politica da quando avevo 16 anni nella campagna elettorale che ha portato Guglielmo Minervini a diventare sindaco di Molfetta. Io vedo molti punti in comune tra questa campagna elettorale e quella del 1994. Addirittura, molti annoverano Tommaso e Guglielmo Minervini come i miei due “pupari”. D’altro canto, stiamo immaginando una campagna elettorale popolata che non ho problemi a definire “pedagogica” e che sta attirando persone nuove alla politica». Come pensa di ripristinare l’assessorato alla Cultura che negli ultimi anni è mancato? «L’assessorato alla cultura nella nostra città manca da ben 12 anni e, quindi, negli ultimi anni del governo di centrodestra. Noi abbiamo una Ferrari e la trattiamo come una 500. Noi abbiamo dei beni culturali che non sono secondi a quelli di Bisceglie, Trani e Giovinazzo. È stato inaugurato con il centrodestra il Museo del Pulo, utilizzato solo nelle visite didattiche, chiuso nei weekend e senza una guida museale. Abbiamo un centro storico allo sbando che attende da anni il suo rilancio e la riqualificazione. È mancata la visione su questo modello di sviluppo. Negli ultimi anni c’è stata solo la voglia di costruire le grandi opere, come il nuovo porto commerciale, il grande hotel a Palazzo Dogana, i grandi concerti, i grandi eventi con biglietti a 100 euro per alcuni e 0 euro per gli amici del senatore. È stata sfruttata la Fondazione Valente come strumento per annaffiare il giardino delle clientele. Sono state soffocate quelle piccole realtà che hanno resistito in questi anni, come il Centro Culturale delle Macerie. L’esperienza dell’assessorato alla Cultura partecipata è importante e per questo nomineremo un assessore alle politiche culturali e, inoltre, gli affiancheremo anche un forum a cui parteciperanno tutte le associazioni e i movimenti che fanno cultura a Molfetta. Questo perché i nostri assessori devono essere sottoposti a forme di controllo democratico dai Comitati di Quartiere e non solo. Noi dobbiamo ripartire dalla partecipazione. Voglio un Comune che sia un palazzo di vetro distinguendomi da quello che ha fatto il senatore Azzollini che nel corso degli ultimi anni si è blindato all’interno di palazzo città». Lei è ritornata a Molfetta, dopo 15 anni vissuti a Roma. Molti l’accusano di essere stata addirittura imposta dalle “alte sfere” del PD. «Io non rispondo del PD di Roma. A differenza di quello che Pino Amato ritiene, ovvero che io sia un esponente democratica del PD di Roma calata dall’alto sulla città di Molfetta, io non so nulla del Partito Devmocratico di Roma. Non dobbiamo assillarci con i pronostici e soprattutto non dobbiamo fare politica con la calcolatrice. I pronostici sono stati tutti smentiti e quello che è accaduto a Bersani è la dimostrazione. Questa campagna elettorale va fatta senza calcolatrice in mano e, soprattutto, con l’entusiasmo». Come crede e pensa di migliorare il settore della sanità, soprattutto nell’ambito socio assistenziale-sanitario? «Non risponderò con la demagogia posta in atto dal candidato del centrodestra Ninnì Camporeale nell’affrontare nella campagna elettorale sul tema delicato dell’ospedale. Credo che le politiche sanitarie siano una cosa serissima e vadano date risposte serissime. Come ben sappiamo è stato chiuso il reparto di nefrologia e con esso sono andati perduti i posti letto. Lanciare allarmi sociali per ottenere qualche voto in più è qualcosa di vergognoso, perché non si gioca sulla pelle dei malati. Tutto è legalo al Piano di Riordino ospedaliero che non è materia di competenza del Comune, ma delle Regione. Anzi, questo Piano di Riordino è stato avviato per via di Raffaele Fitto. Si tratta, in pratica, di politiche regionali e per questo il Comune può impegnarsi a tutelare il proprio presidio ospedaliero come interlocutore credibile nei confronti della Regione». Il Comune può, però, potenziare i servizi territoriali di base. «A Molfetta abbiamo un centro anziani con 40 posti per 12.500 anziani. È una sproporzione inquietante. Anziano è di solito associato all’immagine della panchina e su questa equivalenza sono state impostate le politiche sociali per gli anziani. Le politiche sociali sono l’ossessione della nostra politica programmatica. Sicuramente tuteleremo il nostro ospedale, potenzieremo i Servizi Territoriali di Base a partire da quelli pubblici con una vigilanza sul privato convenzionato e una vigilanza sull’assegnazione dei bandi su chi gestisce il nostro centro disabili e il nostro centro anziani. Non dobbiamo avere paura a chiedere trasparenza. Il senatore Azzollini aveva promesso molte cose tra cui l’hospice. Si è giocato molto su queste tematiche e sicuramente c’è poco da giocarci. Nella mia idea di città in merito alle politiche sociali rientrano anche i centri antiviolenza e centri anti-stolking a Molfetta perché la violenza domestica c’è dappertutto e le donne vanno tutelate». Come crede di risolvere il problema dell’ambulantato diffuso? «Io credo che l’ambulantato diffuso vada risolto in maniera molto semplice. Laddove un commerciante non abbia la licenzia per vendere e stare su quel pezzo di suolo pubblico, la Polizia Municipale ha il compito di far liberare la strada. È una cosa molto semplice. Purtroppo, il Comando locale dal maggio 2012 non ha più un comandante. Tra l’altro, il concorso di Polizia Municipale andrà sicuramente fatto». Come intende affrontare il problema delle lame nella città di Molfetta? «Le lame fanno parte della carta d’identità della nostra struttura idrogeologica e qualcuno ha fatto finta che non esistessero. La nostra zona industriale e quella artigianale si trovano nel groviglio delle lame con grandi rischi che ci sono stati segnalati anche dall’Autorità di Bacino. Inoltre, le stesse lame nel corso degli ultimi anni sono state delle discariche a cielo aperto. Noi abbiamo un progetto per la riqualificazione di lama Martina e pensiamo che le lame possano essere utilizzate come spazio di nuova vivibilità urbana. Io credo che dobbiamo tornare a conoscere il nostro territorio, considerando parte integrante proprio le lame». Sotto il profilo urbanistico, quali sono le sue idee di città in merito? «La città si è riempita di cemento e si è svuotata di talenti. Il PRGC di Molfetta ha ancora delle potenzialità e, quindi, non c’è bisogno di immaginare un nuovo Piano Regolatore con nuove zone di espansione e ulteriore sfruttamento di suolo. Questo non vuol dire che si devono spaventare i costruttori e non vuol dire che dobbiamo bloccare il settore edilizio. Dobbiamo, invece, puntare sulla rigenerazione urbana e sulla riqualificazione urbana proprio come la Regione Puglia ci sta suggerendo. Penso che dobbiamo censire tutti i capannoni sfitti e tutti gli edifici che necessitano di una riqualificazione. Sicuramente li c’è lavoro, tanto lavoro per la nostra edilizia. Penso che anche nell’ambito del verde urbano, del centro storico e nella riqualificazione delle nostre coste possa indirizzarsi il lavoro della nostra edilizia. Non c’è bisogno di consumare altro suolo». Come crede si possa affrontare il delicatissimo tema del lavoro già affrontato nella serata Boomerang? «Ci sono oltre 6mila disoccupati di cui il 30% giovani sotto i 35 anni. Dobbiamo difendere quello che abbiamo di buono a partire dalla nostra zona artigianale e industriale. Ho già incontrato il gruppo del Consorzio Ne.Mo. e mi hanno chiesto una maggiore sicurezza, considerati i continui furti di macchine alla zona industriale e artigianale. Sicuramente manca un mezzo di trasporto tra il centro e la zona industriale che consenta ai lavoratori di andare a lavoro senza la propria automobile e soprattutto senza vedersela rubare. Le industrie di meccanica di precisione chiedono cose molto semplici tra cui uno sportello alle attività produttive che funzioni completamente e un competente Assessore allo Sviluppo Economico. Dobbiamo difendere questo pezzo di città che molti chiamano Molfetta 2 e riequilibrarlo con quello del centro di Molfetta con un piano di commercio serio, senza tralasciare le difficoltà dei commercianti del centro urbano e riportare il movimento con eventi seppur piccoli ogni fine settimana. Dobbiamo creare uno spazio di lavoro condiviso per gli under 40 per i giovani liberi professionisti, uno sportello informazione-formazione e un informatorio contro il lavoro nero». Come pensa di risolvere il problema Porto e soprattutto qual è il suo progetto in merito? Quindici aveva proposto di trasformare l’attuale porto peschereccio davanti al Duomo in porto turistico. La nostra proposta, considerata una follia da Azzollini, oggi viene ripresa demagogicamente da Camporeale. Le che ne pensa? «Dobbiamo tornare nell’Autorità Portuale di Levante perché questa allucinazione autarchica del senatore di costruire questo grande porto che costa 70milioni di euro più 8milioni di multa finora, gestito in solitudine, è pure follia. Il porto mercantile e tutta la zona del molo Salvucci devono essere necessariamente conclusi, non si possono certo demolire le opere già fatte, anche se sono state sbagliate e uno scempio per il territorio. Ma una demolizione sarebbe peggio. Va riqualificato e adeguato alle reali necessità, senza fare megaporti che resterebbero cattedrali nel deserto. Ad oggi il porto di Molfetta ha quattro anime, mercantile, peschereccia, cantieristica e turistica. Nel modello di città su cui vogliamo scommettere noi, il porto turistico ha una importante funzione strategica, ma soprattutto doppiamo permettere alla nostra cantieristica di rilanciarsi attraverso il nuovo porto. Ecco perché condivido l’idea del porto turistico sulla banchina S. Domenico davanti al Duomo, liberato dalle auto che oggi lo intasano». ©
Autore: Andrea Saverio Teofrasto