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Paola Natalicchio: ecco la vera storia della crisi con nomi e cognomi
15 maggio 2016

Le dimissioni irrevocabili, la rottura col Partito Democratico, la fine dell’esperienza politica del centrosinistra vincitore delle elezioni nel 2013 e un futuro politico tutto da scrivere. Sono giorni intensi e difficili per Paola Natalicchio, 37 anni, giornalista, sindaco di Molfetta dal giugno del 2013 al prossimo 19 maggio (quando le dimissioni annunciate diventeranno esecutive) per molti uno dei futuri leader nazionali di SI (Sinistra Italiana, il nuovo partito nel quale confluiranno ex Sel, ex Pd e movimenti e che nascerà ufficialmente a dicembre con un congresso che si terrà a Roma). Mentre il braciere delle polemiche è ancora rovente e in molti l’accusano di aver lasciato anticipatamente la barca prossima ad affondare, accetta di fare il punto sulla situazione con “Quindici”, di raccontare la vera storia della crisi e i suoi retroscena, con nomi e cognomi. Cosa resterà di questi tre anni di amministrazione di centrosinistra. Sindaco, le sue dimissioni “irrevocabili” secondo quanto da lei dichiarato sarebbero state causate dal Partito Democratico... «Facciamo ordine. Dopo l’intervento di luglio di Debora (Debora Serracchiani, vicesegretario nazionale del partito; ndr) è stato fatto un patto politico forte con il PD. Con l’uscita di Guglielmo Minervini dal partito legata alle scorse elezioni regionali, il PD lamentava di essere scarsamente rappresentato in giunta, poiché non riconosceva più Giovanni Abbattista come suo assessore di riferimento e riteneva che la forza politica con il gruppo consiliare più numeroso non potesse essere rappresentata in giunta dal solo Tommaso Spadavecchia. Al PD è stato assicurato un nuovo equilibrio in giunta, con l’ingresso dell’assessore Giulio Germinario. Già lì si è intuito che un’area del partito non voleva chiudere il conflitto». Non tutti erano d’accordo sul nome di Germinario? «Il gruppo di Annalisa Altomare e Lillino Di Gioia non ha voluto fare alcun nome per rientrare in giunta. Annalisa fece sapere a me e Piero De Nicolo: “O entro io in giunta, o nulla”. Da Bari mi dissero: “Falla entrare in giunta e poi dopo qualche mese la allontani”. Ma io ho rispetto per le persone e la loro storia e mi sembrava profondamente ingiusto immaginare una soluzione “tattica” di questo tipo. E far entrare Annalisa in giunta è sempre stato impensabile per me. Ho voluto dal primo giorno una giunta di assessori non riconducibili alla vecchia politica. Assessori non necessariamente giovani di età, perché non credo che la gioventù sia un valore in sé, ma portatori di esperienze e competenze e in qualche modo legati a doppio filo alla primavera del 2013». Sui suoi assessori ci sono tate molte polemiche: poco suffragati alle comunali del 2013 e scarsamente rappresentativi di quel centrosinistra. «Giovanni Abbattista era il segretario del PD che mi chiamò a Molfetta, Rosalba Gadaleta lavorò al programma elettorale nel mio comitato, Marilena Lucivero mi ha fornito dal primo momento spunti determinanti sul lavoro da fare sugli spazi aperti e sul waterfront, Tommaso Spadavecchia, Serena Laghezza, Giulio Germinario hanno contribuito ad animare la campagna elettorale con una grande generosità e sono radicati nel tessuto sociale della città, Francesco Bellifemine ha animato il “gruppo del sabato pomeriggio”, che al Comitato elettorale di Corso Umberto avviò la riflessione sulla zona artigianale e industriale, Betta Mongelli era la fondatrice del movimento “Vorrei”, determinante per la nascita della lista civica “Signora Molfetta”, Angela Amato ha rappresentato il meglio di Sinistra Ecologia e Libertà. E poi Bepi Maralfa, il fondatore di Linea Diritta, protagonista dell’innovazione politica che con il ballottaggio ci ha portato alla guida della città». Manca però, la vecchia guardia... «Nella mia giunta sarebbe stato impensabile e incomprensibile avere al mio fianco Piero, Annalisa, Tommaso, Lillino. La prima linea doveva essere dedicata a una nuova classe politica, non in rottura con la vecchia, ma che aveva il diritto di generare una nuova stagione in discontinuità, con addosso l’orgoglio della sperimentazione e del lancio di un laboratorio di politiche, pratiche e processi. E poi, potevo accogliere in giunta Annalisa dopo la sua costante e virulenta opposizione all’Amministrazione? Dopo che non ha votato in consiglio provvedimenti determinanti della nostra Amministrazione, come i bilanci? Dopo i manifesti contro l’Amministrazione dell’associazione “Cambia Verso”? Dopo le sue dimissioni dalla Commissione Urbanistica e la sua campagna permanente contro la buona urbanistica messa in campo dall’assessorato di Rosalba Gadaleta? No, non potevo». Annalisa Altomare fu tenuta presente durante le consultazioni estive? «Chiedemmo ad Annalisa il nome di un gio-vane o di una giovane, ma non ne volle sapere. Chiudemmo allora il rimpasto su Giulio Germinario: un architetto quarantenne, capogruppo del partito. Mi dissero: “Ora rafforzerai Annalisa in consiglio comunale. Perdi un consigliere a te leale e fai entrare il dott. De Pinto che risponde ad Annalisa e Lillino”. Roberto La Grasta fece sapere che se un consigliere doveva essere scelto, avrei dovuto scommettere su di lui. Si è proposto come assessore, anche se afferma il contrario. Mi invitava a fare dei calcoli, La Grasta. Mi ricordava che se fosse entrato lui avrei rafforzato la mia lista civica, sarebbe scattata una consigliera comunale di Signora Molfetta. Io ebbi voglia di scommettere su Giulio. È un talento, era stato un capogruppo generoso: era il suo turno». Dopo? «Il gruppo di Dep, vicino a Guglielmo Minervini, evidenziò che non doveva uscire Giovanni Abbattista dalla giunta, ma un assessore tecnico. Non potevo perdere né Rosalba, né Marilena, assessori assai operativi, e ritenevo giusto che la richiesta di riequilibrio del Pd comportasse un passo indietro di Giovanni Abbattista. Abbiamo eletto Guglielmo Minervini in Consiglio Regionale con gli sforzi di tutta la coalizione, escluso il Pd. In un principio di rotazione democratica, non potevo che chiedere a Giovanni di fare spazio. Lo penso ancora e lo rifarei». È stato l’inizio della fine? «Molti dei problemi sono in quel passaggio. E’ entrato Giulio, un assessore Pd della stessa area di Piero De Nicolo, perché Annalisa si è rifiutata di collaborare al rimpasto. Annalisa si è rafforzata in consiglio comunale. Roberto La Grasta si è sentito escluso dalla possibilità di entrare in giunta e si è amareggiato. L’area di Dep si è sentita emarginata, nonostante l’elezione del consigliere regionale e la bellissima campagna elettorale a favore di Guglielmo, con la mobilitazione non solo di Dep ma di tutti noi. I consiglieri comunali di Dep però non mi hanno mai lasciata sola e sono rimasti sempre leali in consiglio comunale. E’ innegabile, però, che in quel luglio si sono rotti alcuni fili importanti. Abbiamo amministrato con serenità molto poco. Completato politiche determinanti: la raccolta porta a porta, il comparto 18, la liquidazione del socio Multiservizi, un nuovo ciclo alla piscina comunale, il rafforzamento del parco progetti, il concorso sul waterfront. Ma il tagadà dell’instabilità ha ripreso a farci saltare di nuovo su mille problemi. E le cose sono presto precipitate». Annalisa Altomare, Ignazio Cirillo, Sergio De Pinto, Roberto La Grasta, Lia de Ceglia nell’ultimo consiglio comunale hanno deciso di non votare il bilancio di previsione. Ha avuto un confronto con loro? «Nessuno si è fatto sentire. Nessuno. I cinque consiglieri non hanno votato la manovra fiscale. Una manovra ribaltata. La stessa degli ultimi due anni. Condivisa, che non aumentava le tasse, che tutelava le tasche dei cittadini molfettesi e le entrate del bilancio previsionale 2016. Nessuna motivazione nel loro dissenso. Solo puro ostruzionismo e opposizione politica. Disfattismo». E il segretario del Pd, Piero de Nicolo? Ha cercato di mediare? «Il segretario De Nicolo, al posto di venire in maggioranza a chiedere scusa, visto che quattro su cinque consiglieri erano del suo partito e stanno terremotando questa esperienza da mesi senza che lui e il partito abbiano mosso un dito, è venuto a dirci che tre consiglieri avrebbero votato la manovra fiscale ma che tutto il partito aveva dubbi sul bilancio di previsione, che avremmo votato poche ore dopo, sabato 30 aprile, come da scadenza di legge. Piero ha dichiarato, in modo sorprendente e del tutto inatteso, a consiglio comunale aperto, che il Pd si sarebbe astenuto dal voto sul bilancio e lì è saltato tutto. Una scorrettezza inaudita: come poteva il Pd, con due assessori in giunta che hanno fatto con me quel bilancio, passo dopo passo, dire che si asteneva? Peraltro lamentando di non essere stato coinvolto nella redazione della manovra? Con due assessori che l’hanno scritta?» De Nicolo non ha mai tentato durante quel consiglio di recuperare la situazione? «Dopo una lunga trattativa, con una sospensione del consiglio umiliante, durata due ore, Piero è tornato in maggioranza, ma sempre proponendo una linea dura e critica. Ha annunciato che il partito avrebbe votato il bilancio meramente in linea tecnica, disapprovando politicamente la manovra e annunciando emendamenti. Siamo rimasti tutti senza parole. Soprattutto perché, nel cuore di una riunione così drammatica, con cinque consiglieri che ci hanno tolto i numeri e un partito spaccato e che metteva in dubbio il provvedimento più importante e determinante dell’anno, il segretario De Nicolo si è poi alzato e se n’è andato. E mezzora dopo ha pubblicato una sua fotografia su Facebook. Mentre cadeva l’amministrazione lui faceva un aperitivo. Questo il senso di responsabilità del Partito Democratico che, evidentemente, aveva già deciso di staccare la spina. Una vergogna!». La manovra non è stata votata anche da un esponente di Sel... «Sul consigliere Ignazio Cirillo, molto vicino a Tommaso Minervini, cosa possiamo dire se non la verità? Era da tempo agitato con me. Diceva di essere escluso dalle politiche sull’agricoltura, in cui era sistematicamente chiamato e coinvolto e su cui era costantemente critico. Si è molto adirato quando ho sollevato la sua chiara incompatibilità quando ha deciso di candidarsi alla presidenza del Consorzio Guardie Campestri. L’ho sollevata formalmente, con una nota, e ha dovuto rinunciare all’incarico. Da allora la sua freddezza si è acuita. Ha prima “dato un segnale” e non ha votato l’adesione alle Città dell’Olio. Un agronomo che non vota una delibera a favore dell’agricoltura! Poi ha deciso di venire al consiglio sulla manovra fiscale e di non entrare in aula. Uno sfregio al suo stesso assessore, Angela Amato. Qualcuno mi ha detto: dovevi andare a convincerlo, sentire cosa chiedeva per entrare. Ecco, se io lascio la mia carica di sindaco è esattamente per questo. Non si può aprire una trattativa per convincere i consiglieri comunali a entrare in aula e votare i provvedimenti. Questa è vecchia politica, questa è la Prima Repubblica. Lascio spazio a chi la sa fare meglio di me». Il Presidente del Consiglio comunale Nicola Piergiovanni sostiene che è un errore lasciare la città a 14 mesi di commissariamento. Prima di prendere la decisione delle dimissioni si è consultata con la sua maggioranza? L’hanno accusata di decidere in solitudine. «Basta con questa storia del sindaco che decide in solitudine. Ho visto più la maggioranza che la famiglia, in questi tre anni. In tutti e tre gli anni, le riunioni di maggioranza hanno avuto cadenza settimanale, si sono svolte ravvicinatamente, sempre, su ogni tema. Da due mesi il PD ci aveva chiesto una verifica di maggioranza, serrata. Ci vedevamo il martedì, il giovedì, financo il sabato pomeriggio. Io e gli assessori c’eravamo sempre, i consiglieri che hanno azionato la protesta non c’erano mai. Cirillo è venuto una sola volta, Annalisa e La Grasta mai. L’ultimo mese è stato segnato tutt’altro che dalla solitudine: siamo stati in una specie di convocazione permanente. E nel frattempo lavoravamo ai bilanci, 18 ore al giorno». Che i numeri fossero così risicati era nell’aria da tempo... «Il giovedì prima del consiglio abbiamo svolto una maggioranza per capire se avevamo i numeri il giorno dopo. A volerla è stato un consigliere che è sempre stato al mio fianco e che voglio citare per la lealtà e per la vicinanza, per la grande esperienza che ha sempre messo a disposizione di questa amministrazione: Mauro De Robertis. Mauro era preoccupato per le assenze costanti dalle riunioni del gruppo di Annalisa e di Lillino e di altri consiglieri, come Onofrio Pappagallo e Leonardo Siragusa, che avevano smesso di partecipare. E chiese un chiarimento, propose di vederci. Il giovedì sera ci presentammo a questa maggioranza in pochissimi: Mauro, Nicola Piergiovanni, io e Rosalba Gadaleta, Gianni Porta e la delegazione di “Rifondazione”. Angela Amato lavorava al consiglio del giorno dopo nella stanza accanto. In tarda serata arrivarono gli assessori del Pd. I consiglieri di Dep (Democrazia è partecipazione, il movimento di Guglielmo Minervini, ndr) ci avvisarono di avere un altro impegno, ma non ho nulla da dire su di loro: ci sono stati sempre a fianco, nonostante una posizione interna spesso critica. In ogni caso, quella maggioranza del giovedì fu un segnale. Io volevo condividere la crisi con la maggioranza, ma non si presentava nessuno». La maggioranza non c’era più. «Capii che eravamo al capolinea, ma confidavo in un consiglio più sereno ed ero certa che la vera discussione si sarebbe avuta a fine maggio, durante i consigli sul bilancio. Hanno deciso invece di tirare la corda subito. Con toni irricevibili, comportamenti irresponsabili. In quella drammatica riunione, senza cinque consiglieri, con il segretario Pd che si è alzato e se n’è andato, ho comunicato la mia scelta ai consiglieri. Siamo entrati in aula consapevoli che quello sarebbe stato il nostro ultimo atto. Ricorderò sempre i 12 consiglieri che sono rimasti al mio fianco fino all’ultimo: persone coerenti, che hanno scelto la strada della buona politica, della dignità politica e del rispetto del patto del 2013. Con tutti gli altri ho chiuso». Cosa resta dell’entusiasmo e delle speranze del 2013? «Il 2013 è stato un laboratorio di buona politica vero. Che ha seminato un programma serio, basato su un modello di sviluppo preciso: mobilità sostenibile, centralità di cultura e turismo, rilancio di pesca e agricoltura, nuovo equilibrio tra commercio di prossimità e sviluppo artigianale e industriale, politiche di sostegno alle fasce di fragilità e vulnerabilità sociale, opere pubbliche socialmente utili, rigenerazione urbana e urbanistica pianificata, periferie riqualificate e completamento delle urbanizzazioni, rilancio della macchina comunale, legalità e anticorruzione. Noi lo abbiamo seguito alla lettera. Posso dire questo: i frutti di quella semina si sono raccolti». Quali i risultati più rilevanti? «Il Corso Umberto ha un altro volto, il Centro Antico è un nuovo snodo del turismo costiero barese, i parchi sono stati riaperti, soprattutto quelli del quartiere ponente, e sono diventati spazi di nuova centralità, la macchina comunale è stata ammodernata, informatizzata, sono stati fatti due concorsi per nuovi dirigenti (Welfare e Affari Generali), assunte nuove e giovani energie, le fragilità sociali sono state sottratte dall’assistenzialismo e con i cantieri di servizio incluse nella vita della città, è stato rilanciato il dialogo forte con il mondo della scuola, della cultura, dell’arte, ma anche con i nostri servizi sanitari, penso al rapporto straordinario con il Centro per la Salute Mentale, con cui stavamo co-programmando politiche attive di sostegno ai cittadini con disabilità mentale e disturbi psichiatrici o la relazione importate con il nostro Ospedale e la grande battaglia fatta insieme». Si è parlato molto di immobilismo riguardo alle opere pubbliche... «Abbiamo messo in pista di lancio opere pubbliche utili alla città: Piazza Principe, Parco di Mezzogiorno, il Centro Antiviolenza, le piste ciclabili, il masterplan del waterfront per un nuovo lungomare, solo per citarne qualcuna. Il parco progetti del Comune era vuoto. Ora contiene tutto quello che serve a rilanciare la città: il piano di ampliamento del cimitero, le opere di mitigazione idraulica in fascia urbana, la rigenerazione delle piazze principali, opere utili come il revamping dell’impianto di selezione della plastica o dell’affinamento delle acque depurate per il riuso in agricoltura. In pochi mesi la città raccoglierà altri frutti del nostro investimento. Intanto abbiamo riqualificato l’area del vecchio porto, la Banchina San Domenico, il Mercato Ittico all’ingrosso, la zona del lungomare e della Madonna dei Martiri e rifatto dopo vent’anni le palazzine popolari. Ma anche scommesso su cose semplici: abbiamo piantato 300 alberi tra il viale, il lungomare e altre aree della città». È davvero mancata una capacità programmatrice come sostenuto da qualcuno? «Abbiamo riattivato il Piano Regolatore Generale, con lo sblocco di comparti che erano fermi da anni, come il 17, il 18, la Maglia Mercato, la Maglia CA. Senza però perdere la visione, la capacità di pianificare: il Piano della Mobilità, il Piano delle Coste, il Piano di Azione Energetica, l’adeguamento al PPTR sono tutte partite completate o pienamente istruite. Una base per un Piano Urbanistico Generale serio, che però non è mai decollato perché, dobbiamo dirlo, sull’urbanistica la sintesi in maggioranza non l’abbiamo mai trovata fino in fondo». Molte polemiche sono sorte sul caso del depuratore. «Il depuratore, checché ne dica Legambiente, è uscito da uno stato di emergenza da collasso ambientale. In estate AQP completerà i lavori di ampliamento, il nostro mare è più sicuro e pulito di tre anni fa e questo è un fatto. E la bonifica da ordigni bellici in zona Torre Gavetone è opera nostra. L’abbiamo chiesta e ottenuta noi dalla Marina Militare, che generosamente se ne occupa da mesi. Nell’estate 2017 l’area di Torre Gavetone sarà balneabile, potremo portarci bambini e famiglie in sicurezza. Del 2013 non restano solo le cose, ma anche le pratiche, i processi. Ecco perché Paola Natalicchio appende la fascia al chiodo, ma senza rassegnazione per il movimento che ci ha creduto». Che Molfetta lascia Paola Natalicchio? «Una città matura, onesta, la gente perbene prevale, c’è modernità e uno tessuto economico pieno di potenzialità. Siamo centro dell’area metropolitana, i nostri rapporti con Bari sono eccellenti, possiamo sviluppare sinergie serie e uscire presto e bene dalla crisi economica suonando tutti i tasti del pianoforte del nostro poliedrico sviluppo economico: l’economia industriale, quella del mare, quella culturale, quella dell’innovazione tecnologica e dell’autoimpresa. Molfetta non deve temere il suo futuro. Il lungo commissariamento sarà un periodo utile per ritrovare una classe politica pronta a mettersi al servizio delle energie migliori della città. Alla città produttiva, politicamente attiva, solidale e innovativa dico io, questa volta, di non mollare». Quale l’eredità più importante? «L’eredità più rilevante non sta nelle cose fatte, ma nei processi attivati. In ogni quartiere c’è un comitato di cittadini autorganizzati che si è mobilitato per chiedere diritti e proporre soluzioni. Prima non c’era. Le scuole cittadine sono abituate a collaborare e non solo a competere, a organizzare ogni anno un palinsesto di attività in comune, per promuovere scambio, contaminazione positiva, relazione. Prima non era così. Le associazioni del commercio, dell’artigianato e dell’impresa sono stati decisori politici insieme all’Amministrazione. Ci hanno aiutato a fare il Carnevale e il Natale utile alla circolazione di cultura ed economia, insieme. Hanno coprogrammato con noi strumenti di pianificazione fondamentali, come il PUMS. Hanno partecipato attivamente nella promozione del “brand Molfetta”, comprendendo pienamente che se c’è una squadra unita che lavora per la promozione del territorio ci guadagnano tutti. Anche nelle partite più difficili del settore urbanistica, si è superata la logica del dare e avere e si sono superate le stanze dei tribunali. Il comparto 18 lo abbiamo fatto tutti insieme, al tavolo: noi, i costruttori, i proprietari, gli avvocati, gli ingegneri, i tecnici regionali. E l’ambiente è tornato al centro del dibattito sulla città. Il PUMS, il porta a porta, le prime colonnine elettriche, la sfida della mobilità e della ciclabilità. La socialità è tornata ad avere una regiasalda, politica e amministrativa: sono ripartite le gare, sono state elaborate politiche mirate sull’inserimento sociale attivo, sull’accoglienza, sull’antiviolenza. Sono orgogliosa e fiera di quello che abbiamo fatto. Non ho sentito lo stesso “orgoglio della differenza”, spesso, nella mia maggioranza, malsopportare la mia “rigidità”. Avanti il prossimo, allora. Io ho dato». Lei è una delle anime costituenti del nuovo partito politico SI (Sinistra Italiana) e per molti la sua carriera è ormai lanciata verso dinamiche nazionali. È per questo che si è dimessa? «E’ tutto molto più semplice delle tante cattiverie che sento in giro: io vivo del mio lavoro, dei miei stipendi. Le bollette me le pago così. Non ho vitalizi, non ho rendite di posizione. Il mio lavoro dal 2002 è sempre lo stesso: sono una giornalista. Il circuito produttivo dove sono sempre stata impegnata è altrove: a Roma, dove ho anche la mia casa e la mia famiglia. Da giugno, molto semplicemente, torno a lavorare, torno a collaborare al documentario che avevo iniziato con Concita De Gregorio per Repubblica. it, Cosa pensano le ragazze. Poi vedremo». Parteciperà alle prossime competizioni comunali? «No, non mi candiderò a sindaco. Il mio ciclo come sindaco è finito. E’ stata l’esperienza più bella della mia vita, è stato un onore, un orgoglio, ho servito la città in cui sono nata e che amo, le ho dato tutto: il tempo, le competenze, la passione e la vita privata. Sono sicura che in una logica di rotazione democratica delle disponibilità si farà avanti una persona capace di raccogliere con entusiasmo le cose seminate e di immaginare un nuovo corso di buona politica in città». Quale sarà la dimensione del suo impegno qui in città? «Non starò a guardare e starò al fianco di un nuovo progetto-laboratorio che abbiamo il dovere morale di pensare e mettere in campo per il 2017. Intanto resto al servizio nel Consorzio Asi del tessuto economico e produttivo della città, fino all’arrivo del prossimo Sindaco. Molfetta non può perdere rappresentanza. E’ un incarico senza indennità. Ma ho un dovere morale con gli imprenditori e intendo onorarlo, fino all’insediamento della nuova Amministrazione che avrà poi il diritto di nominare in Asi una persona di sua fiducia. Per ora io resto a disposizione». Intanto si impegnerà in Sinistra Italiana? «Il mio impegno in Sinistra Italiana, non è una novità. Dal gennaio 2015, con l’iniziativa di Human Factor a Milano, ho deciso di impegnarmi in questo percorso. Sono nel Gruppo Operativo nazionale e seguo anche la partita costituente del nuovo soggetto in Puglia. Non mi sottrarrò dal dare il mio contributo a una sinistra moderna, popolare e utile a generare innovazione politica nel sistema partitico italiano, ormai ammalato di consociativismo e di moderatismo. Penso a una sinistra dell’ambientalismo, della difesa della salute urbana, della buona urbanistica, sanità pubblica, della costruzione di un nuovo welfare e del contrasto alle diseguaglianze, dei nuovi diritti per i nuovi lavori, del sostegno all’impresa innovativa e alle energie migliori di questo paese. Una sinistra moderna e non certo isolazionista, capace anche di dialogare con un Pd che sappia ritrovare la sua anima, capace di uscire dall’allucinazione delle larghe intese e di tagliare i ponti con il centrodestra di Alfano e Verdini, di Tammacco, Caputo, Spadavecchia e Camporeale». Pensa di avere un ruolo di rilievo in questo nuovo processo costitutivo? «Credo che prima o poi rifonderemo in questo Paese un campo progressista avanzato e non intendo scappare sul balcone del disimpegno. Né farmi epurare, perché la mia impressione è che chi mi sta allontanando da Molfetta voglia proprio che io esca dalla politica. Tolga il disturbo. Mi ritiro, a 37 anni, per lasciare il campo agli “esperti”. Io sarò stata anche ingenua e rigida, in questi anni. Idealista, dice qualcuno. Ma rifarei tutto. Credo in un nuovo modello politico in forte connessione con i bisogni, con la realtà in carne ed ossa, una politica utile a far succedere le cose. Non me ne scappo su nessuna tribuna, dunque. La cittadinanza attiva è nel mio dna. Da qui a dire che mi candido alla segreteria nazionale di Sinistra Italiana ce ne vuole. Parteciperò al congresso di dicembre, ma sempre da persona libera e autonoma. Appassionata di politica. Ma io volevo fare il sindaco fino al 2018 e mi hanno messo alla porta. Non inventiamoci verità di comodo, buona a salvaguardare la faccia di chi resta. C’è chi la faccia la perde e non sono certo io». Il suo rapporto con il Partito Democratico è definitivamente compromesso? «L’ho detto e lo ripeto: il mio rapporto con il Pd nazionale è di grande rispetto, il mio rapporto con gli elettori e la base del Pd altrettanto. Ma il Pd locale (regionale, provinciale e cittadino) non mi ha mai accompagnato fino in fondo. Non si scarica il sindaco sulla difesa dell’ospedale. Non si pongono condizioni di voto su un bilancio che è stato scritto insieme agli assessori Pd. Non si perdono quattro consiglieri comunali su sette senza muovere un dito, per mesi. Non si dice, come ha detto il nuovo segretario regionale Marco Lacarra, che il sindaco di Molfetta è un esponente della sinistra radicale che si scandalizza per le aperture al centro e si deve uniformare agli allargamenti che stanno avvenendo in tutta la Puglia e in tutta Italia». Forse però, avrebbe dovuto scrutare un po’ meglio gli orizzonti, soprattutto al centro... «Io avevo solo un dovere: uniformarmi al programma del 2013, fare le cose che avevo promesso ai cittadini. Presenteremo a fine mese il nostro bilancio sociale. Un libro bianco su tutte le promesse mantenute di questi tre anni. Chi ha tradito quel patto sono altri. Ed è inutile giocare a raccogliere i cocci all’ultimo minuto. Come stanno facendo i consiglieri che vogliono a tutti i costi andare in Consiglio comunale, adesso, a farmi vedere che la maggioranza c’è. Ricomporre i numeri con il Vinavil adesso non serve. La corda si è spezzata. La goccia ha fatto traboccare un vaso stracolmo. Si chiude un ciclo per me, per la città. Ma la buona politica non deve arrendersi. Deve solo darsi tempo, nei mesi del commissariamento, per rialzarsi in piedi. Io non mi candiderò, per ragioni professionali e personali. Spero di aver lasciato un segno positivo. Non volterò le spalle a un nuovo movimento civico basato su passione e competenze. Non starò davanti, ma al fianco. Lascio la fascia tricolore e passo la fascia da capitano. Ma non abbandono il campo».

Autore: Onofrio Bellifemine
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