Si potrebbe facilmente assecondare l’enfasi, che pure ci starebbe, in una giornata così. Si potrebbe fare anche della letteratura su quella luce che sul più bello va via: ne verrebbe fuori una immagine cinematografi ca niente male. La verità, però, è che la prima udienza pubblica, l’apertura uffi ciale del processo su “la vita, le virtù e la fama di santità” di Don Tonino Bello, che chiama a raccolta centinaia di persone in Cattedrale, altrettante fuori davanti al maxischermo, esponenzialmente di più davanti al televisore, scivola via più sui binari della fredda liturgia, della clerical burocrazia, che su quelli dell’emotività. Come troppo spesso alla Chiesa accade. Giusto così per un processo, si dirà. Un peccato, trattandosi di una persona così, pensare si potrà. Si potrà, perché nel corso della Santa Messa, dei giuramenti tutti uguali, della lettura di un verbale formale, dell’anima che ha portato fi n qui tanta gente anche dal Salento, anche da più a est, c’è davvero molto poco. Non aleggia, come in altre occasioni. E quell’anima si meritava forse qualche formalità in meno, qualche pompa meno magna, qualcosa di spontaneo in più. Eppure, il pastorale in legno è ancora esposto lì, a lato, in una nicchia: ma in Cattedrale si vede solo oro. Come troppo spesso alla Chiesa accade. Polemica sterile, si dirà: di polemica c’è poco, piuttosto, una rassegnazione arresa. Sterile, conveniamo. Ma, che volete farci, anche vera, passionale, sincera: percepiamo, in quelle tre ore di liturgia e commi e verbali, che l’anima di un poeta militante, di un uomo di Pace in perenne guerra per dare a quella Pace consistenza e non l’icona di una bandiera a strisce, la mente brillante e a tratti irriverente verso gi stessi usi, le stesse cere e gli stessi incensi tanto infl azionati adesso, non c’è, tra questi banchi. O meglio, non c’è nella maniera giusta. Non era il Vescovo del latinorum. E torna, di nuovo, come più di un anno fa, quando il nulla osta al processo di beatifi cazione fu annunciato, un pensiero, ancora più netto sulle parole di Mons. Amato, Mons. Martella, e anche di Azzollini: don Tonino ha ispirato tutto ciò che di bene da questa città è venuto fuori. Ha suggerito in silenzio, anche dopo la sua morte, ha tirato fuori il meglio di sé da tutti. Non è un miracolo, questo, in anni come questi, in cui fare del bene pare strano, un male? Di quale altro miracolo abbiamo bisogno, quale altro miracolo dobbiamo verifi care? Quello che lo sancirebbe, dopo opportuna verifi ca e al di là di ogni ragionevole dubbio, tra le fi le dei Santi della Chiesa? Santo della gente lo è da tanto, tantissimo tempo. Una liturgia non cambierà questo. Per la Chiesa il nodo gordiano del processo sarà “l’esercizio di eroiche virtù”, da parte di Don Tonino. Quel Don Tonino che noi abbiamo conosciuto, che magari non abbiamo vissuto, ma che abbiamo fatto entrare ugualmente, quello non diventato ancora fi gurina, quanto si sarebbe arrabbiato, per una frase di questo tipo? Ma quale eroe? Quello sconvolgentemente normale, stranamente umile, quello del grembiule, quello sempre più per le strade che in canonica? Avrebbe detto che di eroico non c’era nulla, credendoci. Quanto è irritante che si debba far calzare su di lui una defi nizione così, che per entrare nella schiera dei Santi debba incarnare un prototipo così? Una defi nizione troppo stretta, ma non è neanche questione di strettezza quanto di giustizia e rispetto per ciò che era, per uno così. Un uomo di chiesa, ma trasversale, militante, più politico di tanti politici, genuino, ispiratore, non prono alle gerarchie, quotidiano, minatore instancabile tra le pietre di scarto. “Esercizio di eroiche virtù”. Eroico a chi? Perché una defi nizione, un requisito, tanta normalità e banalità? Una defi nizione che andrà bene per la schiera di tutti i Santi di Santa Romana Chiesa. Ma non per lui. Quanto poco ci avrebbe tenuto? Quanto poco gli sarebbe interessato? Quanto una defi nizione, che sarà buona per tutti i Santi, ma non per lui, si presta a spegnere, un po’ di più, la fi amma che la sua anima, i suoi scritti, il suo operato, ancora alimentano, per passare Don Tonino in rassegna, farlo entrare in un esercito, chiuderlo tra gli spigoli di una fi gurina? Cosa c’è di necessario? Cosa dobbiamo ancora sapere? Cosa deve ancora diventare? Don Tonino non c’è, nella freddezza, nel distacco, nella ripetizione delle formule liturgiche dette a memoria. E non ci sarà, domani, su un santino stampato, né in un giorno sul calendario. Altre liturgie, altri appuntamenti, serviranno a dimostrare miracoli, eroiche virtù, a farlo diventare Santo infi ne, perché diventi come gli altri. Molto prima, c’è ciò che sappiamo, che abbiamo visto, che non ha bisogno di tribunali, e neanche li vuole. Forse tra troppo interesse, Don Tonino sta diventando Santo della Chiesa. Un altro. Santo della Gente lo è da un po’. Forse, non desiderava altro.
Autore: Vincenzo Azzollini