Oltre l'ultima boa, ultimo libro di Loredana Pietrafesa
“Oltre l'ultima boa si propone come un passaggio risoluto, pur nella continuità con le prove precedenti, verso una poesia capace di affrontare e approfondire i temi forti, il rapporto tra uomo e universo delle cose, i codici e il senso dell'esistere”. Tali parole dell'introduzione di Domenico Plauto Battaglia ci sembrano perfettamente adatte a definire l'ultima raccolta della poetessa Loredana Pietrafesa (Besa, 2007), pubblicata nell'ambito della Collana “La Vallisa”. Nella silloge s'inseguono, ripartite in sezioni dai titoli emblematici e spesso accompagnate da epigrafi di Garcia Lorca ed Hesse, vecchie e nuove rime dell'artista, in un continuum tematico, che sottende la presenza di uno più fili rossi. Un tema ricorrente è quello del tentativo d'entrare in contatto con le cose e con i volti, che popolano un mondo misteriosamente preda del maleficio dell'incomunicabilità. Se Loredana è animata dal desiderio di lasciarsi irretire dai racconti d'un pescatore, quello appare tutto preso dal suo colloquio con un'acqua chiacchierina. E se il mare appare rifugio-dimora-terreno/su/cui/radicarsi, le sue storie hanno un prezzo. Come il dono che fa ricche le reti. Situazione analoga a quella con il pescatore si verifica per il terrazzo “di tufo e di sale”, protagonista di una delle più belle poesie della silloge. Umanizzato, reso inquieto, quasi ferito dalle voci e da un lontano suono di flauto, esso cerca inutilmente d'instaurare un dialogo col “faro che sospira”, ma rifiuta d'ascoltare Loredana e considera frutto d'errore il fiore spuntato e cresciuto, contro ogni previsione, “fra le pietre” della propria “vecchia pelle” (la poesia?). La poesia è spesso protagonista dei versi della Pietrafesa, che ne identifica la genesi in un incanto che pure può manifestarsi “nel respiro di ogni cosa”. Ne registra quotidianamente la morte, in un caos che annichilisce i sogni e appiattisce tutto in una dimensione noiogena, ch'è parte della nostra quotidianità, al punto che solo i gabbiani paiono vestire il lutto per il “verso sgozzato”. In un mondo che ha smarrito la capacità di ascoltare e ascoltarsi sembra sopravvivere un mito, quello della maternità. Loredana dialoga come figlia ora irriverente ora trasognata con la Madreantica –Eva –, cui si sente vicina per la medesima predisposizione a barattare l'Eden con un dolce inganno; con la Madreterra, complice e rigeneratrice; con la Lunamadre o Madreluna, ipnotica, tenera, svagata. E, da madre, intesse, in uno struggente colloquio con il figlio, il canto dell'eternità d'amore. Un amore ostinato, che non conosce rese e che ritorna. “Come ritorna sempre il mare”.
Autore: Gianni Antonio Palumbo