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Olio extravergine puntare sulla filiera per rilanciare il brand italiano nel mercato
15 ottobre 2011

Riannodare i pezzi della filiera dell’olivicoltura, soprattutto nel Mezzogiorno. Puntare sulla produzione e su una nuova progettualità per e delle imprese agroalimentari. Il know how di Girolamo Caputi, presidente della Cooperativa Produttori Agricoli di Molfetta, al convegno «La filiera dell’olio extravergine di qualità. Progetti di sviluppo e innovazione per la commercializzazione organizzata dell’olio d’oliva», il primo a Molfetta che abbia riunito i rappresentanti delle associazioni di categoria e della grande distribuzione (Conad, Food Coop Italia e Alce Nero). Riflessione amara ai blocchi di partenza: pessime le condizioni dell’olivicoltura in Italia. Polverizzazione del settore e aggressione estera alla qualità dell’olio extravergine italiano (i parametri europei abbassano la selezione qualitativa). Navigazione a vista, ma le idee sono ancora poco chiare. Il mercato. Olio sottocosto, ai saldi sugli scaffali di super/ipermercati. Qualità poco remunerata. È l’intoppo del mercato: il prodotto italiano, venduto a una media di 3,47 euro (compresi i tagli a livello promozionale), non riesce a competere con i prodotti comunitari a una media di 2/2,50 euro. Perché non puntare sul valore aggiunto del marchio italiano, riconosciuto in tutto il mondo? Infatti, l’olio extravergine traina il mercato (all’82,8%, +4,7% nel 2010) con 126milioni di litri venduti nella grande distribuzione, nonostante i danni arrecati dalle offerte promozionali al 52%. Non solo, ma gli oli tipici restano ancora un prodotto di nicchia, i novelli sono in calo, mentre il tal quale ha avuto un incremento del 5,1%. Le cooperative dovrebbero aprirsi con maggiore intensità al mondo della commercializzazione e ragionare sulle regole della distribuzione, perché il consumatore è confuso e non ha la capacità di leggere le etichette, riducendosi a scegliere il prodotto a basso costo. Necessario uscire dalla genericità per ridare credibilità al prodotto di fronte al consumatore, cercando un accordo bipartisan con la grande distribuzione che non è solo una ciambella di salvataggio. La filiera. Essenziale fare sistema, incidere sul prezzo del prodotto e ottenere una sintesi, secondo Giancarlo Faenzi, responsabile Settore Olio della Legacoop Agroalimentare, perché «per i prossimi 40 anni è previsto un aumento del 70% nella richiesta di olio extravergine». Opportuno «individuare e indirizzare risorse e finanziamenti provinciali e regionali per progetti di filiera nazionale». Azione politica necessaria per Enzo Mastrobuoni (Confederazione Italiana Agricoltori), che non solo critica il contesto normativo inadeguato alle nuove esigenze del settore, ma punta alla elaborazione di concrete progettualità condivise e contrattuali, finanziate anche con risorse pubbliche. Una filiera equa per una «collaborazione costruttiva e fattiva», imperniata «sul rispetto reciproco e sulla valorizzazione di produttore consumatore»: la crisi del settore si affronta con la valorizzazione delle ricchezze dell’Italia, secondo Gennaro Sicolo, presidente nazionale del Consorzio Nazionale degli Olivicoltori. Ricchezze, però, trascurate dalla politica (oltre alla PAC, non è stato programmato un piano olivicolo negli ultimi 20 anni). Come restituire reddito agli imprenditori che, nonostante gli investimenti, non ottengono profitto dal mercato? Stato, ricerca e produzione, il trinomio che per Sicolo può moltiplicare la produzione mediterranea e rivitalizzare la stitica ricerca italiana per produrre cultivar d’intensivo e superintensivo (anche se sarebbe opportuna un’agricoltura più sostenibile). Abbandono del settore, la conseguenza di questa stitichezza settoriale: oltre a situazioni “oscure”, massificazione e truffe alimentari hanno livellato gli standards qualitativi. «Perciò il Cno propone una regolamentazione del settore, oggi preda della speculazione anche malavitosa, e delle sanzioni severe in caso di truffe ai consumatori», la chiosa di Sicolo che ha ricordato anche l’importanza commerciale del marchio Terre del Sole (tracciabilità dell’olio), estendibile anche alla grande distribuzione. Alta qualità, il brand italiano. Alta qualità riconosciuta dal Ministero. Coinvolgimento della filiera. Distintività del prodotto. Tre punti su cui si basa il Piano di Sviluppo di Finoliva Global Service, presentato dal presidente Claudio di Rollo. Tre punti per competere sul mercato in cui dilagano marchi europei di bassa qualità venduti a prezzi modici. Una proposta che potrebbe essere assunta anche dalle piccole imprese e cooperative locali: Finoliva ha puntato proprio sull’alta qualità e sul brand italiano (origine certificata “100% Italiano”), su Bio e Dop, scartando i prodotti comunitari di fronte a standardizzazione e industrializzazione. Sei le linee per un ipotetico sviluppo commerciale, secondo Benedetto Franchiolla, dirigente di Finoliva (società partecipata dal mondo delle cooperative): incremento strategico del settore biologico (soprattutto nel Mezzogiorno, cercando una sintesi tra i settori del grano, del miele, dell’ortofrutta, del vino e dell’olio) e costruzione di un gruppo commerciale con altri produttori/partner con le stesse caratteristiche (catena produttori, cooperative, stabilimenti, mercato, laboratori di analisi); consolidare-espandere la produzione Dop e Dop Terra di Bari in Italia e nei mercati esteri; puntare su una filiera di alta qualità “100% Italiano”, quale valore aggiunto sul mercato (ancora in attesa del riconoscimento nazionale); completare la filiera del baby food con il confezionamento del prodotto vitaminizzato; predisporre un piano commerciale per la vendita dello sfuso “100% Italiano” agli operatori. Come ripartire? Occorre una proposta concreta che liberi l’agroalimentare dall’impasto attuale, di fronte alle non scelte del Governo italiano. «È una guerra tra poveri, stiamo tornando al modello dell’autoconsumo degli anni ‘40»: dura la critica di Giovanni Luppi, presidente nazionale Legacoop Agroalimentare, se su 1,6milioni di aziende/imprese agricole solo 350mila (poco più del 21%) sono realmente tali. Agire sui costi, l’Italia è in ritardo di 20 anni. Ognuno deve assumersi assumersi le proprie responsabilità perché «non siamo marca, ma preda dei bassi costi» e per frenare la svendita ai marchi esteri «dobbiamo ripartire con seminari per ogni filiera e proposte concrete e concretizzabili subito, oltre a una più proficua collaborazione con Coop e Conad ». Costruire un nuovo percorso di confronto in filiera e recuperare sul mercato un valore maggiore dell’olio, la soluzione di Antonio Barile, presidente Confederazione italiana agricoltori Puglia. Sarebbe il momento di rivalorizzare davvero il marchio italiano e le economie di scale, per Giuseppe Politi, presidente nazionale Cia, se le filiere possono rivitalizzare l’associazionismo cooperativistico e accrescere la percentuale dell’olio extravergine “100% Italiano” venduto dalla grande distribuzione.

Autore: Marcello la Forgia
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