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Occorre costruire l’Ulivo Dibattito sul centro-sinistra
15 luglio 2001

Prendo spunto dall’intervento di Arcangelo Ficco sullo scorso numero di QUINDICI. Mi sembra che, nonostante affermi la necessità di “allontanare l’idea che tutto si risolve, semplicemente, nella ricerca del capro espiatorio”, Ficco riduca poi effettivamente la sua analisi sulla sconfitta del centrosinistra alle responsabilità di Guglielmo Minervini e dei “suoi sostenitori”, quando sostiene che “errori e responsabilità portano innanzitutto nella direzione di chi ha avuto la leadership del movimento nato nel ’94 e poi di quelle forze politiche che poste di fronte al dilemma, quando è venuta meno la maggioranza nel corso del secondo mandato, se tornare a casa o accettare lo scandalo di operazioni trasformistiche, hanno preferito accogliere la volontà del leader e naufragare con lui nel mare della sconfitta”. A parte che per un’analisi completa bisognerebbe non tacere che una crisi si determinò già nel primo mandato, anche a seguito dell’abbandono di protagonisti della stagione del “Percorso”, l’aver rinunciato ad un’analisi seria di quanto si manifestò già nei primi mesi dopo le elezioni del ‘94 non ha certo aiutato a sciogliere nodi relativi alla realtà del governo. Sarebbe forse necessario, se non abbiamo deciso di consegnarci, per gli anni che verranno, alla pura testimonianza, gratificante ma politicamente inefficace, verificare anche il nostro tasso di cultura di governo e il nostro approccio utilmente riformista alla politica. Ma, l’argomento del “trasformismo” è sicuramente di maggior presa. Rinuncio, invece, a discutere l’argomento dell’effetto ripulsa che la “borghesia illuminata” avrebbe avuto nei confronti dell’ultima amministrazione “ampiamente screditata”, semplicemente perché ho difficoltà a definire esattamente cosa sia il soggetto “borghesia illuminata”. So, invece, due o tre cose sul centrosinistra a Molfetta. So, per esempio, che, indipendentemente da, e non a causa di, Guglielmo Minervini, il centrosinistra a Molfetta è stato sempre minoritario dal ’94 ad oggi. Ha vinto due elezioni comunali, rimanendo però sempre al di sotto del muro del 40% dei consensi. Guglielmo Minervini passò al secondo turno nel ’94 con poco più del 30% dei voti, con le forze politiche della coalizione al 26% circa. Dopo sette anni, alla chiusura di un ciclo politico-amministrativo, Nino Sallustio ha raccolto più o meno lo stesso numero di consensi, con le forze politiche del centrosinistra ancora al 26%. Nelle elezioni comunali del ’98, Guglielmo Minervini, con una coalizione più ampia ma meno coesa, come subito dopo (non nella primavera del 2000) i fatti si incaricarono di dimostrare, passò al secondo turno con il 45% dei consensi e le forze politiche si attestarono al 39%. Chiunque faccia un minimo di calcoli sul potenziale di consensi di personaggi e comitati elettorali (come chiamarli diversamente?) si convincerebbe che quella coalizione, senza quei personaggi e comitati, non sarebbe andata oltre il 30% con il sindaco fermo al 35% circa dei voti. E le elezioni intermedie? Se si escludono le elezioni regionali e provinciali del ’95, stagione pre-Ulivo, in cui un centro-sinistra versione “separati in casa” (qualcuno ricorda?) conquistò a Molfetta la maggioranza assoluta dei voti, con le forze dell’allora maggioranza di governo della città al 23% e “Laburisti” (cioè Azzollini, in versione pre-Forza Italia, e qualche altro) e “Patto dei Democratici” (Corrieri, Visaggio, Di Gioia, i Socialisti Italiani) globalmente a oltre il 27%, tutte le altre elezioni il centrosinistra al governo della città le ha perse. Alle provinciali del ’99, pur con l’innesto di personaggi e comitati che prima e dopo quelle elezioni sono state sempre con il Polo, globalmente il centrosinistra, compresa Rifondazione, andò poco oltre il 40%, perdendo a Molfetta. Storia a parte furono le Regionali del 2000. A Molfetta vinse Sinisi, con il 50% dei voti contro il 47% circa di Fitto, grazie all’innesto di presenze come quella di Visaggio in versione “Rinnovamento Italiano” e dell’Udeur temporaneamente guidata da Di Gioia, che globalmente raccolsero più del 13% dei consensi. Quindi, ancora una volta, le forze politiche stabilmente nel campo del centrosinistra rimasero al di sotto del 40% dei voti. Non parliamo poi delle elezioni politiche: tutte perse, a Molfetta, con quote di consensi tra il 35 e il 37%. Qui si potrebbero richiamare altre cause, prima fra tutte la mancanza di radicamento territoriale dei candidati. Tuttavia, la percentuale di consensi non ha mai superato quel muro. Anche nella quota proporzionale per l’elezione dei deputati del 2001, nella quale in principio può liberarsi voto d’opinione, le liste del centrosinistra e di “Rifondazione” insieme hanno raggiunto quota 36%. Sette anni, credo, siano sufficienti per tirare le somme e prendere atto che la capacità espansiva delle forze politiche che hanno dato vita al movimento del ’94 (principalmente di sinistra) è intorno al 20-25% e che il centro sinistra, Rifondazione compresa, non riesce a sfondare il muro del 40%, attestandosi mediamente intorno al 35%. Mi sembra di poter dire che il problema allora non è, o almeno non è solo, di consenso perduto. Qualche “deluso” sicuramente lo abbiamo lasciato per strada. Il problema è anche, e secondo me soprattutto, come ampliare l’area di consenso alla proposta politica del centrosinistra e come favorire il radicamento sociale delle nostre forze politiche. Su questo non si può continuare a sorvolare. Lascerei, invece, perdere discorsi, questi sì accademici, sulla coppia partito-movimento. So, per esempio, che l’Ulivo ha ancora da sviluppare le sue potenzialità nel nostro territorio. E’ da rimettere in campo un progetto democratico e riformatore, a partire dalla visione di città e dall’idea di politica che ha ispirato l’azione di questi anni, e costruire un soggetto politico che sappia parlare alla città, alle sue identità sociali e culturali. Un soggetto capace di dare rappresentanza politica a figure sociali nuove, al lavoro che cambia, al dinamismo della nuova imprenditorialità, alle inziative volte a sostenere la crescita economica e sociale della comunità, alla domanda di sviluppo sostenibile, di vivibilità della città e di sicurezza dei cittadini; un soggetto che sappia affrontare con equilibrio anche le questioni eticamente sensibili che oggi il progresso scientifico e tecnologico pone. Un soggetto che ponga la fatica dell’elaborazione strategica, a partire dalla corretta definizione delle priorità politiche e dei problemi cittadini, avanti alla definizione di collocazioni personali e di assetti di potere. Questo soggetto non può che essere l’Ulivo, luogo della contaminazione tra tradizioni politiche riformiste, della sintesi e della proposta per la modernizzazione della politica, del paese e della città; luogo dell’esercizio della cittadinanza attiva. La dissoluzione dell’Ulivo, o l’esaltazione della teoria delle “due gambe”, farebbe segnare spinte dissociative sul terreno delle culture politiche. La realtà politico-sociale è divenuta progressivamente complessa, e lo schema delle “due gambe” dell’Ulivo, che si potrebbe tentare di far passare anche nella nostra città (“qui i centristi con la Margherita, lì i voti del lavoro con i Ds”), non vi corrisponderebbe per niente. Gli elettori ci chiedono di superare inutili frazionismi per costruire, senza tentennamenti e senza tentazioni annessionistiche o di pura conservazione dell’esistente, un soggetto plurale ma unitario in cui si riconosca la migliore eredità del riformismo, quindi, le tradizioni politiche che lo hanno alimentato, cioè quella cattolico-democratica, quella liberale, quella socialista, ma anche l’ambientalismo, i movimenti per i nuovi diritti di cittadinanza. Un riformismo moderno che sappia fare i conti con i problemi reali della città, con la realizzazione attenta del piano regolatore, con la modernizzazione della gestione dei servizi (qualificazione, razionalizzazione e ottimizzazione dei costi, creazione di nuova occupazione). Questo e altro abbiamo scritto nel nostro programma elettorale. Quel programma resta la piattaforma della nostra azione di opposizione seria e rigorosa a questa maggioranza in carica, miscela di populismo di destra e clientelismo sfrenato. So, infine, che la misura del successo del centrosinistra è e resta largamente dipendente dalla nostra capacità di continuare a coinvolgere nuove energie nella nostra azione, combattendo la cristallizzazione degli apparati e delle forme organizzative. Cosimo Altomare
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