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Nove anni senza don Tonino Ricordiamo l'anniversario della scomparsa del nostro amato vescovo con la lettera a una madre che veglia i figli uccisi
15 aprile 2002

Sono ormai nove anni, da quel lontano 20 aprile del 1993, in cui don Tonino ci ha lasciati. Anche quest'anno per ricordarlo e per meditare sull'attualità delle sue parole, abbiamo scelto una lettera indirizzata a un personaggio biblico del Vecchio Testamento, Rizpà, figlia di Aià, alla quale uccisero i figli per vendetta e lei li vegliò, non permettendo agli uccelli di posarsi su di loro e alle bestie di accostarsi di notte. E' l'emblema della madre coraggio, la “capostipite delle madri in lutto”, come dice don Tonino, che danzan con los muertos. Ci sembra il modo migliore per ricordare tutte le madri israeliane e palestinesi che oggi piangono i loro figli caduti in un'assurda guerra. A loro don Tonino avrebbe dedicato questa sua lettera sfidando le fazioni in lotta, in quella Terrasanta che tanto amava, per portare il suo messaggio di pace. (f.d.s.) Danzar con los muertos I Gahaoniti risposero al re: «Di quell'uomo che ci ha distrutti e aveva fatto il piano di sterminarci perché più non sopravvivessimo entro alcun confine d'Israele, ci siano consegnati sette uomini tra i suoi figli e noi li impiccheremo davanti al Signore in Gàbaon sul monte del Signore». Il re disse: «Ve liconsegnerò». Il re risparmiò Merib-Bàal Zi Giònata, figlio di Saul, per il giuramento che Davide e Giònata, figlio di Saul, si erano fatto davanti al Signore; ma il re prese i due figli che Rizpà figlia di Aià aveva partoriti a Saul, Armonì e Merib-Bàal e i cinque che Meràb figlia di Saul aveva partoriti ad Adrièl il Mecolatita figlio di Barzillài. Li consegnò ai Gabaoniti, che li impiccarono sul monte, davanti al Signore. Tutti e sette perirono insieme. Furono messi a morte nei primi giorni della mietitura, quando si cominciava a mietere l'orzo. Allora Rizpà, figlia di Aià, prese il mantello di sacco e lo tese, fissandolo alla roccia, e stette là dal principio della mietitura dell'orzo finché dal cielo non cadde su di loro la pioggia. Essa non permise agli uccelli del cielo di posarsi su di essi di giorno e alle bestie selvatiche di accostarsi di notte. (2 Sam. 21,5-10) Carissima Rizpa, certamente il nome di Sting a te non dice niente. Così come è difficile che il nome tuo dica qualcosa a Sting. E non soltanto a lui. Non te la prendere. Ma scommetto che debbano essere in molti, anche tra coloro che stringono la Bibbia ogni giorno tra le mani, a ignorare la tua storia. Tu sei un personaggio molto secondario della Sacra Scrittura: a tal punto che i dizionari, che pure sono prodighi di notizie per Sara e Rachele, per Ester e Giuditta, per Debora e Rut, e per tantissime altre figure femminili del Vecchio Testamento, non fanno neppure menzione di te, come se fossi una comparsa da teatro di periferia. Peccato. Avresti meritato ben altra sorte. La scena, infatti, che ti vede protagonista nel capitolo ventuno del secondo libro di Samuele, è di una così tragica suggestione, anzi, straripa di una così attuale pregnanza di simboli, che difficilmente può essere dimenticata. Ma veniamo a Sting. Te lo voglio presentare. E un cantautore britannico, molto amato dai giovani. Tra le tante canzoni, con cui ha espresso la sua rabbia per la distruzione dell'Amazzonia o per la violenza sui bambini sudamericani, per le brutalità dei regimi militari o per la tragedia dei “desaparecidos”, ne ha scritta una che sembra essergli stata ispirata da te. Non ci credi? È in inglese e si intitola “They dance alone”. Che vuol dire: esse danzano da sole. Io ricordo solo alcuni versi, nel testo spagnolo, che mi son rimasti nell'anima. Uno dice così: danzan con los muertos. È la rievocazione dolente delle madri cilene che danzano in silenzio con le ombre dei loro figli scomparsi. Danzano con amori invisibili. In solitudine. Sotto il gelido sguardo dei soldati di Pinochet. In macabre liturgie di mestizia. Su paesaggi allucinanti, resi ancora più surreali da stridori di note che sembrano tonfi di lacrime in coppe di rame. Non hay otra manera de protestar… Sì, per quelle madri sconsolate, simbolo di tutte le madri del mondo ferite negli affetti più sacrosanti, non c'è altro modo di protestare che la danza notturna. Quieta come un lamento, ma fiera come l'uragano. Tenue come un'elegia, ma sovversiva come una rivolta. Dolce come un accordo di arpa eolia vibrata dal vento, ma provocatrice come un rimorso perenne inchiodato sulla coscienza degli oppressori. Ricamata sulla trama delle nostalgie, ma densa di attese di giustizia e punteggiata di incoercibili speranze per il futuro. Un dia danzaremos sobre sus tumbas, libres... Un giorno danzeremo sopra le loro tombe, finalmente libere! Che ne dici? A me questa canzone piace moltissimo. E sono certo che debba piacere anche a te. Perché è impossibile che di quelle madri in lutto tu non ti senta la capostipite, e di quella danza di dolore tu non ti scorga l'inventrice. Mi accorgo, però, che a questo punto debbo dire qualcosa di te. Non solo per placare la curiosità dei “fans” di Sting, ma anche per restituirti, se non proprio la percentuale sui diritti d'autore per la sua canzone, almeno la percentuale sui diritti d'onore che fino a oggi ti sono stati negati. Dunque, tu eri una concubina di Saul. Nulla di male, per quei tempi. Al re guerriero gli desti due figli. Lui vivente, le cose andarono bene per te. Ma, alla sua morte, diventasti motivo di contesa tra i vari pretendenti alla successione, finché non venne Davide che scavalcò tutti e si insediò sul trono d'Israele. Un giorno accadde l'irreparabile. I Gabaoniti, che avevano ancora il dente avvelenato con Saul, poiché più volte egli aveva tentato di sterminarli, giunto il momento opportuno per invocare il risarcimento dei danni, invece che chiedere a Davide una contropartita in denaro o in natura, chiesero un prezzo di sangue: Ci siano consegnati sette uomini tra i suoi figli e noi li impiccheremo... Una vendetta atroce. E Davide si arrese alla ragion di Stato. Prese i tuoi due figli, insieme con cinque nipoti di Saul, e li consegnò ai Gabaoniti perché fossero impiccati sulla montagna. Era un triste giorno di maggio. Ed è proprio a questo punto che la Bibbia, quasi di passaggio, ti riserva poche righe. Un versetto appena, ma che vale un monumento imperituro eretto alla memoria di ogni “madre coraggio”. Lo voglio riportare così come suona. Sembra un verbale di morte: invece, è un attestato di gloria. Tutti e sette perirono insieme. Allora Rizpà, figlia di Aià, prese il mantello di sacco e lo tese, fissandolo alla roccia, e stette là dal principio della mietitura dell'orzo finché dal cielo non cadde su di loro la pioggia. Essa non permise agli uccelli del cielo di posarsi su di essi di giorno e alle bestie selvatiche di accostarsi di notte. Ti accampasti così, da maggio a ottobre, sotto la forca di quei sette infelici, accomunati da un'unica pietà materna. In segno di protesta per l'oppressione degli innocenti. In segno di sfida alla crudeltà dei Gabaoniti. In segno di denuncia contro la violenza di regime. La gente, di giorno, ti passava vicino, incurante della tua follia e scrollando il capo per il tuo delirio. Ma, in una notte di plenilunio, forse qualcuno ti vide danzar con los muertos..., lì attorno a quei sette scheletri. Sette, come le canne di un vibrafono che oscillavano al vento d'autunno. E corse a riferire l'accaduto al re. Il quale, probabilmente intimorito che la tua irremovibile caparbietà si tramutasse in provocazione di popolo, pensò bene di archiviare la vicenda organizzando dei solenni funerali di Stato e dando sepoltura ai tuoi morti. Poi, dopo l'omaggio reso al tuo dolore dalla pubblica ipocrisia, la Bibbia non fa più menzione di te. Carissima Rizpa, permettimi di dirti che, con quel gesto coraggioso, hai inventato il più rivoluzionario stile di denuncia non-violenta che la storia possa registrare. Molti credono che le prime a praticarlo, quello stile, siano state le “Madri di Piazza di Maggio”, le quali ogni giovedì, nella vana richiesta di una giustizia che tarda a venire, sfilano da anni in silenzio, sotto gli occhi della polizia, sollevando le fotografie dei loro figli scomparsi. Molti pensano che questa forma di protesta materna contro il massacro di tante giovani esistenze, vittime della repressione politica, abbia trovato la sua culla accanto a lugubri tombe vuote, nei paesi latino-americani: in Argentina o in Cile, nel Salvador o in Guatemala. Molti sono persuasi che siano un ritrovato di questi ultimi anni le contestazioni scenografiche delle “donne in nero”, le quali vogliono gridare al mondo, con i simboli delle gramaglie, la loro inquietudine per le abdicazioni etiche e giuridiche di tutti i governi sanguinari della terra. Molti sono convinti che siano stati gli stermini dell'ultimo conflitto mondiale, o i massacri degli innocenti, o le impiccagioni dei partigiani, a proporre un nuovo genere letterario, sensibile, come nelle poesie di Quasimodo, al lamento d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero /della madre che andava incontro al figlio /crocifisso sul palo del telegrafo... Invece, no. Va rivendicato a te il triste brevetto di tutte quelle desolate trenodie che, pur lievi come fremito d'ala e struggenti come voci di flauti invisibili, scuotono la nostra coscienza con la forza di un temporale. Tu sei l'archetipo delle madri di tutti i tempi, per le quali, di fronte alla ideologia della guerra, no hay otra manera de protestar, e si piantano coraggiosamente sotto il patibolo dei loro figli come supremo richiamo alle ragioni del cuore. Così come sotto il patibolo del figlio si piantò un'altra donna, sul Golgota, un monte anche quello, in un vespro di Nisan, quasi per solidarizzare con tutti i crocifissi della storia, fatti fuori dalla logica perversa del potere. Tu sei l'icona di quelle donne che, per la loro istintiva tenerezza, costituiscono la profezia più irriducibile contro l'assurdità della violenza, e per le quali la nostra contraddittoria cultura contemporanea, mentre abilita alla generazione uteri da terza età, ne fa marcire gli ancor giovani frutti, esponendoli alla logica del profitto, alla tragedia della droga, alle insidie del crimine, allo sterminio per fame. Ma tu sei, soprattutto, il simbolo di tutte le creature povere e indifese della terra che, scrutando con fiducia l'irruzione di un mondo nuovo in cui il lupo e l'agnello pascoleranno insieme, ne spiano i segni premonitori e ne accelerano l'arrivo. Con una altissima quota di speranza. E se si attardano ancora a danzar con los muertos, è solo per ingannare l'attesa. Quasi per far le prove generali di una interminabile festa di libertà! Post scriptum. Se ti interessa, la canzone di Sting è tratta da un LP del 1988, intitolato Nada como el sol. Non so se sia in vendita nella versione ebraica. Ti saluto. don Tonino
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