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Mozart, specchio di un don Giovanni
15 giugno 2006

Tutto nella vita ha un suo doppio, in cui continuamente trapassa. La vita cede il posto all'arte, in una dimensione onirica, che ne altera i contorni e ne confonde l'essenza. Il reale si trasfigura in sogno e il sogno si materializza in realtà. Il groviglio di sentimenti si esala in musica e l'incanto della musica pervade la scena, e si materializza in canto. Sono questi gli ingredienti del Mozart. Specchio di un don Giovanni di Gianni Antonio Palumbo, portato in scena, con successo, al Teatro Odeon mercoledì 31 maggio dalla compagnia teatrale dell'Associazione musicale “Luigi Capotorti” (presieduta da Vito Mastrorilli), “Il gioco del teatro”. L'autore ha fondato la sua pièce su un intreccio sapiente di vita e arte, rimandi e corrispondenze, sogno e realtà, immagini plastiche e sensazioni evanescenti, fino a far rifrangere vita di Mozart e opera del don Giovanni in un gioco di specchi, in cui non è più possibile distinguere dove finisce l'arte e dove cominci la realtà. La metafora dello specchio, evocata dal titolo, pervade tutta la scena, sin nella scelta di utilizzare gli stessi attori e per i personaggi della biografia e per quelli del don Giovanni. Così, don Giovanni ha lo stesso volto di Wolfgang Mozart (Valerio de Pinto); la contadinella Zerlina lo stesso della cugina Thekla (Giovanna Magnifico), primo amore del giovane Mozart; donna Anna, lo stesso dell'algida Aloysia Weber (Tania Adesso); il commendatore, lo stesso del padre del musicista, Leopold (Michele Farinola) e così via, come se ciascun personaggio, oltre ad essere se stesso, rimandasse ad un'esistenza altra, consegnata all'eternità dalla fantasia dell'arte, e raggiungesse la sua piena identità solo nel rapporto col suo doppio. Questo lavoro, che nasce dalla volontà di fare il punto su un'esperienza di laboratorio teatrale dell'Associazione “Luigi Capotorti”, finisce col rivelarsi, esso stesso, un'opera d'arte, nata da un lavoro certosino di ricerca documentaria (lo studio della monografia di Maynard Solomon e delle epistole del musicista) e rielaborazione creativa e realizzata grazie all'impegno di un cast di attori, che ha rivelato un estro teatrale, musicale e artistico, tutt'altro che dilettantistico. Il cast è composto anche da Elisabetta de Trizio (donna Elvira), Luigi Giuseppe Baronchelli (Arcivescovo Colloredo/don Ottavio), Raffaele Salvemini (Conte Arco/Leporello), Giovanna de Biase (Imperatrice), Giuseppe de Pinto (Masetto), Annamarta Valente (Sophie Weber), Mara de Trizio (cameriera), Mariarosa Valente (Principessina); Antonietta Soriano (scenografie), Isabella Fasciano (coreografie), Francesco Giancaspro (pianista). La comunicazione epistolare è un elemento non inessenziale nello sviluppo dell'intreccio e nella progressione scenico-narrativa, che arriva ad affidare al silenzio epistolare, da parte di Mozart, la morte disperata dello stesso padre Leopold (“È morto per causa tua”, gli rinfaccerà la sorella Nannerl. “Stava sempre lì a piangere per le tue lettere che non arrivavano!”). Sullo sfondo di uno scenario essenziale e fra lo sfavillio di costumi d'epoca, la voce narrante di Frau Weber (Tonia Spagnoletti), suocera di Wolfgang, scandisce gli “atti” di una vita: Mozart bambino (Maurizio Allegretta); Mozart che viaggia per tutta l'Europa, accompagnato da una madre nevrotica (Rosalia Squeo); Mozart e la sua musica e il tripudio del successo; Mozart e il suo inappagato bisogno d'amore: Thekla, Aloysia, Costanza (Fiorella Gadaleta) e Nannerl (Isabella Fasciano), la sorella tanto amata e tanto inconsapevolmente oscurata (“Era sempre troppo difficile essere alla tua altezza!”, gli urlerà drammaticamente); Mozart schiacciato dall'ingombrante presenza di un padre, Leopold, che sovrasta la scena e ne condiziona la vita, tirando le fila del suo destino, come una regia nella regia, fino a profetizzare, già nelle prime battute, l'ultimo “atto” della vita del figlio (alias don Giovanni): la morte, che inevitabilmente attende chi si lasci irretire dall'inestricabile labirinto dell'incostante natura muliebre. A un certo punto, si fa buio in scena: è la notte del matrimonio di Wolfgang con Costanza, e sarà allora che egli vedrà la sua crisi morale e sentimentale culminare in un'operazione onirica di sovrapposizione fra realtà e finzione, mentre l'eco della voce della madre rediviva scandirà l'avvio del don Giovanni: “La verità è che sei solo un don Giovanni, un don Giovanni, un don Giovanniii”. Una scelta semantica nell'ideazione della frase che finisce con l'innestare quel dubbio amletico che attanaglia l'esistenza di Mozart, e di tutti gli uomini: qual è la verità? Da questo momento una serie di equivoci scandiranno l'opera del don Giovanni e una serie di intrecci con la vita di Mozart campeggeranno sulla scena, fino all'ultima frase affidata a Frau Weber: “Sono una cosa insolita; non ho anima né corpo; non mi si può vedere, ma mi si può sentire; non esisto autonomamente: solamente un essere umano può darmi vita… la mia vita è di breve durata, perché muoio nel momento in cui nasco. Così, secondo il capriccio degli uomini, posso vivere e morire molte volte al giorno”. Chi è: la musica, l'amore? Per ciascuno sia quel che sia… E il dubbio continua.
Autore: Carmela Cristofaro
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