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Molfetta, presentazione del libro "L'Economia della crisi"
24 ottobre 2011

MOLFETTA - Sabato 5 novembre p.v., ore 17:00, presso Palazzo Giovene (sala consigliare) ci sarà la presentazione del libro "L'Economia della crisi".
Profitti, finanze e povertà". Ne parleranno insieme all'autore, Gianpaolo Busso, il Coordinatore della Camera del Lavoro CGIL Molfetta Giuseppe Filannino e Tommaso Minervini.
Coordinerà gli interventi Minguccio Bellifemmine.

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“LUCRI BONUS EST ODOR EX RE QUALIBET” – scrive Giovenale in una delle sue satire della vita a Roma attorno al 100 d. C.. Questa amara visione del profitto non è stata interamente smentita per nessun paese e per nessuna epoca, ma nel mondo moderno, sorto con tanto successo dal dinamismo del capitalismo, il ruolo del profitto è visto in una prospettiva notevolmente diversa. La ricerca del profitto è oggi considerata, con molta fondatezza, come la forza motrice che crea le opportunità economiche e conduce al loro sfruttamento. Per dirla con Keynes, che certo non fu un ammiratore acritico del capitalismo, “il motore che muove l'impresa non è la parsimonia, ma il profitto”. Nella attività finanziaria e nella pratica degli affari alcuni atti possono essere esclusi perché inammissibili, benché potenzialmente idonei a promuovere il raggiungimento dei fini prescelti. Un esempio: è lecito perseguire l'obiettivo della massimizzazione del profitto utilizzando quale strumento la pressione sull'intervento pubblico per sfruttarlo a tal fine? Oppure, per considerare un altro problema, debbono esservi vincoli all'impiego di capitali di origine illecita, o al “riciclaggio” di denaro sporco, anche quando l'istituzione finanziaria non sia direttamente coinvolta in attività di per sé illecite? Nella ricostruzione storica dell'etica della finanza si può osservare come atti intrinsecamente odiosi possono tuttavia dar luogo a risultati positivi. I due aspetti della ricerca del profitto, vale a dire il perseguimento egoistico del guadagno e il ruolo incentivo per ottenere efficienza e buoni risultati, possono essere distinti, e distanti; ma, a partire da “La ricchezza delle nazioni” di Adam Smith, gran parte della teoria economica moderna (ivi inclusa tanta parte della teoria dell'equilibrio economico generale), si è preoccupata di dimostrare i nessi esistenti tra questi due aspetti. Al giorno d'oggi i “prodighi” e i progetta tori di iniziative chimeriche” possono fare scempio dell'aria che respiriamo, dell'acqua che beviamo e della schermatura dalle radiazioni dannose che supponiamo garantita. E' stata avanzata, non da ultimo anche in Italia, l'argomentazione stringente che i dirigenti d'impresa sono impegnati a perseguire l'esclusivo interesse degli azionisti e, in quanto di ciò responsabili, sono vincolati all'obbligo di massimizzare i profitti. Deviare da tale finalità potrebbe “apparire” moralmente giusto, ma secondo questo punto di vista equivarrebbe a disertare le responsabilità morali del mandato ad amministrare e della tutela degli interessi affidati. In un'impresa sono in gioco i destini di molti, e diversi, gruppi di persone, e molti sono quelli che affidano un mandato fiduciario alla direzione d'impresa: tra questi, i lavoratori non meno degli azionisti. Il fallimento di un'impresa è una tragedia per molti, inclusi i lavoratori, e non solo per i proprietari del capitale. Già Adam Smith, a suo tempo, aveva espresso una critica severa al fatto che gli interessi dei lavoratori erano troppo trascurati nella manifestazione di richieste o di motivi di malcontento. Scrive Smith: “certo nessun altro ordine soffre più crudelmente di quello dei lavoratori per il declino della società….Perciò, nelle deliberazione pubbliche, la sua voce è poco ascoltata e ancor meno considerata tranne in certe occasioni particolari, quando il suo clamore è messo su, animato e sostenuto da coloro che lo impiegano, non nel suo interesse, ma per i loro scopi particolari.” – Adam Smith, La ricchezza delle nazioni, cit., p. 253).-
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