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Molfetta, mons. Mimmo Amato replica alle critiche di Lazzaro Gigante sul ventennale di don Tonino
05 maggio 2013

MOLFETTA - Mons. Domenico Amato, Vicario Generale della Diocesi di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi con una lettera al direttore di “Quindici” Felice de Sanctis, replica alle critiche di Lazzaro Gigante sul ventennale di don Tonino pubblicate sul quotidiano “Quindici on line” il 29 aprile scorso.
Ecco il testo della lettera:
 
Caro Direttore,
la lettera aperta del Sig. Lazzaro Gigante, postata sul sito di Quindici-online, appare come uno sfogo contro qualcuno che non si ha il coraggio di chiamare per nome. Accuse che rimangono farraginose, che gettano ombre e sospetti su molti soggetti. Senza risparmiare frecciate velenose nei confronti della Chiesa, mantenendosi sempre sul generico così da gettare la pietra nascondendo la mano.
In verità all’inizio si stigmatizzano certe ricostruzioni giornalistiche e la gara a riconoscimenti di primogenitura o di cambi di casacca di chi è stato ostile a Mons. Antonio Bello mentre era in vita, a rivestire «l’abito del servitore innamorato o portavoce autentico». E poi affonda scrivendo: «È vero, parlano, parlano, ripetono le sue parole, dicono di aneddoti, li condiscono con filmati, scrivono pagine, riportano i ricordi degli amici degli amici come per scrivere un romanzo famigliare, si dividono le vesti del padre quasi per neutralizzare i suoi appelli, privatizzare la sua eredità e ridurre il senso delle sue parole». Ma questo è quanto, dal giorno successivo alla sua morte, si è denunciato da parte della Chiesa locale. Più volte io stesso, e non a semplice titolo personale, ho stigmatizzato questo processo involutivo. Eppure tanti continuano ad ammantarsi della livrea di depositari della verità su quest’uomo. E non si capisce perché i “tifosi” di don Tonino scordino le sue prese di posizioni sulla difesa della vita, o sulla sacralità della famiglia e del matrimonio, solo per ricordare due temi sensibili posti dall’acceso dibattito italiano. E qui non c’è da far riferimento a ricordi personali ma basterebbe solo sfogliare quello che don Tonino ha scritto, nero su bianco, e pubblicamente.
Poi, si passa alle accuse. Ci piacerebbe sapere a chi si riferisce quando parla dei penultimi tra i quali «c’erano alcuni tiepidi se non ostili scribi della sua diocesi, formati in diritto canonico e summe teologiche»? Con chi ce l’ha quando si rivolge a coloro che sono «seduti in poltrona parlano, parlano di una evangelizzazione che, essendo ritornata con lui di strada, è stata temuta dalle stanze grigie e damascate»? Chi vuole accusare quando parla di scelte fatte «senza privilegiare i restauri conservativi delle chiese e senza intese opportunistiche con il boss politico di turno»? Chi sono coloro che «stanno rompendo talora il sentire comune di questa eredità condivisa clericalizzandola»?
E ancora, chi sono quelli che sgomitavano e arretravano e che «prima o dopo hanno dovuto chiedere scusa non solo al pastore ma pure a chi stava accanto per la frenata tentata»?
Inoltre, la supponenza di chi crede di sapere tutto e di avere in mano il giudizio della storia sente pure di accusare, anche qui, in forma anonima coloro che «insomma non solo stanno riducendo la moltitudine dei testimoni e la pregnanza del suo Vangelo, ma anche nel metodo stanno talora impoverendo la santità di don Tonino e la sua eroicità».
La domanda che qui ci si pone è molto semplice. Perché per dire il proprio smarrimento o la propria contestazione per ciò che si vive oggi, nella società e nella Chiesa, in questa città e in questa diocesi ci si deve nascondere dietro la figura di don Tonino? Perché senza tirare in ballo quel sant’uomo, che quando doveva puntare il dito: primo, non nascondeva il dito e poi, non si trincerava dietro il paravento di figure simbolo, ma aveva il coraggio delle proprie scelte e diceva chiaramente quello che intendeva dire?
Senza farsi scudo di don Tonino il Sig. Lazzaro Gigante dica con chi ce l’ha, e chi sarà tirato in ballo avrà modo di rispondergli.
Ci piacerebbe sapere, poi, se in quel «disinteresse per la cosa pubblica da parte degli uomini di cultura», dobbiamo annoverare pure lui.
All’inizio si diceva di ricostruzioni fantasiose degli avvenimenti, e anche il Sig. Gigante si lancia in personalissime ricostruzioni. Egli scrive: «come dimenticare che, mentre un gruppetto di noi vegliava la sua salma di notte, la gente, il popolo, all’aurora batteva il portone della cattedrale perché si sentiva escluso e pretendeva di essere ancora accanto a chi riconosceva come padre chinato sulle sue sofferenze e gioie, sentendosi consolato dalla carezza del Vescovo». Ebbene, sappia il Sig. Gigante che chi ha passato tutta la notte a vegliare la salma di don Tonino sono stato io. Davanti alla salma si sono avvicendati i giovani di Azione Cattolica con turni di un’ora ciascuno e chi apriva e chiudeva la porta della sagrestia ero io. Che il portone della Cattedrale è stato chiuso a tardissima notte, quando ormai il flusso della gente era scemato e al mattino successivo, molto presto, il portone è stato riaperto, senza che ci fosse gente che bussava. Per cui bisogna fare molta attenzione quando si vogliono ricostruire i fatti.
Infine il Sig. Gigante ha da ridire anche sulla celebrazione liturgica del 20 aprile scorso in Cattedrale, che lui avrebbe preferito all’aperto. E meno male che la presidenza di mons. Paglia gli è piaciuta.
Ma forse non sapeva il Sig. Gigante, perché non è interessato alla stampa cattolica, che la celebrazione è stata ripresa e diffusa in streaming e diffusa anche attraverso TeleDehon.
Non si è accorto che da ottobre scorso in tutte le scuole delle quattro città della diocesi si è attivato il progetto “conosci don Tonino”, che ha cercato di far conoscere don Tonino alle nuove generazioni le quali, in verità, a tutte queste polemiche non sono assolutamente interessate, e accolgono don Tonino nella genuinità della sua testimonianza evangelica. Gli è sfuggita la relazione che Padre Bartolomeo Sorge ha tenuto su don Tonino, contestualizzando e storicizzando il suo pensiero tra Concilio Vaticano II e testimonianza di papa Francesco. Nemmeno è stato interessato al percorso che ha portato tanti giovani della nostra diocesi a impegnarsi per la realizzazione dell’azione drammaturgica “Una croce con le ali. Don Tonino Bello: il segno e la profezia”.
Si poteva fare di più? Si poteva fare diversamente? Certo, ma nella pluralità di attenzioni altre manifestazioni sono state imbastite dalla diocesi di Ugento e da Pax Christi. L’intento perseguito è stato di non restare chiusi nel passato, perché don Tonino è vivo con la sua testimonianza e ha da dire qualcosa a tutti, anche a chi non l’ha conosciuto. Perché il ricordo finisce, la memoria e la testimonianza invece rimangono.
All’inizio della sua lettera il Sig. Gigante parlava di tristezza. È la stessa tristezza che mi prende quando don Tonino lo si vuole tirare dalla propria fazione. Egli dice che «si stanno creando i figli e i figliastri di don Tonino». È proprio quello che succede con lettere di questo tipo, quando ci si erge a detentori della “verità” tacciando tutti gli altri di essere traditori.
Con stima
 
Mons. Domenico Amato
Vicario Generale della Diocesi di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo, Terlizzi
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