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Molfetta, l'informazione viziata dall'appartenenza
19 marzo 2014

MOLFETTA - Fare informazione è un compito arduo! Ancora di più lo è quando si deve fornire al Cittadino, che ha il sacro santo diritto di essere informato, tutti i dati, siano essi di carattere politico, di costume, sociali, mantenendo un’assoluta rispondenza con fattori oggettivi, a contorno dell’informazione medesima. E’ un compito arduo, perché l’informazione, se tale ed in particolare la CRONACA, deve prescindere da sensazioni, appartenenza culturale, politica, sociale di chi si dedica a questo delicato compito. Ciascuno di coloro che “fanno informazione” tuttavia, danno una specie di imprinting alle notizie che diffondono,  frutto di interpretazioni dell’evento, alla luce della propria esperienza; sono in prevalenza quelli che vengono definiti OPINIONISTI. Costoro forniscono, oltre all’informazione sul fatto intrinseco, anche un’interpretazione frutto della propria esperienza culturale, sociale e di appartenenza. Questo può essere accettato oppure no, da chi legge.

Uno dei mali assoluti che generano la cattiva informazione, rappresenta la distorsione perfino dei dati oggettivi, che sono di pubblico dominio e quindi,  per definizione, non manipolabili.

Un esempio lampante, di quanto sopra affermato, ci viene fornito dalla lettura di un articolo apparso su un foglio locale, riguardante la recente conclusione della vicenda della convalida delle firme di alcuni partecipanti alle elezioni amministrative, celebrate lo scorso anno a Molfetta,  fatta da Consiglieri provinciali (quali “pubblici ufficiali”).  Non riteniamo di descrivere ancora una volta la vicenda. Essa per mesi ha occupato le cronache dei media, nella misura in cui, per una interpretazione di una norma riguardante la convalida dei nominativi dei partecipanti alle elezioni (nel nostro caso, le Amministrative svoltesi il 26 e 27 maggio 2013, con ballottaggio il 9 e 10 giugno 2013), ha tenuto l’Amministrazione – che è risultata vincente al ballottaggio – e la Cittadinanza tutta con il fiato sospeso, in attesa del definitivo responso della Giustizia amministrativa. Il rischio che si correva era che, nel caso di sentenza avversa, si sarebbe dovuto sciogliere il Consiglio comunale, tornare all’Amministrazione commissariale ed indire nuove elezioni amministrative, con tutto quel che ne consegue.

Come detto, leggendo un foglio locale, siamo rimasti colpiti dal titolo di un articolo e poi interdetti dal suo contenuto.

L’incipit dell’articolo recita: La Giunta Natalicchio stava per morire. Poi, grazie al Giudice amministrativo e non agli elettori (sic), è rinata. La Sindaca e i suoi quattro accoliti, pure divisi fra loro, hanno festeggiato. Senza voler entrare nel merito esegetico dell’”immagine” evocata di qualcosa che sta per morire, ma poi rinasce!, ricordiamo che una sola volta, a memoria d’uomo, un  “tale” a nome GESU’ di Nazareth, fece resuscitare (non rinascere!) un uomo che aveva cessato di vivere! E’ evidentissima qui, la contraddizione in termini.

Abbiamo sostenuto che ogni pezzo riflette, in qualche modo, l’impronta culturale e civile dell’estensore: usare parole così… naif  per individuare Sindaco e Giunta, ci sembra surreale; pur tuttavia l’importante è non distorcere la realtà oggettiva, che può essere soggetta ad interpretazioni riflettenti appunto la cultura sociale di chi scrive, tenendo sempre presente il ”dato oggettivo”, non manipolabile.

Persone di media intelligenza, quale siamo noi, leggendo quanto riportato ed ignorando il dato oggettivo, si formano un’idea strana delle vicende legate alle Amministrative nelle quali, al ballottaggio, numeri alla mano, è risultata vincitrice la signora Natalicchio perché 17.878 elettori! l’hanno preferita rispetto al suo diretto competitore l’avv. Camporeale, al quale gli elettori hanno dato 14.690 preferenze! In Democrazia ed in assenza di brogli elettorali, governa chi riporta un numero maggiore di preferenze, rispetto all’avversario: così funziona!

Domandiamo allora, di che cosa parla l’Estensore dell’articolo, quando dice che “la Sindaca” sarebbe “rinata” grazie al Giudice amministrativo (T.A.R. e Consiglio di Stato). E’ a conoscenza, questo Signore, dell’esito delle votazioni? Da quel che scrive, sembrerebbe che l’informazione gli manchi. L’articolo prosegue poi, con opinioni (legittime?) del suo Estensore, riguardanti (anche) la “difficoltà” che incontrerebbe, appunto la Giunta, nell’orientarsi ad appartenere ad una determinata “Parrocchia”: ne citerebbe tre, rette da tre improbabili Parroci: (don) Lillino, (don) Guglielmino, (don) Peppino – perfetti sconosciuti come Sacerdoti,almeno da noi - non specifica neanche l’ubicazione di tali improbabili parrocchie, nell’ambito della Diocesi.

Un’ultima notazione è doveroso farla, su un altro passo dell’articolo: …”avete bloccato (la costruzione del) il Porto”, scrive il nostro. Si riferisce al sequestro del Cantiere, operato dalle Forze di Polizia, su mandato della Procura della Repubblica di Trani, per evidenti ed accertate irregolarità, nel rapporto fra l’A.T.I. (che stavano effettuando i lavori) ed alcuni settori dell’Amministrazione di C.D. che ha governato la Città, fino ad ottobre del 2012 e che aveva commissionato l’opera. Ma chi ha bloccato (i lavori e posto sotto sequestro) il Porto? Non ci pare sia stata l’Amministrazione Natalicchio, anche perché giuridicamente, nulla avrebbe potuto fare in questo senso, né in qualsiasi altro senso!.

Ecco, possiamo allora concludere dicendo che nel processo di comunicazione, è doverosamente ammesso il dissenso verso questo o quel comportamento, azione, evento: la DEMOCRAZIA non solo lo ammette, ma lo stimola quale momento di discussione civile. Quanto leggiamo negli esempi riportati non possono assolutamente essere rubricati sotto la voce dissenso: qui siamo di fronte a palese disinformazione, che non fa bene a nessuno, anzi infiamma gli animi di chi, legittimamente mal digerisce la situazione istituzionale creatasi dopo la vittoria della Coalizione di centrosinistra, alimentando rancori indesiderati che generano situazioni pericolose: e non lo affermiamo a caso.

 Allora, come detto, la presentazione di un fatto da parte di un Comunicatore può risentire del taglio culturale di chi comunica; tuttavia fare notizia, alterando così grossolanamente dati oggettivi quali sono i numeri che si riferiscono alle preferenze espresse dagli ELETTORI e facendo passare dubbi infondati sulla legittimità del responso delle urne, su situazioni che hanno avuto svolgimenti del tutto di versi da quelli prospettati almeno quello, ci sembra eccessivo. Non ci sembra informazione!

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Autore: Tommaso Gaudio
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Caro Musso Lini, il nick da te scelto dice già come la pensi e quindi fai parte della schiera dei fascisti che sono in Forza Italia. E quindi il tuo post riflette il modo di pensare dei fan di Berlusconi: “noi siamo la verità, gli altri sono tutti comunisti da abbattere insieme con i giudici rossi al loro servizio e tutti coloro che criticano Forza Italia vanno combattuti”. Fatta questa premessa, basata sulle ripetute affermazioni di Silvio (che vorrebbe imitare il duce, senza riuscirci), premessa necessaria per inquadrare chi scrive il commento, facciamo chiarezza con la verità dei fatti e non con le vaneggianti sue affermazioni. Noi di Quindici non siamo prevenuti nei confronti di Forza Italia, è il contrario, sono loro prevenuti nei nostri confronti e, come abbiamo detto in altre occasioni, contrariamente a Berlusconi, non sanno fare comunicazione (Silvio, per favore, fai un corso accelerato ad Azzollini e Camporeale). Che significa imparzialità? Scrivere solo quello che dicono i forzaitalioti, senza criticare ed esprimere le proprie opinioni, come sarebbe piaciuto al duce? In passato abbiamo dimostrato di pubblicare tutti i comunicati del centrodestra, intervistando più volte lo stesso Azzollini. Poi, rispettando le sue opinioni, abbiamo espresso le nostre. Questa è la democrazia, che al senatore e al centrodestra non piace, perché la libertà che loro vantano è solo a parole e si riferisce solo ai fedeli di Silvio. Per quanto riguarda la legge fascista sulla diffamazione, presente nel codice Rocco di Mussolini e rimasta anche in quello attuale, siamo d'accordo con te: non è stata cambiata perché fa comodo a tutti (destra e sinistra, vedi le querele di D'Alema perfino ai vignettisti) lasciare il carcere per i giornalisti. Sul caso Sallusti sarebbe troppo lungo parlare. Ci limitiamo a dire che la colpa è dello stesso Sallusti, direttore del Giornale di proprietà di Berlusconi, che ha lasciato scadere volutamente i termini per l'appello, per poter fare poi la vittima. Il reato di cui è stato accusato, omissione di controllo e responsabilità oggettiva, andrebbe abolito subito e su questo siamo d'accordo (siamo stati anche noi colpiti come Sallusti da questo reato), ma servirsi di quel reato per fare l'eroe, avere la solidarietà e riempire pagine e pagine del suo giornale, è da condannare. Ecco, dopo questa lunga spiegazione (fatti e non chiacchiere) speriamo di aver fatto capire a lei e agli altri commentatori ottusi, cosa, a nostro parere, significhi fare informazione democratica e libera: anche essere d'accordo su alcune cose ma dissentire liberamente su altre, come hanno insegnato grandi giornalisti come Montanelli e Biagi (cacciati dal suo Silvio). L'imparzialità non esiste, è una favola che si racconta in giro per gli allocchi. Esiste l'onestà di dire cosa si pensa anche sui vari partiti politici, senza nascondersi dietro una falsa obiettività e riportare il parere degli altri. Solo così, dialogando e confrontandosi, l'Italia può crescere. Invece da vent'anni stiamo sempre a discutere dei problemi e del conflitto di interesse di Berlusconi “vittima dei giornali e dei giudici comunisti” (proprio lui che è amico dell'unico comunista ancora in giro, il russo Putin) mentre l'Italia è alla rovina. Anche Mussolini che lei evoca, è morto da tempo, il fascismo è un'ideologia tramontata come il comunismo, cerchi di togliersi il prosciutto dagli occhi e approdi alla democrazia, apra la mente al confronto e non faccia come i suoi amici Azzollini e Camporeale che seminano sempre odio contro chi li critica e danneggiano se stessi e la nostra cara Molfetta.



La libertà può essere trasformata in un possente strumento di dominio. Non è l'ambito delle scelte aperte all'individuo il fattore decisivo nel determinare il grado della libertà umana, ma che cosa può essere scelto e che cosa è scelto dall'individuo. Il criterio della libera scelta non può mai essere un criterio assoluto, ma non è nemmeno del tutto relativo. La libera elezione dei padroni non abolisce né i padroni né gli schiavi. La libera scelta tra un'ampia varietà di beni e di servizi non significa libertà se questi beni e servizi alimentano i controlli sociali – se, cioè, alimentano l'alienazione. E la riproduzione spontanea da parte dell'individuo di bisogni che gli sono stati imposti non costituisce una forma di autonomia: comprova soltanto l'efficacia dei controlli. La nostra insistenza sulla profondità e l'efficacia di questi controlli va incontro all'obbiezione che noi sopravvalutiamo grandemente il potere di indottrinamento dei “media”, e che in ogni caso le persone sentirebbero e soddisferebbero da sole i bisogni che, al presente, sono loro imposti. L'obbiezione non coglie il punto. Il precondizionamento non incomincia con la produzione in massa dei programmi radio - televisivi e con l'accentramento del controllo di questi mezzi. Quando si arriva a questa fase, le persone sono esseri condizionati da lungo tempo; la differenza decisiva sta nell'appiattimento del contrasto (o del conflitto) tra il dato e il possibile, tra i bisogni soddisfatti e insoddisfatti. Il cosiddetto livellamento delle distinzioni di classe rivela qui la sua funzione ideologica. Se il lavoratore ed il suo capo assistono al medesimo programma televisivo e visitano gli stessi luoghi di vacanza, se la dattilografa si trucca e si veste in modo altrettanto attraente della figlia del padrone, se il negro possiede una Cadillac, se tutti leggono lo stesso giornale, ne deriva che questa assimilazione non indica tanto la scomparsa delle classi, quanto la misura in cui i bisogni e le soddisfazioni che servono a conservare gli interessi costituiti sono fatti propri dalla maggioranza della popolazione. In realtà, nelle zone più altamente sviluppate della società contemporanea il trapianto dei bisogni sociali nei bisogni individuali è così efficace che la differenza tra i due sembra essere puramente teorica. E' mai possibile tracciare una vera distinzione tra i mezzi di comunicazione di massa come strumenti di informazione e di divertimento, e come agenti di manipolazione e di indottrinamento? …………………………Herbert Marcuse – L'uomo a una dimensione.


Caro Tommaso Gaudio, ahimè, niente di nuovo Copio e incollo i principi della "Propaganda" di Joseph Paul Goebbels (Rheydt, 29 ottobre 1897 – Berlino, 1º maggio 1945), uno dei più importanti gerarchi nazisti, nonché Ministro della Propaganda nel medesimo regime invitando i lettori a confrontarli con l'attuale disinformazione, in particolare il n. 6. 1. Principio della semplificazione e del nemico unico. E' necessario adottare una sola idea, un unico simbolo. E, soprattutto, identificare l'avversario in un nemico, nell'unico responsabile di tutti i mali. 2. Principio del metodo del contagio. Riunire diversi avversari in una sola categoria o in un solo individuo. 3. Principio della trasposizione. Caricare sull'avversario i propri errori e difetti, rispondendo all'attacco con l'attacco. Se non puoi negare le cattive notizie, inventane di nuove per distrarre. 4. Principio dell'esagerazione e del travisamento. Trasformare qualunque aneddoto, per piccolo che sia, in minaccia grave. 5. Principio della volgarizzazione. Tutta la propaganda deve essere popolare, adattando il suo livello al meno intelligente degli individui ai quali va diretta. Quanto più è grande la massa da convincere, più piccolo deve essere lo sforzo mentale da realizzare. La capacità ricettiva delle masse è limitata e la loro comprensione media scarsa, così come la loro memoria. 6. Principio di orchestrazione. La propaganda deve limitarsi a un piccolo numero di idee e ripeterle instancabilmente, presentarle sempre sotto diverse prospettive, ma convergendo sempre sullo stesso concetto. Senza dubbi o incertezze. Da qui proviene anche la frase: “Una menzogna ripetuta all'infinito diventa la verità”. 7. Principio del continuo rinnovamento. Occorre emettere costantemente informazioni e argomenti nuovi (anche non strettamente pertinenti) a un tale ritmo che, quando l'avversario risponda, il pubblico sia già interessato ad altre cose. Le risposte dell'avversario non devono mai avere la possibilità di fermare il livello crescente delle accuse. 8. Principio della verosimiglianza. Costruire argomenti fittizi a partire da fonti diverse, attraverso i cosiddetti palloni sonda, o attraverso informazioni frammentarie. 9. Principio del silenziamento. Passare sotto silenzio le domande sulle quali non ci sono argomenti e dissimulare le notizie che favoriscono l'avversario. 10. Principio della trasfusione. Come regola generale, la propaganda opera sempre a partire da un substrato precedente, si tratti di una mitologia nazionale o un complesso di odi e pregiudizi tradizionali. Si tratta di diffondere argomenti che possano mettere le radici in atteggiamenti primitivi. 11. Principio dell'unanimità. Portare la gente a credere che le opinioni espresse siano condivise da tutti, creando una falsa impressione di unanimità.



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