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Molfetta, l'Azione Cattolica per l'acqua pubblica bene comune
21 marzo 2011

MOLFETTA - L’Azione Cattolica Italiana di Molfetta insieme al gruppo AGESCI Molfetta 1, ha promosso due giornate di confronto sul tema dell’acqua pubblica. Nel primo incontro, i relatori Rosario Lembo, presidente Comitato Italia Contratto Mondiale sull’acqua – Onlus e direttore dell’Università del Bene Comune – Facoltà dell’acqua, e Michele Loporcaro (foto) del Comitato Pugliese “Acqua bene comune”, hanno relazionato sui temi della “Disponibilità d'acqua in Italia: scenari e prospettive” e della “Gestione del servizio idrico in Puglia e la qualità dell'acqua di rete erogata”.

L’incontro ha voluto, come precisato dagli organizzatori, porre l’attenzione su un tema importante, quello dell’acqua pubblica come bene comune. Una riflessione sull’acqua in termini di qualità, e quindi informazione sull’acqua che quotidianamente sgorga dai rubinetti delle nostre abitazioni, sulla sua composizione e sulle differenze con le acque imbottigliate. Un incontro informativo sul tema in vista anche del referendum del prossimo 12 giugno con il quale, spiegano gli organizzatori, “non ci si vuole esporsi per l’una o per l’altra posizione, ma si tratta di informazione su un tema d’attualità che riguarda tutti i cittadini, in particolare il mondo cattolico per la salvaguardia del creato”.
La relazione del direttore dell’UBN, Rosario Lembo (foto in galleria) inizia con la riflessione sul valore dell’acqua e l’analisi della disponibilità d’acqua e l’accessibilità ad essa nei vari paesi del mondo. Un’acqua descritta come il bene comune per eccellenza, che rappresenta la vita, viene definito bisogno e diritto al tempo stesso. Un bene non accessibile a tutti e non garantito come diritto umano, universale. Un bene che sta diventando negli ultimi anni oggetto di mercificazione soggetto a sfruttamento. Una manovra questa, tutta a favore dei privati e delle grandi multinazionali da addebitare alla grande crisi di appartenenza e di identità, con la conseguente perdita di valori comuni alla base della pacifica convivenza che si sta attraversando in questo periodo. Stiamo dunque tornando indietro, forse perché si è dimenticato il grande sforzo fatto alcuni decenni fa per la conquista dell’acqua in casa.
Uno sforzo portato a termine con buoni risultati anche grazie al contributo dello Stato che si è fatto carico negli anni della gestione degli acquedotti. Ma a quanto pare tutto questo non è bastato, perché nel XXI secolo l’acqua rappresenta ancora il bene più minacciato. “Abbiamo tentato, ha detto Rosario Lembo, con la Facoltà dell’Acqua, di trasformare l’Acquedotto pugliese da S.p.A. a ente di diritto pubblico, contribuendo alla redazione della legge oggi depositata in Regione. Il governatore Vendola però non l’ha ancora attuata, nonostante le tante promesse fatte in più occasioni, motivo per cui abbiamo smesso di collaborare con Acquedotto pugliese e con Regione Puglia”. Oggi la legge è ancora depositata lì in attesa di approvazione.
In Italia, il primo tentativo di riformare drasticamente la legge sulle risorse idriche è stato fatto nel 1994 con la legge 36 dello stesso anno detta legge Galli. Dopo quel periodo però è iniziata l’era delle privatizzazioni degli acquedotti, prima trasformate in aziende municipalizzate e poi trasformate in S.p.A., fino ad arrivare ai giorni d’oggi in cui i principi prevalenti sono la “petrolizzazione” dell’acqua e la trasformazione dei cittadini in consumatori obbligati, tramite la pubblicità, con la convinzione subdola che acquistando l’acqua imbottigliata bevano un’acqua di qualità e soprattutto sicura.
Nel 2015 3,4 miliardi di persone non avranno accesso all’acqua, un bene della natura che sta diventando oggi merce, commercializzata con modalità e regole del mercato. Una merce che come tutte le risorse naturali è soggetta a sfruttamento e soprattutto a mercificazione. Tutto questo secondo una logica che vorrebbe l’acqua che cade sul pianeta, un bene comune, un bene della natura, che una volta prelevato dal sottosuolo e messa nei tubi, ossia negli acquedotti, cioè manipolata dall’uomo, diventa risorsa industriale, dunque commercializzabile. L’acqua dunque pian piano diventa un bisogno umano individuale, non considerabile come un diritto.  
Solo nel luglio 2010 l’assemblea delle Nazioni Unite ha riconosciuto il diritto all’acqua, su proposta della Bolivia. Oggi, nel 2011 l’accesso all’acqua è a livello di principio, diventato un diritto umano, privo però di applicazione in assenza di ratifica ad opera dei singoli stati.
Le relazione di Rosario Lembo, nel primo incontro si conclude con l’invito alla riflessione, ma soprattutto all’informazione e all’applicazione di piccoli accorgimenti nella vita di tutti i giorni per ridurre i consumi devastanti e gli sprechi, perché l’acqua è fondamentale per tutte le attività umane, non solo bere, cucinare, lavarsi, ma anche coltivare i campi, produrre beni di consumo, ecc, insomma senza l’acqua non si vive.
A concludere l’interessante incontro tenutosi nell’aula magna del Seminario Vescovile è stato Michele Loporcaro del Comitato Pugliese “Acqua bene comune”, cha ha voluto riportare alcuni dati statistici sul consumo dell’acqua imbottigliata a differenza di quella del rubinetto, con la spiegazione di caratteristiche tecniche dell’acqua accostando il confronto di alcune etichette di acque imbottigliate con l’analisi delle acque di rubinetto.
Dalla relazione di Loporcaro è emerso che le analisi dell’acqua di rubinetto, vengono effettuate molto più spesso delle analisi chimiche a cui vengono sottoposte le acque imbottigliate. Dunque sono più sicure e non sono a contatto con la plastica che rilascerebbe, secondo l’Agenzia per la sicurezza ambientale e sui medicinali degli USA, una sostanza cancerogena il Bisfenolo A.
 Secondo dato significativo riportato dal relatore durante l’incontro è lo spreco che si compie con il consumo di acqua imbottigliata, infatti, acquistando un litro d’acqua dal supermarket sotto casa, prendiamo un litro e ne sprechiamo 15 (necessari per produrre la bottiglia stessa), senza considerare i costi di smaltimento della bottiglia (ogni anno gettiamo solo in Italia 2 miliardi di bottiglie) che finisce in discarica sempre a nostre spese. Alla fine, abbiamo bevuto un litro d’acqua, ne abbiamo sprecati 15, e pagato l’acqua imbottigliata a circa 300 euro il metro cubo, quando l’acqua del rubinetto di casa la pago solo 1,40 euro al metro cubo. Uno spreco immane a cui l’Italia con i suoi consumi record non fa mancare il suo apporto. L’Italia è infatti il primo paese al mondo per il consumo di acque in bottiglia, nonostante il 96% degli italiani abbia in casa acqua di buona qualità. Merito anche delle pubblicità che investono fior di quattrini per darcela a bere… è proprio il caso di dirlo.
 
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Autore: Giovanni Angione
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