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Molfetta, incontro con la poesia di Giuseppina di Leo all'associazione culturale Eirène
24 ottobre 2011
MOLFETTA
- «
Prendetevi un giorno, ma che sia un intero giorno, per stare da soli, con se stessi, per partire con se stessi. Consigli pratici: non avere con sé se non l'indispensabile e, forse, è meglio non avere neppure quello
». Sembra esser questo il messaggio principale delle poesie di
Giuseppina di Leo
(nella foto in piedi), come la stessa autrice ha lasciato intedere in un incontro alll’associazione culturale
Eirène
.
A confermarlo, anche il titolo di una delle sue opere principali, «
Slowfeet, percorsi dell’anima
»: un invito alla lentezza, all’estraniazione dalla frenetica routine quotidiana per ritrovare stessi nella propria dimensione più intima. Un invito a quel «
camminare lento che ferma il tempo nell’attimo di luce
» e che dovrebbe aiutarci a prendere le scelte con più ponderatezza, riappropriandoci del nostro passato, della dimensione dell’oggi, che immancabilmente ci sfugge via,di conseguenza anche del nostro futuro.
L’incontro con la poetessa, trasformato in una lettura di poesie, permette di avere un’idea abbastanza ampia della sua produzione: il più delle volte leggera e delicata, colorata dal gusto per il quotidiano e per tutti quei piccoli dettagli che spesso ci sfuggono, presi come siamo dai nostri spesso effimeri obiettivi. Una poetica tutta improntata sulla semplicità, sull’immediatezza, che non manca di sfiorare l’ironia (particolarmente apprezzabile nel componimento «
Previsioni del tempo
»), senza mai cessare di scavare però nella dimensione interiore.
Una delle tematiche più rilevanti è quella della tradizione, del vecchio mondo contadino che inesorabilmente scompare, lasciando un velo di nostalgia che aleggia su ciò che rimane: una delle poesie di Giuseppina gioca proprio su ciò che si può provare tornando in un paese dopo molto tempo, trovandolo irriconoscibile. A rafforzare questo legame con il passato, il ricordo di una relazione particolare con il nonno, con il sapore delle vecchie storie, semplici, che si inventano dal nulla, magari prendendo come spunto un semplice oggetto che si ha davanti. Il nonno, ha raccontato la poetessa, le ha insegnato ad ascoltare, una dote che non molti posseggono soprattutto nella frenesia dei nostri giorni e che le ritorna di grande aiuto nella sua attività artistica.
Tuttavia, accanto a questa poesia più semplice e quotidiana, non manca una sferzante poesia di denuncia, impegnata nel sociale, che condanna l’indifferenza di chi si sente al di là dello schermo. L’autrice esprime, piuttosto, un dolore assordante, sconvolgente, di fronte alle immagini agghiaccianti di Sarajevo. Del resto, Giuseppina Di Leo mostra una propensione anche per un’ altra forma d’arte: la pittura. Anche se da autodidatta, si è cimentata in una esposizione (rimanendo in ambito locale), ma soprattutto si occupa in prima persona dell’illustrazione dei suoi libri, privilegiando la tecnica dell’acquarello.
Inoltre, alcune delle sue poesie assumono anche la forma dell’aneddoto: lo vediamo, in particolare, nel ricordo di un incontro giovanile con
Nino Pedretti
. Giuseppina racconta di aver chiesto al poeta proprio la ricetta per scrivere poesie: Pedretti aveva scritto ai bordi di una ricetta da cucina i nomi di
Rilke
,
Saba
ed
Elliott
. Fondamentale è insomma, ha ricordato l’autrice stessa, non fermarsi mai ai propri scritti, ma piuttosto crescere intellettualmente leggendo il più possibile e acquisendo così una posizione culturale più consapevole, senza mai comunque dimenticare di farsi guidare dalla propria sensibilità.
© Riproduzione riservata
Autore:
Giulia Maggio
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Tiramolla
28 Ottobre 2011 alle ore 16:24:00
"IL POETA NON IMITA LA NATURA: BEN E' VERO CHE LA NATURA PARLA DENTRO DI LUI E PER LA SUA BOCCA....COSI' IL POETA NON E' IMITATORE SE NON DI SE STESSO."
Rispondi
Io ho ucciso Liberty Valance - Tom Doniphon
25 Ottobre 2011 alle ore 14:31:00
.......................il poeta che non è realista è morto. Ma il poeta che è solo realista è morto anche lui. Il poeta che è solo irrazionale sarà capito solo da se stesso o dalla sua amata/o, e questo è abbastanza triste. Il poeta che è solo un razionalista sarà capito perfino dagli asini, e anche questo è sommamente triste. Per equazioni del genere non ci sono cifre alla lavagna, non ci sono ingredienti decretati da Dio o dal Diavolo, se non che questi due importantissimi personaggi tengono viva una lotta nella poesia, e in questa battaglia vince ora l'uno ora l'altro, ma la poesia non può essere sconfitta. E' vero che il mestiere di poeta è un po' abusato. Spuntano tanti poeti novelli e incipienti poetesse che presto sembreremo tutti poeti, e scompariranno i lettori. I lettori dovremo andare a cercarli in spedizioni che attraverseranno i deserti sui cammelli o circoleranno per il cielo in astronavi. L'inclinazione profonda dell'uomo è la poesia e da essa derivò la liturgia, i salmi, e anche il contenuto delle religioni. Il poeta affrontò i fenomeni della natura e nelle prime età si diede il titolo di sacerdote per preservare la sua vocazione. Quindi nell'epoca moderna, il poeta, per difendere la sua poesia, deve prendere l'investitura che gli danno la strada e le masse. Il poeta civile di oggi continua ad essere quello del più antico sacerdozio. Prima venne a patti con le tenebre e ora deve interpretare la luce.
Rispondi
Chi ha ucciso Liberty Valance?
24 Ottobre 2011 alle ore 22:06:00
La poesia è sempre un atto di pace. Il poeta nasce dalla pace come il pane nasce dalla farina. Gli incendiari, i guerrieri, i lupi, cercano il poeta per bruciarlo, per ucciderlo, per sbranarlo. Uno spadaccino lasciò Puskin ferito a morte fra gli alberi di un cupo parco. I cavalli di polvere galopparono impazziti sul corpo senza vita di Petòfi. Byron morì in Grecia lottando contro la guerra. I fascisti spagnoli iniziarono la guerra in Spagna assassinando il suo maggior poeta. Rafael Alberti è come un sopravissuto. C'erano mille morti pronte per lui. Una anche a Granada. Un'altra morte l'aspettava a Badajoz. A Siviglia piena di sole o nella sua piccola patria, Cadice e Puerto Santa Maria, lo cercavano per pugnalarlo, per impiccarlo, per uccidere in lui ancora una volta la poesia. Ma la poesia non è morta. Ha le sette vite del gatto. La perseguitano, la trascinano per strada, le sputano addosso e la dileggiano, la stringono per soffocarla, l'esiliano, l'incarcerano, le sparano quattro colpi e la poesia esce da tutti questi episodi con la faccia lavata e un sorriso bianco come il riso. La poesia è di grande utilità pubblica nei momenti critici del mondo. Questa utilità pubblica della poesia si basa sulla forza, sulla tenerezza, sull'allegria e su una essenziale autenticità. Senza questa qualità la poesia suona ma non canta. Il poeta canta sempre. (Confesso che ho vissuto – Pablo Neruda)
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