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Molfetta, il Partito di Alternativa Comunista contro la manovra Monti: no ad un anno di pesanti attacchi ai lavoratori
09 gennaio 2012

MOLFETTA - «È una manovra pesantissima che, con l'obiettivo di risanare il debito pubblico a beneficio di una borghesia miliardaria, fa cadere sulle spalle dei lavoratori i costi della crisi».  Così il Partito di Alternativa Comunista commentata la manovra Monti, considerata «un debito di cui hanno beneficiato i capitalisti, ma che il governo Monti, esattamente come il governo Berlusconi, fa pagare ai lavoratori e ai pensionati, colpendo selvaggiamente salari e pensioni da fame».
Drastico aumento dell'età pensionabile (si arriverà fino a settant'anni), blocco dell'indicizzazione delle pensioni, imposte sulla casa, aumento dell'Iva, tasse sui carburanti, aumento dell'addizionale regionale: «tutto questo si aggiunge alle misure del precedente governo Berlusconi (votate anche dalla Lega Nord, che oggi si erge ipocritamente a difesa dei "poveri")» e intanto «restano confermati i tagli all'istruzione pubblica (con il conseguente licenziamento di 180 mila precari della scuola), l'introduzione della mobilità obbligatoria e del licenziamento nel Pubblico impiego, la privatizzazione dei servizi pubblici (a partire dai trasporti), il taglio delle agevolazioni fiscali».
Secondo il Pdac, «è evidente quali sono le tasche che Pd e Pdl intendono svuotare: sono le tasche di chi non riesce ad arrivare alla fine del mese».
«La Troika (Ue, Bce, Fmi) impone ai governi membri dell'Ue misure draconiane - spiega il Pdac in un comunicato stampa - tutti i governi, sia di centrodestra che di centrosinistra, stanno in Europa attuando le stesse manovre lacrime e sangue. Sia Sel di Vendola che Rifondazione Comunista si preparano a una futura alleanza di governo proprio col Pd, cioè con uno dei partiti che sta sostenendo il governo Monti». Di contro, sul versante sindacale «le burocrazie di Cgil, Cisl e Uil fanno di tutto per depotenziare la lotta e dividere la classe lavoratrice: proclamano scioperi separati di poche ore, mentre servirebbe uno sciopero generale prolungato per respingere la manovra».
«Costruiamo l’opposizione di classe al governo Monti», l’invito di del Pdac, per annullare «i governi dei padroni, di centrodestra e di centrosinistra, o tecnici, ma per un governo dei lavoratori».
«Giù le mani dalle pensioni e dall'articolo 18. No al pagamento del debito: il debito lo paghino banchieri e capitalisti. Scala mobile dei salari e delle ore lavorative: lavorare meno, lavorare tutti. Assunzione a tempo indeterminato di tutti i lavoratori precari. Ritiro di tutte le leggi razziste! Unità della lotta di lavoratori nativi e immigrati - conclude il Pdac - Esproprio sotto controllo operaio le fabbriche che chiudono e licenziano. Creazione di un'unica banca di Stato al servizio dei lavoratori. Basta governi dei padroni. Lottiamo per imporre un governo dei lavoratori che realizzi questo programma».

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Interessante e pruriginosa la “questione” sollevata dal prof. Occultis, estratta da una tesi di Max Weber. Fra i problemi collegati alla presenza dei codici di comportamento, quelli connessi alla corruzione economica e ai suoi legami con il crimine organizzato hanno ricevuto di recente molta attenzione. Nel dibattito italiano in materia, si è spesso evocato il ruolo dei “codici deontologici”. Il possibile uso di questi codici per combattere le procedure inique e illegali volte a influenzare le politiche pubbliche ha ricevuto una certa attenzione, e questa linea d'azione è stata addirittura valutata come possibile strumento per ridurre l'influenza della mafia sulle azioni del governo. E' ovvio che la presenza di un codice d'onore e di un senso del dovere da parte di uomini d'affari e politici può avere impatti significativi per quel che concerne la corruzione, le transazioni illegali e il conseguente affermarsi della criminalità organizzata. Si tratta, in verità di una antica questione. Ne “Le leggi”, Platone discuteva i benefici di un forte senso del dovere da parte degli amministratori pubblici, ma notava anche che sviluppare tale senso del dovere non era certamente un “compito facile”. Kautilya (filosofo politico indiano del IV secolo avanti Cristo) esprimeva un grande scetticismo sulla possibilità di prevenire la corruzione tramite codici deontologici, e optava per un sistema di controlli casuali corroborati da ricompense e punizioni. Molti commentatori della situazione italiana attuale sono altrettanto scettici sulla possibilità di ottenere cambiamenti significativi sul piano dei comportamenti – cambiamenti tali da avere un impatto a livello di lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Non è difficile capire tale scetticismo. Non è un compito agevole realizzare una riforma delle strutture di comportamento tramite una decisione politica. La frase “dovrebbero comportarsi meglio” suona come una soluzione impossibile per i problemi di criminalità e corruzione. Fin qui, tutto sembra abbastanza chiaro. Quel che è più difficile da capire è quali siano le fondamenta empiriche dell'opinione secondo la quale il comportamento umano è essenzialmente egoistico e invariabilmente teso al guadagno personale al punto che non esistono speranze concrete di una riforma dei comportamenti. Se si accetta questo punto di vista, parlare di codici etici è una vera perdita di tempo, o peggio. Il senso di cinismo che pervade una società quando si ritiene comunemente che i leader perseguano benefici privati o settari tramite pratiche corrotte può essere molto demoralizzante. Scrivendo nella Cina del 122 avanti Cristo, gli autori del Hui-nan Tzu esponevano il problema in questi termini: “Se lo strumento di misurazione è affidabile, allora il legno sarà diritto, non perché uno si impegni particolarmente a tal fine, ma perché il mezzo impiegato permette di ottenere ciò. Allo stesso modo, SE COLUI CHE GOVERNA E' SINCERO E GIUSTO, ALLORA I DIGNITARI ONESTI SARANNO IMPIEGATI NEL SUO GOVERNO E I DISONESTI SI TERRANNO DA PARTE, MA SE EGLI NON E' GIUSTO, ALLORA GLI UOMINI CATTIVI DILAGHERANNO E GLI UOMINI LEALI SI ISOLERANNO DA CIO' CHE LI CIRCONDA”. A pensarci bene, non è quello che è accaduto, accade qui, da noi?
Alla crisi economica delle società industriali e consumistiche occidentali, si pone una domanda alquanto interessante: “Può la cultura influire sui successi o sui fallimenti economici”? Una prospettiva suscettibile di richiamare l'attenzione degli economisti è rappresentata dall'impatto che la cultura e i valori producono sul successo e sui risultati economici. Numerosi sociologi e storici hanno cercato di affrontare il tema e alcuni hanno presentato teorie molto ambiziose in questo campo. Il grande sociologo Max Weber, ad esempio, ha sviluppato una propria tesi circa il ruolo cruciale dell'etica protestante nello sviluppo e nell'affermazione di un'economia industriale capitalista. La sua analisi del ruolo dei valori nella nascita del capitalismo è di notevole interesse nel mondo contemporaneo, in modo particolare alla luce della recente affermazione delle economie di mercato nelle società non-protestanti e anche non-cristiane. In aperto contrasto con l'analisi di Max Weber sull'etica protestante, molto autori asiatici contemporanei sottolineano il ruolo dell'etica confuciana nell'affermazione del progresso industriale ed economico nell'Asia orientale rifacendosi ai valori tradizionali di quell'area. E' dunque interessante chiedersi se i valori realmente giocano un ruolo così importante e come questi influenzano la performance economica in diverse aree del mondo. La recente affermazione dell'Asia orientale – inclusi Giappone, Cina, Corea del Sud, Taiwan e altri paesi – come l'area economicamente più dinamica del mondo ha portato ad una nuova serie di ipotesi circa i valori più favorevoli al progresso economico. La crescita economica asiatica negli ultimi decenni è stata di gran lunga superiore a quella di ogni altra regione del globo; essa ha coinvolto in modo persistente tutta l'Asia e continua a farlo anche ora. Siamo forse di fronte a un sistema di valori che implica alcuni vantaggi reali rispetto ai tradizionali valori occidentali? Gli antichi insegnamenti di Confucio hanno preparato la strada ad un grande successo imprenditoriale nel mondo moderno? O la spiegazione deve essere ricercata in altre caratteristiche di quell'area? (Tratto da: “La ricchezza della ragione” – Amartya K. Sen)



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