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Molfetta è razzista? Riscopriamo i valori di tolleranza, libertà, uguaglianza
15 ottobre 2006

Tolleranza. Quante volte la si pronuncia orgogliosi, smentiti, però, da spiacevoli messaggi scritti con mano veloce sui muri della città. Passeggiando mi sono imbattuta, tempo addietro, in uno spiacevole inno all'odio razziale scritto a caratteri chiari su un muro: “Via gli albanesi dal quartiere”; solo pochi minuti fa ho realizzato che le parole sono state rese invisibili da una recente mano di intonaco e solo chi sapeva può ancora scorgere i caratteri non del tutto svaniti sotto il nuovo giallo della parete. Per chiunque abbia una appena accennata sensibilità, il messaggio ha rappresentato un'offesa, non solo verso gli albanesi, ma verso la storia consolidata di un ideale, quello della tolleranza razziale. Molfetta è razzista, e non si abbia paura a negarlo: il tutto è stato testimoniato da un messaggio su un muro. Certo, non tutta Molfetta lo è: si pensi a tutti coloro che per passione personale si dilettano nel diffondere il valore opposto a quello del razzismo, l'uguaglianza. E se si parla di valori violati, come non citare il “Circolo giovani”? Con grande disponibilità tre ragazzi aderenti alla suddetta associazione mi raccontano quello che è successo, per l'appunto una storia d'intolleranza politica, quindi ideologica. Il “Circolo giovani” nasce a gennaio del 2006, inaugurato con un atto pubblico al quale partecipa come ospite Marcello Dell'Utri, parlamentare di Forza Italia. Come tutti ben ricorderanno, i primi mesi dell'anno sono stati segnati da una certa tensione politica, raddoppiata a Molfetta dalla vicinanza tra le elezioni politiche e quelle comunali. In questo nuovo clima di tensione si va a collocare lo spiacevole episodio che vede coinvolto il “Circolo giovani”. Una domenica mattina, in occasione di un incontro, gli aderenti apprendono che la saracinesca del locale adoperato per riunirsi, è stata macchiata da una falce e martello di notevoli dimensioni. All'atto spiacevole, se ne accosta ben presto un altro, della medesima tipologia: compare, accanto al simbolo comunista, la seguente scritta: “merde dovete morire”. L'episodio è in sè carico di significato. Dietro di esso si cela una certa intolleranza nei confronti di un associazionismo di centrodestra. I tre ragazzi ci tengono a sottolineare: siamo quasi certi che gli sfregi subiti non siano opera di militanti comunisti molfettesi, ma che si è trattato di un atto gratuito da parte di un gruppo estraneo ad ogni partito, probabilmente (aggiungo io) mosso da una semplicissima e banale antipatia politica. A mio parere è lecito, e soprattutto è un nostro diritto, esprimere dissenso nei confronti di un certo ideale. Ma non sarà esagerato condannare a morte chi sposa tale ideale? La conseguenza dell'atto? Certo non spaventa i ragazzi del “circolo”, ma per un periodo ha bloccato l'organizzazione di attività pubbliche. Gli attacchi grafici contro determinate categorie non terminano certo qui. Percorrere il sottopasso della stazione ferroviaria è un esperienza al pari di una passeggiata in un museo: ad ogni passo ci si imbatte in sanguinari messaggi d'odio. Si passa dalle svastiche, agli auguri di una morte lesta, “fasci, dovete morire affogati nel vostro sangue”, ad una sgrammaticata scritta, “dissubisci”, forse un mancato inno all'anarchia, fino alle falci e ai martelli coperti da svastiche, a loro volta ricoperte da falci e martelli, ancora una volta ricoperte da svastiche. E, per concludere, salendo le scale, ci si trova di fronte a una para-purificazione accompagnata da messaggi del tipo “pulcino ti amo, per sempre insieme”. Insomma, il sottopasso come metafora di catarsi. Al di là delle ironie, ecco il perché di questo articolo: risvegliamo i buoni valori. Tolleranza, rispetto, libertà di credere in una certa corrente politica, senza il timore che alcuno sia pronto a condannare le mie idee in un augurio di morte. Che sia ritrovata la carica rivoluzionaria che un tempo ebbro i suddetti valori. “Non condivido quel che dite, ma sarei disposta a dare la vita perché tu possa dirlo” disse l'illuminato Voltaire. E noi che diciamo?
Autore: Alina Cormio
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