Molfetta è cambiata. E noi, dov’eravamo?
La città ha perso la memoria e si è data al miglior offerente
“Molfetta negli ultimi anni è cambiata”, si è sentito dire più volte dal centro-sinistra durante la campagna elettorale. Così avevamo letto pure su un enorme manifesto apparso a settembre a firma della “società civile”, e nello stesso modo Nino Sallustio ha esordito in molti dei suoi comizi e persino nell’ultimo appello agli elettori, mentre Guglielmo Minervini a Rosanna Moroni, “rea” di essere forestiera, mostrava orgoglioso una città civile, partecipe, più bella e più vivibile.
Nino Sallustio durante i suoi incontri pubblici amava inoltre incalzare: “Ricordate cos’era Molfetta sei anni fa?”, e con un elenco in crescendo passava così in rassegna: la crisi economica, l’assenza di un Piano Regolatore, il narcotraffico dilagante, i beni culturali in abbandono, i temi ambientali assolutamente ignorati.
Molfetta, però, ha evidentemente dimenticato cos’era nel 1994. Si è dimenticata di se stessa, della fatica fatta per ´rifarsi una faccia`, degli sforzi e dello scatto d’orgoglio che allora indusse migliaia di cittadini a farsi il nodo al fazzoletto.
Il fazzoletto annodato è tornato anche questa volta, tirato fuori dal cassetto solo adesso, dopo anni. E’ tornato in un filmato che ripercorreva il recente passato di questa città e anche durante il comizio di chiusura della campagna elettorale, quando questo simbolo, agitato con entusiasmo da molti, ha riacceso la fiducia solo per poche ore.
Per mesi però ci eravamo detti che avrebbe vinto Berlusconi, e che qui, a Molfetta, per Tommaso Minervini i giochi in fondo erano fatti. Guglielmo contro Azzollini? Chissà…
L’impressione adesso è da “Cronaca di una morte annunciata”: un libro già letto, con l’aggravante che le nostre certezze sulla sconfitta prossima a venire, ostentate persino con l’orgoglio di sapere in anteprima ciò che sarebbe accaduto, non hanno addolcito affatto l’amarezza del dopo. Anzi.
Non c’è dubbio. La campagna elettorale del centro-sinistra è stata breve, ma… non intensa. Non parlo dei candidati. Mi riferisco alla “macchina infernale” che tre anni fa scosse gli avversari, che coinvolgeva e catalizzava. “Non illudiamoci: è finita una stagione”, hanno ripetuto spesso gli staff elettorali: e ogni volta questa frase suonava come una mazzata pesante su chi ha creduto e anche questa volta aveva voglia di credere nella politica partecipata.
Sappiamo e ci ricordiamo dei mesi estenuanti fitti di tavoli e di trattative senza capo né coda, quando i partiti (tutti i partiti) hanno pensato di avere (finalmente) in mano i giochi del futuro di questa città, e, come innamorati di questo (nuovo) ruolo, per anni rivendicato e mai riconosciuto, hanno protratto fino allo spasimo questa condizione.
Sappiamo anche che questa volta il comitato elettorale per l’elezione di Nino Sallustio sindaco, “ma” anche di Rosanna Moroni deputata e di Guglielmo Minervini senatore, non è stato granché frequentato da Rifondazione: a Roma nessun accordo, nessuna desistenza era stata conclusa e così un pezzo della sinistra di fatto è venuto a mancare. Palchi separati, stanze separate e una convivenza tra divorziati sempre più difficile da gestire.
Sappiamo ancora che nei due anni appena trascorsi, le (finte) nuove entrate nella maggioranza, a stento “interessate” al nuovo progetto di città soltanto nella prima mezz’ora dopo il proprio cambio di casacca, hanno portato tra i militanti la delusione, il rammarico e anche l’incredulità. “E questo qui, che c’entra?”. Poi però è stato detto: “Il ´progetto` è rimasto lo stesso, intatto: non abbiamo concesso nulla, né ci siamo piegati a nessuno”. D’accordo, ma nel frattempo l’entusiasmo e la tensione si erano smorzati.
In ultimo sappiamo e non ci dimentichiamo che Molfetta in questi ultimi mesi (e non solo il 13 maggio) ha scelto di darsi al miglior offerente: basta con le parole, basta con i messaggi, basta con la forza dei segni e dei simboli collettivi che prospettano spazi e tempi alternativi. Basta. Avanti con la concretezza, con le capacità di un singolo che può rapidamente decidere anche per me. Meglio, insomma, dare il primato a un fine che giustifichi sempre i mezzi, piuttosto che investire in uno strumento, quello della politica, che si rinnova con fatica prima di raggiungere i suoi obiettivi.
Molfetta è cambiata, certo. Ha perso la memoria. Ma noi abbiamo consentito che questo lungo e lento processo accadesse. E non perché non ce ne fossimo accorti, ma piuttosto, “normalizzati” e quasi assuefatti anche noi a un cambiamento che si spegneva pian piano.
Giungono voci, però, che la “macchina”, come tornata in sé per un contraccolpo, annunciato ma ugualmente durissimo, si stia rimettendo finalmente in movimento. E’ questo il segno che Molfetta può ancora davvero cambiare.
Tiziana Ragno