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Molfetta, domenica petizione popolare di Legambiente per salvare il nostro paesaggio Dopo la recente sentenza del Tribunale superiore delle Acque che ha riconosciuto un rischio idrogeologico non solo per le caratteristiche fisiche del territorio, ma anche indotto da una gestione sbagliata dovuta all'mministrazione Azzollini
22 marzo 2012

MOLFETTA - Domenica 25 marzo nuovo impegno di Legambiente per difendere il paesaggio e il nostro territorio: parte a Molfetta la raccolta firme di tutti coloro che hanno deciso di dire basta al consumo di suolo e all'utilizzo smisurato di cemento.  L'evento è inserito nella campagna nazionale "Salviamo il paesaggio" indetta  dal Forum italiano dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio.
Questa iniziativa che persegue l'obiettivo di "Salvare il paesaggio e il territorio italiano dalla deregulation e dal cemento selvaggio" ancorpiù dopo la recente sentenza del Tribunale superiore delle Acque che ha riconosciuto a Molfetta un rischio idrogeologico non solo dovuto alle caratteristiche fisiche del territorio, ma anche indotto da una gestione sbagliata dello stesso, dovuta all'approvazione di Piani che hanno visto sempre più soffocata l'integrità del suolo cittadino.
"Questa sentenza,  prima nel suo genere a livello nazionale, è per la Legambiente il punto di partenza per ripensare il territorio ed il rapporto con la città - dice un aomunicato - mettendo le basi per un cambiamento dell'idea di sviluppo, sostenibile, concentrato sulla valorizzazione e sul recupero del paesaggio nei suoi aspetti geo-morfologici peculiari e identitari, uno sviluppo che deve tralasciare, necessariamente, pratiche invasive legate al consumo di suolo ed alla precarizzazione delle aree più a rischio".
"In questo contesto", afferma il presidente del circolo Cosimo R. Sallustio,  "si inserisce la Petizione Popolare che intendiamo recapitare al Comune di Molfetta affinchè risponda al più presto al  Censimento che il Forum ha inviato anche al nostro Comune teso a conoscere quante abitazioni e quanti fabbricati produttivi sono oggi VUOTI, SFITTI, NON UTILIZZABILI  e quante aree edificabili (residue e nuove) vi siano oggi all'interno dei nostri confini comunali. Dai dati raccolti avremo un quadro certo di dati per progettare una città più vivibile, risparmiare suolo agricolo e riqualificare il paesaggio".
Pertanto, Legambiente invita tutti i cittadini e le associazioni sensibili a queste tematiche a voler firmare la petizione popolare nella giornata di domenica 25 marzo, dalle ore 10.30 alle ore 13.00  nei pressi di Piazza Municipio - angolo C.so Dante, qui a Molfetta.

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Le città capitalistiche hanno rappresentato la forma compiuta dell'umanizzazione della natura e l'impronta sul territorio della ragione e del genio umani. Diventeranno adesso l'emblema dello scacco dell'occidentalizzazione del mondo, agglomerati informi e mostruosi, inferni rumorosi e inquinati, in cui ogni forma di vita civilizzata si dissolve nelle non-città, le quali proliferano ai margini delle metropoli, oppure che crollano nelle loro fatiscenti zone centrali come avviene negli Stati Uniti? La questione è posta. Per molto tempo, infatti, la crescita delle città, faro della ricchezza capitalistica, è stata intimamente connessa allo sviluppo; tale correlazione, come è noto, non è più verificata. La critica ecologica stigmatizza non solo il gigantismo e gli effetti economicamente improduttivi di un'urbanizzazione smisurata, ma anche le sue conseguenze sulle scarsità e sugli inquinamenti di ogni genere, e, proseguendo sulla mancanza di umanità delle condizioni di vita, sulla salute, sulla criminalità. La dimensione raggiunta dalla gran parte delle megalopoli produce diseconomie di scala dalle conseguenti ambientali controproducenti: degradazione o assenza di servizi di trasporto, conduzione e depurazione dell'acqua, trattamento dei rifiuti, estensione di zona dall'habitat povero e insalubre………………….. La novità storica è la seguente: il rapporto traumatico tra le attività umane e la biosfera è globale e irreversibile, e coinvolge popolazioni immense. Quattro milioni di persone vivono ancora in zone che avrebbero essere evacuate dopo il disastro di Cernobyl. Venticinque milioni di persone respirano costantemente lo smog di Città del Messico. In India e nel Bangladesh 60 milioni di persone vivono sotto una minaccia di inondazioni che cresce ogni anno a causa della deforestazione sconsiderata dei bacini sui versanti himalayani. Da oggi fino alla metà del secolo, più di 200 milioni di persone vedranno la loro esistenza sconvolta dal prevedibile innalzamento del livello dei mari. Quanto all'assottigliarsi della fascia di ozono, esso riguarda tutti. Barry Commoner ha enunciato la dimensione critica della nostra esistenza: “ La civiltà umana comporta una serie di processi ciclici interdipendenti che portano tutti il segno di una tendenza all'incremento indefinito – tutti, con l'eccezione di uno solo: il processo naturale, insostituibile e assolutamente essenziale dell'apporto di risorse provenienti da ricchezze minerali terrestri e dall'ecosfera. Un conflitto tra questa tendenza dell'attività umana in continua crescita, all'interno del ciclo, diviene inevitabile”.
Ogni giorno che passa, mentre la popolazione aumenta, e aumenta il numero delle esigenze, pretendiamo sempre di più dalle nostre principali risorse naturali. Data la situazione, sarebbe saggio raddoppiare la nostra cura verso il fragile pianeta che ci garantisce il benessere materiale. E' molto probabile che nell'attuale decennio disboscheremo più foreste, sfrutteremo per il pascolo più praterie, elimineremo più terre per favorire lo sviluppo urbano ed eroderemo più suolo fertile che durante quest'ultimo ventennio. A meno che non cambiamo metodo, nell'arco del tempo di questo nuovo secolo potremmo infliggere all'ecosistema della Terra danni ancora più gravi di quelli inflittigli finora. Lungi dall'usare con cautela le nostre risorse, le stiamo consumando come se avessimo un pianeta di riserva parcheggiato nello spazio. – Ogni anno perdiamo circa 11 milioni di ettari di terra arabile causa l'erosione, la desertificazione, la “tossificazione” e l'utilizzo di aree coltivate per scopi non agrari. Nel Duemila si sono persi 275 milioni di ettari, il 18% delle terre arabili, e forse altrettanti entro il 2025. E non sono inclusi nella cifra i 7 milioni di ettari di praterie che scompaiono ogni anno causa la desertificazione. In molte delle zone più aride del mondo, i deserti stanno avanzando a un ritmo allarmante. Nelle poche aree dove ciò è naturale, definiamo il processo “desertizzazione”. Ma dove è provocato dall'intervento umano, lo definiamo “desertificazione”, una parola molto brutta per un fenomeno molto brutto. In realtà, non è proprio giusto dire che il deserto sta “avanzando” o che ci sta “invadendo”. E' più esatto dire che una striscia di deserto in più viene “attaccata” al deserto originario. Anche terre lontane dal confine dei veri deserti subiscono un degrado, fino a diventare quasi completamente aride. I deserti raramente si espandono a causa del clima, salvo che in periodi di tempo assai lunghi. Se tutto questo continuerà, tutti noi accuseremo il peso delle conseguenze.


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