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Molfetta, contro la legge-bavaglio protesta dell'opposizione. Anche “Quindici” domani in sciopero
08 luglio 2010

MOLFETTA - I partiti di opposizione di centrosinistra a Molfetta hanno deciso di protestare contro la legge bavaglio che il governo di centrodestra di Silvio Berlusconi vuole fare approvare per chiudere la bocca ai giornalisti e impedire che le notizie scomode possano essere conosciute dagli italiani.

Anche a Molfetta c’è un tentativo di limitazione della libertà di stampa, sia con la mancata trasparenza degli atti comunali (vedi il bilancio, in cui molte spese sono occultate, come “Quindici” ha denunciato sulla rivista in edicola) sia con la limitazione nella concessione dei documenti pubblici ai giornalisti. Senza parlare poi del divieto di riprendere le sedute del consiglio comunale, per non mostrare ai molfettesi le vergognose risse che avvengono nel massimo consesso cittadino.
Ora i partiti di opposizione, in occasione della giornata di protesta della stampa italiana contro la legge bavaglio (domani i giornali non saranno in edicola), hanno diffuso un comunicato. Ecco il testo:
 
«La legge “bavaglio” in approvazione in Parlamento limita fortemente li libertà di
stampa e sancisce l'impunibilità dei potenti.
I casi Tarantini,clinica Santa Rita, Scajola, con questa legge, non sarebbero mai giunti all'opinione pubblica.
Anche la nostra città ha il suo bel “bavaglio”: da tempo le telecamere sono state bandite dalla nostra massima assise cittadina. E' chiaro l'intento: impedire ai cittadini di venire a conoscenza dello spettacolo indecoroso che questa maggioranza,che governa la città, spesso offre in consiglio comunale.
Sabato 25 giugno,durante la discussione, sulla critica situazione del commercio ambulante, sono state fatte minacce poi smentite dai diretti interessati.
In assenze di immagini nessun cittadino ha la possibilità di verificare realmente cosa sia successo; la città rimane muta, cieca, imbavagliata e bendata.
Per questo Il coordinamento a difesa della Costituzione chiede che sia immediatamente ripristinata la possibilità di effettuare riprese, durante il consiglio comunale.
Su questi temi, venerdì 9 luglio dalle ore 19.30, al corso Umberto altezza via XX Settembre,è stato organizzato un presidio durante il quale interverranno i consiglieri comunali e esponenti dei partiti, all'opposizione, in questa città».
Informiamo i lettori del quotidiano “Quindici on line” che anche noi che ci siamo sempre battuti contro la censura e il bavaglio alla stampa, parteciperemo allo sciopero nazionale, secondo le modalità stabilite dalla Federazione della stampa per le testate on line. Perciò il sito non verrà aggiornato dalle 6 di domani fino alle 6 di sabato.
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Anno 1985. Così scriveva Indro Montanelli, partendo da una "verità" dell'on.Giovanni Giolitti: "Quando osservo le condizioni delle masse rurali in gran parte d'Italia e le paragono con quelle dei Paesi vicini, resto compreso d'ammirazione per la longanimità e la tolleranza delle nostre plebi e penso con terrore alle conseguenze di un possibile loro risveglio. Io deploro quanti altri mai la lotta di classe. Ma, siamo giusti, chi l'ha iniziata?". Espressioni dettate dalla lungimiranza e dalla saggezza di un uomo che in quel periodo, agiva da vero conservatore: un conservatore abbastanza intelligente per capire che, per conservare un sistema, bisogna cointeressarvi tutti, o almeno le maggioranze, e abbastanza cinico per utilizzare ogni mezzo - Salvemini lo definì "il ministro della malavita" al fine di realizzare i suoi scopi. Il secolo si sta avviando alla fine del suo cammino, e l'Italia che ci troviamo sotto gli occhi ha poco da spartire, per molti aspett con l'Italia del 1900. E' un grande Paese industriale, dall'alto tenore di vita - nonostante i piagnistei dell'estrema sinistra, gli Italiani godono di agi e si permettono, anche a livelli umili, lussi sconosciuti a un nobile del secolo scorso o a un inglese o a uno svedese di oggi - e tuttora dotato d'una immensa inventiva e creatrice. Da Giolitti a Mussolini e da Mussolini alla Repubblica, si voglia riconoscerlo o no, gli ingranaggi dello Stato si sono via via degradati. Ingegno, creatività, voglia di lavorare, quando lavoriamo in proprio, ne abbiamo a bizzeffe. Avessimo altrettanta capacità nell'organizzare l'amministrazione, saremmo un Paese non di alto, ma di altissimo livello. La volata dell'Italia verso il Duemila ha la sua palla al piede proprio nell'amministrazione. E' la mentalità che si è fermata a Giolitti - senza voler offendere il burocrate - e semmai è peggiorata. Diciamo allora che andrà tutto male sino al Duemila. Chissà che porti buono." (I.MONTANELLI)

Nessun altro condottiero italiano - strombazzavano i propagandisti (Giannossi, Hans, Tanino e altri?)- si era mai preso cura del popolo dalla culla alla tomba. Chi, se non Mussolini, aveva organizzato mellesettecento colonie marine e montane per i bambini? Chi altri aveva pagato circa centoquarantotto milioni di lire all'anno per reparti di maternità e più di trecentoventitre milioni per assistenza sociale? Chi aveva ridotto la giornata lavorativa degli Italiani a otto ore e stabilito quote obbligatorie di assicurazione per i vecchi, i disoccupati e gli inabili al lavoro? Lui, solo lui, che proclamava in ogni manifesto la sua suprema ambizione: fare degli Italiani un popolo "forte, prosperoso, grande e libero". Con l'ambizioso proposito di controllare tutta la capacità produttiva, fondò lo Stato Corporativo, composto di ventidue corporazioni che, come nelle società medioevali, rappresentavano i lavoratori sia i datori di lavoro. Ora nessun proprietario potè ampliare o chiudere la sua fabbrica, assumere o dimettere personale, senza il consenso governativo, o pagare un salario che non fosse approvato dallo Stato. Ma i sindacati non erano democratici: i lavoratori non avevano diritto allo sciopero e i salari potevano essere diminuiti con un semplice decreto. Su entrambe le parti, lo Stato Corporativo incombeva come una piramide egiziana ben tetragona, imbottita di mummie burocratiche in camicia nera.Se il culto di Mussolini era nato spontaneamente, ora tuttavia più degli altri egli si adoperava per alimentare il fuoco dell'adulazione. Adunate oceaniche di cinquantamila persone divennero di ordinaria amministrazione, mentre il Duce, mani sui fianchi, concionava dal "fatidico" balcone del suo ufficio a palazzo Venezia. - "L'idea fascista sta conquistando il mondo - proclamò. - Io ho già dato a Hitler molte buone idee. Ora mi seguirà."
Dal 1927 in poi, tre milioni di scapoli furono obbligati a pagare la tassa del celibato, che raccoglieva novantanove milioni e duecentottantamila lire all'anno, con l'intento di spronarli ad accorrere in massa all'altare. Gli uomini sposati e con prole avevano la precedenza sugli altri per quanto riguardava gli impieghi e godevano particolari vantaggi come riduzione sui tram e sul costo del gas (social card ecc., ecc.??), e si appuntarono medaglie sul petto di ogni donna che avesse dato alla luce il settimo figlio. Divenne simile alla propaganda di un caravanserraglio quando indisse il "giorno della madre e del fanciullo). Gli ufficiali della Milizia ebbero l'ordine di salutare militarmente ogni donna incinta che vedevano, e i consiglieri di Mussolini stentarono a dissuaderlo dal decretare la confisca dei beni a ogni capo famiglia che, morendo, lasciasse soltanto quattro figli. A un certo momento, la maschera grottesca della leggenda si sostituì all'uomo. Per molti, ciò che emanava da lui aveva il magico potere di un amuleto. Donne in attesa di un figlio tennero il suo ritratto sul comodino, facendo voti che il nascituro ereditasse le sue doti preclare o si trasferirono, quando fu il momento, in una clinica vicino al suo paese natale. "A mezz'aria fra la terra e il cielo", come Pio XI lo aveva ritratto, egli era divenuto oggetto di un continuo pellegrinaggio profano. Quelli che non potevano vederlo in carne e ossa veneravano le sue "relique". "La massa deve obbedire - tuonava il Duce negli anni in cui la tessera del partito era diventata obbligatoria - non può concedersi il lusso di perdere tempo nella ricerca della verità."-

Il 3 gennaio del 1925, egli (Mussolini) cedette alla necessità di assumersi, di fronte alla Camera dei deputati, la piena responsabilità dello scandalo Matteotti. "Se il fascismo è stato una associazione a delinquere...., io sono il capo", aveva detto. Nel gennaio del 1926 Mussolini, con un tratto di penna, aveva abolito tutti i partiti politici, salvo quello fascista. Gli assassini di Matteotti erano stati processati nella sonnolenta cittadina di Chieti e condannati a sei anni; la condanna fu ben presto cancellata da una "conveniente" amnistia. Otto nuovi decreti - dal ritiro del passaporto all'esclusione dagli impieghi statali per chi non fosse iscritto al Partito - avevano rapidamente trasformato l'Italia in uno Stato totalitario. Tutti i luoghi di riunione sospette, comprese le Logge massoniche, furono chiusi, arresti senza mandato e senza possibilità di difesa, perquisizioni abusive, furono all'ordine del giorno. Il presupposto fascista appariva ormai chiaro, inequivocabile: una oligarchia di automi militarmente disciplinati, che mettessero la "ragion di Stato" al di sopre di qualsiasi diritto umano. Una temutissima rete di seicentottanta agenti speciali utilizzava i servizi di migliaia di portinai, camerieri, autisti di piazza, come informatori segreti. Conosciuta come O.V.R.A. (Opera di Vigilanza e di Repressione dell'Antifascismo), questa nuova istituzione intercettava le conversazioni telefoniche, sorvegliava la corrispondenza di tutti coloro che avevano relazioni con persone all'estero. Gli antifascisti erano considerati dal codice penale alla stessa stregua dei delinquenti, dei ruffiani e degli spacciatori di droga. Tutti i partiti erano dispersi, e i giornali dell'opposizione ormai lettera morta.

1922 - All'indomani della Grande Guerra, la situazione italiana era molto incerta. Ma ciò che maggiormente esasperava le masse era l'inflazione: tra il 1914 e il 1918, a causa del conflitto, la lira si era svalutata di almeno 450 per cento, nessuna categoria era soddisfatta. I fascisti della prima ora costituivano, insomma, un movimento ideologicamente non molto chiaro, ma erano sicuramente bene accetti dai ceti più ricchi e conservatori, perchè si proclamavano il "partito dell'ordine", contrario a ogni agitazione o rivendicazione sindacale. Benito Mussolini, figlio del fabbro ferraio Alessandro, chiamato in dialetto Muslèn, e dell'insegnante elementare Rosa Maltoni. La bottega di fabbro, in verità, era chiusa quasi sempre, pochissima voglia di lavorare, un po' perchè spesso era ammonito dalle autorità costituite per la sua attività di socialista o, più esattamente di anarchico. Fu tale origine, non una profonda e meditata adesione all'ideologia, a fare di Benito un socialista: era soprattutto un agitatore, un comiziante. Per diventare fascista, il passo era breve, ma in realtà, in Mussolini non c'era stata nessuna trasformazione. Socialista autentico non era mai stato, uomo di destra nemmeno, perchè detestava la borghesia. Tuttavia gli strati borghesi più conservatori videro in lui "l'uomo nuovo", e, pur essendo anticlericale, la gerarchia cattolica con dieci anni d'anticipo sul Concordato, lo chiamava "l'uomo della Provvidenza". Fu la destra più reazionaria e retriva del Paese, in odio al socialcomunismo e nauseata dall'immobilismo delle forze governative, a gonfiare i fasci; i ceti emergenti, specie quelli degli arricchiti di guerra, volevano squadre di bastonatori. Se l'esercito fedeli al re, avesse avuto l'ordine di disperderle, sarebbero bastate poche cannonate e poche raffiche di mitragliatrici per risparmiare all'Italia un ventennio che si sarebbe concluso con la suprema iattura della Seconda Guerra Mondiale. Ma quell'ordine non venne.-

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