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Molfetta, città dei rifiuti, avrà l'inceneritore dentro casa Sì del consiglio comunale all'ultimo scempio ambientale: la maggioranza si spacca, l'opposizione insorge
15 giugno 2004

Nonostante il parere negativo di Legambiente e Wwf, e a dispetto delle divisioni all'interno della maggioranza di centro-destra, il consiglio comunale ha espresso parere positivo all'insediamento di un impianto per la produzione di combustibile da rifiuti nella zona Asi di Molfetta. E' accaduto durante un consiglio comunale convocato in piena campagna elettorale (andando contro ogni buona norma di correttezza politica) durante il quale, con molta fretta, sono stati approvati, tra l'altro, anche altri provvedimenti dalla misteriosa e sospetta urgenza (un esempio per tutti: l'ampliamento volumetrico del 30% del ristorante “La Perla” in una zona, quella del comparto D4, in cui il Prg prevede la cessione gratuita al Comune dei terreni compresi nella fascia dei 300 m. dalla battigia). Il 24 maggio scorso, insomma, con 5 consiglieri assenti (Fiorentini, De Gennaro, Rafanelli, Secondino, Balestra), 10 consiglieri contrari (Sallustio, Sasso, Lucanie, Zaza, Minervini C., Centrone, Angione, Panunzio, De Palma, De Nicolò) e soltanto 16 favorevoli, si è espressa la volontà di ospitare sul territorio di Molfetta l'ennesimo impianto di smaltimento dei rifiuti. Molfetta città dei rifiuti Ennesimo perché, qualora uno dei due proponenti – Tme di La Spezia e Cisa di Massafra – dovesse aggiudicarsi il finanziamento regionale (alla cui gara è iscritto, in alternativa all'impianto per la produzione di Cdr, anche un inceneritore da realizzare nel Comune di Trani), l'impianto tanto auspicato dalla maggioranza del consiglio comunale andrebbe ad aggiungersi a: a. una discarica (localizzata in c.da Coda di Volpe) solo recentemente bonificata e su cui non è in atto alcuna attività di monitoraggio e controllo; b. numerose discariche abusive talvolta anche di notevoli dimensioni; c. un impianto di compostaggio a servizio dei bacini BA1 e BA2 dalla potenzialità di trattamento pari a 270 t. di RSU al giorno sotto sequestro giudiziario perché non gestito correttamente e fonte di notevole impatto sanitario-ambientale e socio-economico; d. un impianto per lo stoccaggio e la prima lavorazione dei materiali provenienti dalla raccolta differenziata a servizio del bacino BA1. E, udite udite, anche un inceneritore. Anche se non è scritto in nessuna relazione e pochi hanno osato ricordarlo, entrambe le aziende che propongono la realizzazione dell'impianto per la produzione del combustibile (il famigerato Cdr), detengono in preassegnazione, direttamente o tramite aziende ad esse collegate, suoli su cui intendono realizzare una centrale termoelettrica (leggi: inceneritore) in cui bruciare il combustibile prodotto. Il parere contrario di Legambiente E' abbastanza curioso che questo aspetto, peraltro presente nelle motivazioni del parere negativo espresso da Legambiente, sia stato sottovalutato dall'amministrazione comunale, per due ragioni “valide” secondo gli amministratori: perché per una delle due aziende non si tratterebbe di preassegnazione bensì di sola richiesta di preassegnazione tuttora in fase di istruttoria e perché la realizzazione da parte di un'azienda di un impianto per la produzione di combustibile, non rappresenta, di per sé, un incentivo per la stessa azienda alla realizzazione di una centrale termica attigua in cui bruciare il combustibile prodotto. Sempre gli amministratori fanno notare, a tal proposito, che nell'inceneritore di Massafra si brucia Cdr prodotto in Veneto e che negli inceneritori di Molfetta (che sarebbero da realizzare con capitali interamente privati e indipendentemente dalle sorti della gara indetta da Fitto), potrebbe essere bruciato il Cdr prodotto chissà dove o, più probabilmente, quello prodotto nell'impianto che dovrebbe sorgere a Giovinazzo. Come dire, insomma, che l'impianto per la produzione di Cdr è in forse, l'inceneritore è certo e mentre nel primo verrebbero trattati i rifiuti prodotti da un numero noto di Comuni, nel secondo potrebbero essere bruciati rifiuti provenienti da tutt'Italia. Altri camini, dunque, che si aggiungono ai tanti già esistenti in Puglia e nelle immediate vicinanze dell'abitato molfettese. Ulteriori fumi nocivi, ulteriori gas serra verrebbero emessi in atmosfera se il Cdr fosse bruciato, così come dalle intenzioni dei proponenti in impianti dedicati alla sua combustione e non in impianti già esistenti e riconvertiti. E su questo gli amministratori certo non contribuiscono a chiarire le idee. Citano il decreto Ronchi e prendono atto che “il recupero di combustibile da rifiuti altrimenti destinati allo smaltimento in discarica porta il doppio vantaggio ambientale di ridurre sia l'utilizzo di tali impianti che il consumo di combustibili fossili”, ma non considerano che il secondo vantaggio sarebbe vero se e solo se il Cdr fosse utilizzato in sostituzione dei combustibili fossili, non in aggiunta ad essi. Ad esempio: se nella centrale di Cerano, nel brindisino, anziché bruciare carbone si bruciasse Cdr o se nella fonderia Palbertig a Molfetta o nel laterificio Scianatico a Terlizzi anziché bruciare olio combustibile si bruciasse Cdr, allora sì che si avrebbero dei benefici globali. Non va dimenticato che il Cdr rispetto al solare, o ad altre fonti energetiche rinnovabili, è sicuramente molto impattante e assolutamente non competitivo, una soluzione di ripiego. Continui abusi: polizia ambientale inadeguata Nemmeno i rischi connessi all'inadeguatezza del sistema di polizia e vigilanza ambientale - che hanno portato ad abusi perpetrati ai danni dello stesso Comune di Molfetta (si veda il caso Mazzitelli) - sembrano dissuadere gli amministratori che difendono, invece, l'adeguatezza del sistema di vigilanza visto che, dicono, “gli abusi sono stati scoperti e vengono perseguiti” (peccato che a scoprirli siano stati i volontari delle associazioni ambientaliste), ma, continuano, “è inadeguata la capacità di prevenzione” che vorrebbero affidare ad un “organismo di verifica e controllo che comprenda tecnici espressi anche dalla Associazioni Ambientaliste (sempre i soliti volontari, ndr)” che, manco a dirlo, non potrebbe avere poteri sanzionatori o prescrittivi né potrebbero eseguire sopralluoghi improvvisi e fuori programma. Tra l'altro la costituzione di questo organismo di verifica non sarebbe certa, perché non prevista da alcun dispositivo legislativo. Provvedimento approvato a consiglio semivuoto e “chiuso” ai cittadini Degno di nota è il modo con cui si è discusso un provvedimento di tale portata. La solita fretta, i soliti tempi ristretti, l'assenza di contraddittorio tra gli organi politici e le associazioni ambientaliste - che hanno potuto solo esprimere un parere - un consiglio comunale chiuso ai cittadini perché convocato, inspiegabilmente, alle 9 del mattino piuttosto che di sera. Insomma una classe politica che ha paura di confrontarsi con i cittadini che rappresenta e che preferisce prendere decisioni assai significative per la sua comunità senza che i cittadini abbiano la ben che minima consapevolezza della portata degli interventi discussi e senza che siano messi in condizione di esprimersi sul futuro del loro territorio. Gli organi politici, su una scelta cruciale come questa, caratterizzata da complessità, gravi minacce e limitate opportunità, avrebbero dovuto confrontarsi direttamente con i cittadini, con i comitati, con tutti i soggetti portatori di interessi diffusi, stimolando la partecipazione per arrivare ad una scelta condivisa da un'ampia base della comunità. Nino Sallustio, consigliere comunale della “Margherita”, annuncia una grande mobilitazione cittadina per contrastare il provvedimento, mentre Antonello Zaza, neo eletto consigliere provinciale di Rifondazione Comunista, si impegna a verificare la legittimità dei bandi di Fitto e a restituire a Provincia e Comuni le prerogative negate dal presidente della Regione Fitto con i bandi emessi nel dicembre scorso. Ma Andria ha detto “no” al “diktat” di Fitto Ormai i tempi per la presentazione delle offerte per la gara indetta da Fitto sono scaduti, presto verranno esaminate da un'apposita commissione e si sa già che sono ben 30 i progetti presentati in tutta la Puglia. Certo, si tratta di investimenti molto consistenti (un impianto per la produzione di Cdr costa circa 20 milioni di euro e un inceneritore circa 100 milioni), ma si tratta di investimenti sicuri e assai redditizi: non ci sono vincoli, l'imprenditore può scegliere la tecnologia che vuole, propone il sito a lui più confacente, riceve un finanziamento pubblico, non è assoggettato in fase di gara alla valutazione di impatto ambientale, non deve preoccuparsi di accantonare fondi per bonificare il sito o ammodernare l'impianto a fine vita perché allora entrerà in gioco una non meglio specificata amministrazione pubblica. Peccato che il nostro Comune abbia perso un'altra occasione (colta invece da altri Comuni, come quello di Andria che ha intrapreso un ricorso straordinario al presidente della Repubblica contro i bandi emessi da Fitto) di dare risposte politiche attente sia alle voci di bilancio che al futuro delle prossime generazioni. Massimiliano Piscitelli massimiliano.piscitelli@quindici-molfetta.it Tiziana Ragno tiziana.ragno@quindici-molfetta.it INTERVENTO Una decisione grave ed arrogante Il 24 maggio scorso è stata scritta una delle pagine più buie della città. Una risicata ed imbarazzata maggioranza di consiglieri comunali di centro-destra ha dato il via libera alla localizzazione di un impianto di termovalorizzazione alimentato a Cdr (combustibile derivato da rifiuti) che, in altre parole, è un inceneritore. Quali rischi Un inceneritore produce sostanze che, anche in piccole quantità, sono nocive per la salute e per l'ambiente: diossina, metalli pesanti, furani. La medicina riconosce gli effetti cancerogeni, allergizzanti e depressori dei meccanismi di difesa immunitaria delle sostanze citate e numerosi studi dimostrano la correlazione con i disturbi delle funzioni riproduttive, dei danni embrionali e delle malformazioni neonatali. E' vero, la tecnologia ha fatto dei passi avanti ed ha ridotto le emissioni pericolose, ma è altrettanto vero che tale riduzione non è ancora sufficiente e soprattutto è legata al corretto utilizzo degli impianti ed alla selezione accurata dei materiali avviati a combustione. Nessuno può garantire, però, che nell'inceneritore non vadano a finire rifiuti pericolosi o ad alto contenuto inquinante. Le vicende dei rifiuti pericolosi sparsi sulla Murgia che hanno avvelenato ettari di campi e dell'impianto di compostaggio di Molfetta sequestrato dai Carabinieri del Noe deve indurre a serie e profonde riflessioni. Quello che l'amministrazione non dice “Non approviamo un inceneritore bensì un impianto di produzione di Cdr” è stato uno degli argomenti utilizzati dall'Amministrazione per difendere l'indifendibile. Devo ammettere che in prima battuta ci stavamo per cascare ma ad una lettura più attenta del complesso carteggio, abbiamo compreso l'inganno. Infatti, mentre il Consiglio deliberava il “disco verde” all'impianto Cdr, l'azienda Appia Energy srl di Massafra aveva già ottenuto dal Consorzio Asi una preassegnazione di suolo per la realizzazione di un “impianto di produzione di energia elettrica alimentato da Cdr” (cioè un termovalorizzatore o, se si preferisce, inceneritore). E' facile capire, dunque, quale sia il fine ultimo dell'azienda: ottenere i finanziamenti regionali per l'impianto Cdr e, sfruttando un cavillo legislativo del decreto Ronchi, ottenere con una procedura semplificata la concessione per la centrale termoelettrica (l'inceneritore). A ciò l'Amministrazione non solo non si è opposta, come invece hanno già fatto molti altri comuni, ma stende il tappeto rosso e consente questo grande “imbroglio”. Non sono bastati i pareri contrari espressi da Legambiente e Wwf che hanno ampiamente motivato il loro dissenso evidenziando tutti i rischi ambientali e sanitari, né sono servite le critiche di alcuni consiglieri “dissidenti” della stessa maggioranza. La deliberazione è stata approvata dopo una lunga battaglia delle opposizioni in una sala consiliare semivuota, lontana dagli occhi dei cittadini e lontana dagli interessi reali della città. Bruciare o riciclare Il problema della gestione del ciclo dei rifiuti è molto complesso ma una scelta deve essere chiara. Se le discariche sono prossime alla saturazione si giunge ad un bivio: “o si brucia o si ricicla!”. A noi pare che il Presidente della regione Fitto non si sia posto il problema di investire le ingenti risorse a sua disposizione in direzione della raccolta differenziata prima di prevedere, con il suo solito stile dirigista e senza concertare con le Province ed i Comuni, decine di inceneritori in tutta la regione. La regione Puglia è ancora fanalino di coda nella raccolta differenziata ed è ben lontana dall' obiettivo minimo di raccolta differenziata fissato al 35%. Ancora una volta si sceglie la via più breve o forse quella più lucrativa: “non si ricicla, è meglio bruciare!” Ribaltare il “verdetto” Le motivazioni addotte dal Sindaco e dalla sua litigiosa maggioranza sono state scarse e molto risibili, segno di grande debolezza della scelta assunta. Credo che quella scelta debba essere rimessa in discussione ed infine ribaltata. Perché ciò accada è necessaria una presa di coscienza della città e dei cittadini ed una grande mobilitazione delle forze democratiche, della società civile e dell'associazionismo. Sarà un'estate calda che ci vedrà impegnati in una campagna di informazione e sensibilizzazione che dovrà tradursi in un forte segnale al “Palazzo”. Occorrono passione, energie, mobilitazione e… migliaia di firme. Nino Sallustio Consigliere Comunale - per l'Ulivo
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