MOLFETTA – La nostra è una città crogiuolo di due culture: quella marittima e quella agricola. Entrambe hanno subito una evoluzione non del tutto positiva, tant’è che nella coltivazione oggi si fa un “passo avanti” con l’agricoltura biologica, quasi un “ritorno alle origini”.
Se n’è parlato presso il Centro Culturale Auditorium di Molfetta nell’incontro “I benefici dell’alimentazione biologica”, dove sono intervenuti il dott. Cosimo Gadaleta, biologo nutrizionista, il dott. Giuseppe Lombardo, presidente AIAB Puglia, Sergio de Bari, tecnico in agricoltura biologica, e il presidente dell’Auditorium prof. Damiano d’Elia.
I più grandi ricorderanno sicuramente i vecchi traiain coi loro animali da traino e il forte odore di feci in alcune strade di campagna. Ma ciò che sicuramente è impresso nella mente rimane la gustosità e la dolcezza di quei frutti appena colti che oggi sono sempre più insipidi. Il processo di industrializzazione agricola di questo ultimo secolo è il frutto del peccato di superbia dell’uomo moderno che sempre insoddisfatto ha sovvertito i normali tempi della natura per riceverne frutti perfetti e fuori stagione quando lo si desidera. Regolati da leggi del mercato questi affari giocano con la nostra stessa salute e con il delicato equilibrio della natura.
L’agricoltura tradizionale, quella per così dire “moderna”, non è più attuata dal piccolo contadinotto che provvedeva semplicemente al sostegno della propria famiglia. Ormai la coltivazione è realizzata dai grandi imprenditori sempre in lotta con la concorrenza, in una gara al frutto più bello ed economico. L’ingranaggio di questa industria è basata sull’utilizzo di sostanze chimiche in grado di preservare il frutto dalla normale presenza di insetti e parassiti e sull’utilizzo di ingegneria genetica in grado di giostrare a piacimento le qualità del prodotto. Ma ogni impronta lascia il proprio segno sul terreno: la terra oggi è sovrasfruttata, le sue risorse sono in depauperamento ed il processo di desertificazione non è una lontana ipotesi, la terra è arida e diventa polvere. Non parliamo di realtà lontane, ma del Salento, e come esso la terra di Bari ha bisogno di un passo indietro, o meglio di uno avanti.
È ciò che realizza la “nuova” agricoltura biologica, un nome che suscita dubbi, ma che ricalca una agricoltura originaria e giusta sia per la terra sia per il consumatore. Anche se i prodotti biologici costano qualche centesimo in più, essi rappresentano un vero investimento su noi stessi poiché noi siamo ciò che mangiamo. Gli studi INRA infatti testimoniano che i prodotti biologici contengono più minerali, più antiossidanti, minor contenuto in acqua che garantisce una miglior digeribilità e più lunga conservazione e, come cosa più importante, non contengono i residui dei pesticidi che si accumulano nel nostro sangue e che potrebbero essere alla base, per esempio, di alcune forme di cefalea presentato da tante persone.
I pesticidi non sono altro che veleni, meglio definibili come fitofarmaci, dagli effetti tossici, cancerogeni, immunologici, neurologici e nocivi per l’apparato riproduttore, classificandoli tra gli EDC, endocrine disrupting chemicals, un nome difficile che sta ad indicare l’influenza nociva per l’organismo umano, dal bambino alla donna incinta per finire all’anziano passando per la persona apparentemente più sana.
Questo l’ha ben capito chi ha deciso di scommettere sul biologico, un investimento contro tendenza e contro il mercato, ma a favore dell’uomo e della terra. Ne è portavoce a Molfetta la Colicello che applica una agricoltura biologica basata su una severa restrizione dei fertilizzanti chimici che lascia spazio solo a sostanze che rispettano l’uomo e gli equilibri naturali. L’ecocompatibilità è rispettata anche grazie a diverse pratiche come un ampio piano di rotazione delle culture, che evita la “stanchezza del terreno”, piantare siepi e prati che attraggono insetti utili (contro l’impiego di ormoni), utilizzo di piante resistenti e la coltivazione di piante da sovescio, utilizzate come fertilizzante insieme al letame del pascolo turnato. -32% di emissioni di gas serra dichiarano i dati sulla pratica biologica che dal 1° gennaio vedrà sui suoi prodotti il nuovo logo con una foglia di stelle su sfondo verde.
Lo sfruttamento intensivo dei campi è osservabile anche vicino, non c’è bisogno di andare lontano: basta vedere la strada tra Giovinazzo e Terlizzi, il colorito spento delle foglie d’ulivo e le radici scoperte degli ulivi per la cattiva abitudine di polverizzare i muretti a secco che provocano il graduale abbassamento del livello del terreno. A pagarne le conseguenze non è solo il terreno ma anche le acque, e a Molfetta si vede. Il degrado del suolo permette ai fitofarmaci di penetrare fino nelle falde acquifere che sfociano nelle acque del mare causando eutrofizzazione, ovvero aumento delle alghe e moria di pesci, quindi diminuzione della biodiversità e accumulo dei residui dei pesticidi nei terreni, nei pesci delle nostre tavole e infine nel nostro corpo. Un bel giro insomma che sta a significare che in natura nulla è a comparti stagni.
Ma non è solo questo ad inquinare i nostri piatti: basta farsi un giro per il nostro agro molfettese. Residui edili in primis, amianto, mobili di ogni sorta, frigoriferi e altri rifiuti non comunemente smaltibili decorano le vie delle nostre campagne, dove magari la Multiservizi non è “di casa”. Insomma, si è persa quella sacralità fonte di lavoro e ristoro rappresentata dalla terra, ora intesa o come risorsa da sfruttare fino allo sfinimento o spazio disponibile alla cementificazione contro ogni rispetto di lame e disposizioni naturali, come ha dimostrato la cronaca. Non lamentiamoci poi quando una pioggia allaga campagne e proprietà private, quando le strade diventano impraticabili e il terreno cede perché privo del sostegno delle radici degli alberi. “Le ragioni del commercio possono inquinare anche le buone volontà” ci ricorda il prof. D’Elia.
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