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Moby Prince chiesta l'archiviazione: fatalità ed errore umano
15 giugno 2010

La Procura di Livorno ha depositato il 7 maggio scorso la richiesta di archiviazione dell’inchiesta-bis sulla strage del Moby Prince, il traghetto che prese fuoco la sera del 10 aprile 1991, a seguito della collisione con la petroliera Agip Abruzzo ancorata nella rada di Livorno. Un solo sopravvissuto, e 140 vittime tra passeggeri e uomini dell’equipaggio, tra cui i quattro molfettesi: Giovanni Abbattista (46 anni), Natale Amato (53), Giuseppe de Gennaro (29), Nicola Salvemini (36). La richiesta di archiviazione, di oltre 100 pagine, è stata depositata negli uffi ci del Gip, che dovrà decidere se accoglierla o se invece ordinare supplementi investigativi. Nei prossimi giorni la Procura spiegherà le motivazioni, ma il procuratore di Livorno De Leo ha anticipato alla stampa livornese le conclusioni del’inchiesta. “L’incidente - ha detto De Leo – è stato per un errore umano dovuto a un banco di nebbia che ha avvolto la Moby Prince prima dell’urto sulla petroliera”. Insomma, fatalità ed imprudenza del personale del traghetto in servizio sul ponte di comando. La Procura quindi non ha trovato riscontri sulle ipotesi avanzate dall’avvocato Carlo Palermo, per conto dei fi gli del comandante del traghetto, Angelo e Luchino Chessa, e altri parenti delle vittime del Moby Prince, nell’istanza di riapertura delle indagini presentata nel 2006. In quasi 600 pagine di memoria difensiva, il legale metteva in fi la una serie di dubbi inquietanti e uno scenario tutt’altro che accidentale. “Quella sera – scriveva Palermo - nel porto di Livorno sarebbero state scaricate armi da navi americane che non sarebbero però arrivate alla loro destinazione naturale, la base di Camp Darby (Pisa)”. I magistrati hanno anche confermato che il traghetto della Navarma non era in buone condizioni e “navigava senza le necessarie misure di sicurezza”. Ma i relativi reati sono ormai prescritti. La decisione della Procura ha lasciato di stucco Luchino Chessa, che era certo di un esito diverso. “Abbiamo letto le motivazioni e per noi la faccenda è tutt’altro chiusa. Neanche il più inesperto marinaio avrebbe commesso l’errore così stupido di sfi orare a tutta velocità le navi militarizzate alla fonda e inchiodarsi su una petroliera illuminata come una raffi neria. Come cittadini italiani e, siamo profondamente amareggiati per come una inchiesta, riaperta grazie a importanti prove, possa essere stata chiusa senza uno spiraglio di giustizia. Probabilmente, da più parti si vuole che questo ultimo atto sia l’epilogo di una storia processuale da chiudere per sempre, ma che apre nuovamente la funesta pagina delle tante storie di stragi italiane non risolte dal dopo guerra ad oggi. Abbiamo presentato l’opposizione alla richiesta di archiviazione e speriamo che il GIP si renda conto che non si può chiudere in questo modo una vicenda dai contorni non chiari e con un sacco di punti interrogativi”. In quella sera di primavera di 19 anni fa si consumò la più grande tragedia della storia della marineria mercantile italiana. Due processi sancirono la stessa verità giudiziaria: fatalità e negligenza del personale. Gli unici imputati dovettero rispondere di reati minori ormai prescritti: mancata attivazione di procedure previste in caso di nebbia e di incidenti in mare. La fatalità di un improvviso banco di nebbia che avvolse l’Agip Abruzzo ancorata nella rada di Livorno, proprio mentre il Moby Prince, chiuse le procedure di uscita dal porto, prendeva il largo diretto ad Olbia. Accanto a ciò, i giudici scrissero di “avventata fi ducia nella guida a vista, non confortata neppure da una pur saltuaria verifi ca al radar, invalidata da sostanziale negligenza e disattenzione”. Tali motivazioni non furono mai accettate sia dai familiari delle vittime, ma anche dalla marineria livornese, per le voci che circolarono nei giorni seguenti la tragedia negli ambienti portuali. I movimenti in un porto importante e trafficato come quello di Livorno, difficilmente passano inosservati, per le tante persone che lavorano anche di notte. Addirittura si insinuò che il personale di bordo sarebbe stato distolto dalle sue mansioni da un’importante partita di calcio in tv, la semifinale della Coppa delle Coppe tra Juventus e Barcellona. All’indomani della sentenza, sulla stampa toscana cominciarono a circolare notizie di testimonianze, alcune anonime, di presenze nella zona di un traffi co navale, con molti indizi, ma non suff ragati da riscontri e dai registri uffi ciali. Ad una trasmissione sulla strage di un’emittente locale, al telefono un telespettatore anonimo disse: “Dove entrano i militari esce la verità”. All’epoca si era in piane prima guerra del Golfo e il traffi co militare statunitense era sostenuto da e per la vicina base di Camp Darby. Operazioni militari, per motivi di sicurezza o quant’altro, forse non del tutto note all’autorità portuale. Un traghetto che esce dal porto a va a cozzare contro una petroliera avvolta in un improvviso banco di nebbia, per fatalità ed imperizia era una verità troppo banale e diffi cile da digerire. E se lo scenario fosse stato un altro? Arrivarono, libri e inchieste giornalistiche che ipotizzavano un’altra verità possibile. Per due anni l’avvocato Palermo, ex magistrato scampato alcuni anni prima per fatalità ad un attentato, mise insieme un pozzle fatto di tanti frammenti di verità e indizi inediti, che furono ritenuti fondati dalla Procura al punto da riaprire l’inchiesta. Dopo oltre tre anni, si è ritornati al punto di partenza: fatalità ed errore umano. Di questa tragedia nella memoria collettiva della comunità molfettese resta ben poco, solo il ricordo di parenti e amici dei quattro marittimi, anche se il Comune di Molfetta ogni hanno presenzia con il gonfalone alla commemorazione delle vittime. La comunità livornese, dove l’identità marittima conta ancora qualcosa, ha sempre tenuta accesa la fiamma della memoria. Alla vittime, il Comune di Livorno ha anche intitolato una piazza. Da ricordare l’iniziativa dal forte impatto mediatico, quando al’indomani della prima sentenza, gli sportivi livornesi esposero allo stadio l’enorme e profetico striscione: “Moby Prince, 140 vittime, nessun colpevole”.

Autore: Francesco Del Rosso
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