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Milioni di silenzi
15 aprile 2005

Il nostro è un periodico di informazione locale certo, ma quando la storia svela pagine epocali e le circostanze decidono di farti essere lì non si può non raccontare. Aiuta chi c'era, a rivivere e chi non c'era, a vivere qualcosa che si fa fatica a descrivere con le parole. Lunedì 4 aprile 2005. Dalle 8 della mattina piazza San Pietro comincia a diventare la meta cui tutti si rivolgono. La sicurezza è già perfettamente organizzata e la loro massiccia presenza accompagna i pellegrini sin dal loro arrivo in città con indicazioni sui mezzi da prendere, sulle semplici precauzioni da adottare una volta giunti nei pressi del Vaticano già “impacchettato” a dovere per gestire il fiume di gente che va ingrossandosi ora per ora. Il corpo di Giovani Paolo II è esposto nella sala Clementina in Vaticano e, dopo aver ricevuto l'estremo saluto delle massime autorità dello Stato nella giornata di domenica, è ora esposto al saluto di tutti i dipendenti dello Stato del Vaticano e di numerosi ordini ecclesiastici che si accalcano all'ingresso di porta sant'Anna, una delle entrate che immette nella Città del Vaticano. Di qui entro anch'io, un po' in punta di piedi, sicura di trovare oltre le mura che circondano il cuore della Chiesa cattolica evidenti segni di lutto e…mestizia. Le guardie svizzere all'ingresso mi fanno passare scettiche: me l'aspettavo, perché avevo mostrato loro il tesserino per entrare nella Scuola dell'Archivio Vaticano con la quasi certezza che fosse chiusa per lutto. In ogni caso, sono dentro. Supero la seconda gendarmeria e mi avvio verso il cortile del Belvedere dove c'è l'ingresso della Scuola ma dove c'è anche l'ingresso per accedere alla sala Clementina. Nel frattempo mi guardo un po' in giro: le Poste vaticane, aperte, altri uffici, aperti; l'unica “diversità” è il via vai di ecclesiastici e civili più fitto del solito. Giunta nel cortile del Belvedere mi trovo davanti la fila silenziosa di tutti coloro che aspettavano di salire dal pontefice, ma io devo deviare verso l'ingresso della Scuola: anche qui tutto funziona come al solito, segreteria, lezioni, archivio, biblioteca. Mi viene in mente un titolo secco: “Lutto per la morte di Giovanni Paolo II. Il mondo si ferma, il Vaticano no”. Osservo e racconto. Fuori si canta, si prega, la gente si prepara ad ore ed ore di attesa, si appronta la cerimonia della traslazione della salma del pontefice in basilica; dentro c'è il consueto silenzio, si lavora come al solito… e, non fosse per la fila silenziosa in abiti scuri che si esaurisce verso le tre del pomeriggio, questo sarebbe un lunedì come tanti. Logica la riflessione che uno Stato non può fermarsi per la morte del suo “capo”, non è pensabile eppure, avrei pensato che il proverbiale rigore che contraddistingue il Vaticano in ogni situazione si sarebbe un minimo incrinato per la morte di Giovanni Paolo II. Sbagliavo. Alle 17 “torno in Italia” varcando – uscendo –, ancora una volta, porta sant'Anna: l'impatto è incredibile, un mare di gente imbocca tutte le strade parallele a via della Conciliazione unico accesso alla piazza e nella quale si può giungere solo dal fondo. Forze dell'ordine e volontari indicano la direzione da prendere, fanno delle raccomandazioni, riforniscono gli sprovvisti di acqua e avvisano tutti di ciò che li aspetta. Arrivo in via della Conciliazione e mi fermo, in fila con non so quante migliaia di persone: i maxi schermi rimandano la processione della salma del papa che sta per raggiungere la basilica dopo aver lasciato la sala Clementina. Le campane di San Pietro suonano incessantemente accompagnando la litania in latino della processione dei cardinali e dei vescovi e siamo tutti in silenzio con gli occhi verso la piazza. Quasi nessuno riesce a vedere cosa accade effettivamente e si guarda sugli schermi: sono colpita dall'emozione e dalle migliaia di silenzi che mi circondano; la salma arriva di fronte all'ingresso di San Pietro e viene rivolta un'ultima volta verso la piazza: dal silenzio si leva un lungo applauso, non si trattengono le lacrime, nessuno si muove o spinge, nessuno parla. Quale forza è stata capace di fare ciò, cosa ha spinto tutti – me compresa – a stare qui fermi, in piedi con la prospettiva anche di non riuscire ad entrare? Intanto la salma del Papa entra in San Pietro e viene posata davanti all'altare della Confessione; noi tutti siamo ancora in fila, si sta facendo sera e la cupola della Basilica comincia ad illuminarsi. Intorno a me la gente non dà segni di cedimento o nervosismo, ma serpeggia la notizia che la basilica verrà aperta ai fedeli alle 21: i più piccoli sono sulle spalle dei papà, i più anziani non si scoraggiano e si sostengono vicendevolmente, i giovani sono i più numerosi; gli accenti sono i più diversi, dalla Campania, dal Veneto, dalla Sicilia, dalle Marche, solo per citare quelli più vicini a me. I telefonini squillano in continuazione: «Sono in fila! Siamo fermi quasi all'ingresso di piazza San Pietro… quando torno? Non lo so, ma non preoccuparti mamma al massimo troverò un treno domani mattina!». Tutti rassicurano casa: non se ne parla di tornare senza essere entrati. Si alzano i cori che gridano il nome del Papa, si chiede anche a gran voce che vengano aperte le porte di San Pietro: la gente arriva ormai al lungo Tevere, il traffico nella zona è paralizzato, la sicurezza comincia a temere che un'attesa così lunga crei problemi seri non tanto per l'ordine pubblico che, incredibile e dirsi, non sembra minimamente compromesso, quanto per possibili malori che potrebbero colpire la gente in attesa. Mi chiedo ancora cosa ci spinge a fare questo, lo chiedo anche a chi è accanto a me e mi rendo conto che le risposte portano tutte verso un'unica direzione: Karol Wojtyla ha fatto innamorare il mondo che ora è tutto riunito qui per dimostrarglielo. Guardo le postazioni delle televisioni di tutto il mondo che sono quasi in diretta continua con la piazza e sommo a tutti noi fisicamente qui, tutti coloro che sono davanti a quello che da giorni è il canale mediatico egemone, cinicamente instancabile che continua a raccontare ogni secondo di questi momenti. Parlare di milioni di fedeli e vedere milioni di fedeli sono due cose completamente diverse: se mi giro in dietro sporgendomi un po' sopra le teste di tutti mi manca quasi il fiato. La situazione però rischia di diventare ingestibile e la Basilica viene aperta in anticipo. Qualcosa si muove e tutti tirano un sospiro di sollievo anche se passeranno ancora delle ore prima di poter varcare la soglia di San Pietro. La fila tiene e attende di vivere l'ultima grandissima emozione di questa giornata surreale… quei pochi istanti davanti alle spoglie mortali di Giovanni Paolo II, legati al silenzio di ciò che, più grande di noi, non si può descrivere. Francesca Lunanova francesca.lunanova@quindici-molfetta.it
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