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Michele Carabellese e “l’amaro della disfatta”
15 giugno 2019

È un’operazione culturalmente e storicamente interessante quella compiuta da Marisa e Vincenzo Carabellese, che con acribia e passione, hanno dato alle stampe, con Nadir Media edizioni, il diario del compianto zio Michele. È nato così L’amaro della disfatta. Da La Spezia ai Laghi Amari nei diari di un ufficiale della corazzata italiana, documento importante, come fa rilevare, nella lucida introduzione, anche il prof. Marco Ignazio de Santis. Nella medesima, infatti, de Santis, rievocando alcuni importanti elementi in merito alle vicende della Marina italiana dopo l’8 settembre 1943 e illuminando con concise e significative notazioni il contesto storico, evidenzia come i diari di Michele Carabellese siano stati “dati alle stampe” in maniera molto opportuna, “per la ricca messe di notizie storiche e di pregevoli descrizioni che contengono”. Anche i nipoti, Vincenzo e Marisa, nello scritto che esplica le motivazioni di tale pubblicazione, hanno evidenziato come, da uno scambio avvenuto con membri dell’Ufficio Storico della Marina, sia emerso il fatto che “La documentazione esistente sull’internamento nei Laghi Amari delle due corazzate maggiori (V. Veneto e Italia) è molto scarsa, quasi si sia voluto inconsciamente rimuovere quella sfortunata situazione”. I diari di Michele Carabellese, ricchi di puntuali annotazioni, peraltro effettuate quotidianamente, concorrono pertanto a colmare il quadro, nel complesso ancora non privo di zone d’ombra, di un momento particolarmente drammatico per la nostra flotta. Dopo l’8 settembre, infatti, la corazzata Italia (ex Littorio), in cui Carabellese era capo dei Servizi amministrativi, e la Vittorio Veneto furono, per clausole armistiziali, indotte a proseguire verso Malta, per poi approdare ad Alessandria d’Egitto ed essere internate presso i Laghi Amari, lungo il Canale di Suez. I soldati italiani si trovarono a dover fronteggiare una situazione molto delicata, non potendo scendere a terra se non, e solo chi era autorizzato, per programmate ‘passeggiate igieniche’ e sentendosi tagliati fuori dal mondo. A lungo, infatti, essi non riuscirono a ricevere notizie dei parenti rimasti in Italia. L’opera di Michele Carabellese si rivela pertanto estremamente interessante perché offre notevoli spunti documentari su più livelli. C’è la testimonianza in presa diretta di eventi storici, peraltro spesso preceduti da “voci di prora” ora smentite ora drammaticamente confermate, come nel caso della “tragica fine della nostra Roma”, la corazzata affondata in seguito ai bombardamenti tedeschi del 9 settembre, che danneggiarono anche la nave Italia. In più veniamo a conoscenza di dettagli concernenti l’attività di Carabellese, alle prese con ordini contraddittori in merito al “sistema di pagamento delle competenze”, e l’organizzazione a bordo delle corazzate. In tal senso, particolarmente interessanti appaiono i riferimenti alle sedute del Tribunale di Guerra di bordo e alle situazioni prese in carico, ma anche alle ondate di rimpatri (quella del maggio 1944 interessò anche lo stesso Carabellese e, non a caso, essa conclude il diario). Affiorano informazioni in merito agli internamenti, alle condizioni climatiche e, soprattutto, risaltano – ed è il secondo e non meno importante piano documentario – le dinamiche psicologiche in atto sulla corazzata Italia. Si profila così un interminabile tempo della stasi, scandito a lungo dall’attesa, continuamente delusa, di rassicurazioni sulle sorti dei propri cari. L’unica via per esorcizzare l’ansia sembra quella di instaurare una routine che possa in qualche modo offrire un barlume di stabilità in uno “sciagurato” tempo dell’incertezza. Non è casuale che spesso Carabellese annoti in maniera quasi ossessiva le serate trascorse a giocare a “bridge dal comandante”; in tal direzione deve essere letta anche la ricorrenza di un vero e proprio rito per il maggiore commissario, il dialogo serale con la luna, eletta a intermediaria in una sorta di comunicazione spirituale con la moglie Paola. Sicuramente, tra i momenti più significativi del diario ci sono quelli riservati alla pudica riflessione sugli affetti, spesso velata dall’inquietudine e sempre accompagnata da uno struggente senso di nostalgia. Questa disposizione d’animo si avverte anche quando Carabellese riflette sul destino dell’isola di Lero, in cui aveva ricoperto un importante incarico e che, innegabilmente, gli era rimasta nel cuore. A leggerlo con attenzione, in ogni caso, questo diario è una vera miniera di notizie. Veniamo a conoscenza di quali film in lingua inglese venissero proiettati per distrarre l’equipaggio, dei tornei di pallavolo ch’erano organizzati e perfino degli spettacoli di rivista allestiti dalla compagnia dilettantistica sorta a bordo. Tutto a voler rinforzare l’idea che la vita continua, a tentare in ogni modo di restituire una parvenza di ‘normalità’ a uomini sradicati dalla loro terra e dai loro affetti, disorientati dalle sorti dell’Italia eppure fermamente protesi a non lasciarsi travolgere senza rimedio dalla fiumana degli eventi storici. Persino i riferimenti alle sedute spiritiche svolte a bordo (e alle quali Carabellese non partecipava) sono indicativi di un bisogno estremo di comunicare con dimensioni altre, nella consapevolezza dell’estrema fragilità della vita umana e forse nell’intima necessità di scoprire le sorti di gente di cui, come si è già detto, non si riceveva più alcuna notizia. La prosa di Carabellese oscilla tra l’annotazione cronachistica di particolari minuti e un’improvvisa tensione quasi lirica (stiamo parlando di un uomo di cultura, un bibliofago, come emerge dall’elenco delle sue letture del periodo). Sono le pagine dedicate a Paola, alla patria, a Lero, alle celebrazioni eucaristiche a bordo, ma anche quelle in cui si descrive lo scenario del Lago Amaro, “brulicante di mille luci dei campi di concentramento disseminati tutti intorno le sue rive, nel suggestivo calore della luna piena orientale”. © Riproduzione riservata

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