MOLFETTA – Alcuni tavoli, qualche sedia, un paravento e alcuni oggetti per evocare una vita intera. Una vita tragica e veemente, sensuale e appassionata, vissuta sotto la luce dei riflettori e nell'oscurità della propria disperazione. É questa la Maria Callas che Daniela Musini propone nel suo monologo sull'ultimo giorno di vita (16 settembre 1977) del soprano più acclamato del Novecento.
In realtà, in scena va la contrapposizione tra la “divina Callas” e la fragile Maria, tra il personaggio acclamato e ammirato e la donna reale.
Il pretesto è una immaginaria intervista che Maria Callas, nel suo appartamento parigino, rilascia all'invisibile giornalista Chantal.
Il racconto di Daniela Musini prende il via dal 2 dicembre 1923, quando a New York nasce Anna Maria Cecilia Sofia Kalogeropoulos (il padre modificò il cognome in Kalos – bello – quando emigrò negli U.S.A.), e si snoda lungo la difficilissima infanzia con una madre cinica e avida che la rifiuta sin dal primo istante.
E ancora, i penosi confronti con la sorella più grande, più affascinante, più sensuale, il ritorno in Grecia deciso dalla madre (che le impone una dolorosa separazione dal padre), la musica che diventa unico rifugio per una bulimica bambina, le lezioni di canto, le prime esibizioni, la guerra e, finalmente, il ritorno negli Stati Uniti per tentare la carriera artistica, con l'inseparabile “talismano”: la sua voce.
Si prosegue con l'arrivo in Italia, il connubio artistico e familiare con l'impresario Titta Meneghini, le tournée nei maggiori teatri internazionali, le serate di gala che, apparentemente, sembrano appagare l'animo dolente di Maria.
A Venezia, il primo incontro con Aristotele Onassis e l'immediata intesa che si trasformerà in una passione totalizzante. Dal loro amore nascerà un figlio, Omero, mai voluto da Onassis. Il piccolo morirà il giorno stesso della sua nascita, gettando la donna nella più profonda disperazione.
È l'inizio del declino: la perdita del figlio e l'allontanamento del suo grande amore, che preferirà sposare Jackie Kennedy, segneranno profondamente l'animo della cantante.
La disperazione e la solitudine incideranno negativamente anche sul suo “talismano”.
Il racconto prosegue con l'avventura cinematografica nella Medea di Pier Paolo Pasolini, altro amore impossibile di Maria, e la sua ultima tournée che la vedrà al fianco di Giuseppe Di Stefano, ma anche il loro rapporto finirà male.
Onassis tornerà da lei nei momenti più difficili: dopo la morte del figlio Alessandro in un incidente aereo e quando lui stesso si ammalerà.
Dopo la scomparsa del miliardario greco, Maria, la donna, si chiuderà sempre più nella struggente solitudine in attesa della morte.
Daniela Musini, autrice oltre che interprete del monologo, si è calata perfettamente nei panni del grande soprano, riuscendo a far percepire e condividere gli stati d'animo e i sentimenti di donna appassionata e ferita, complice la semplice scenografia e i giochi di luce.
Maria Callas, quella vera, del resto, dominava la scena dalle gigantografie proiettate sul fondale e sottolineava alcuni passaggi con le sue interpretazioni, Violetta (Traviata), Lauretta (Gianni Schicchi), Julia (La Vestale), Tosca...
Il pubblico che ha gremito il teatro de La Cittadella degli Artisti ha, meritatamente, tributato applausi a scena aperta e la standing ovation finale a Daniela Musini.
Lo spettacolo, per la regia di Federica Vicino e i costumi di Giuseppe Esposito, ha inaugurato la rassegna “Rosso Porpora”, fortemente voluto dall'Amministrazione Comunale e dedicata alla violenza di genere.
Come ha rimarcato il vicesindaco e assessore alla Cultura Sara Allegretta, l'iniziativa vuole evidenziare quanto sia sottile e distruttiva anche la violenza psicologica, quella praticata con le parole, con l'indifferenza.
«La cultura deve dare spunti di riflessione» ha affermato l'assessore Allegretta. E la serata ha sicuramente lasciato profondi spunti di riflessione.
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