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Magico, dannato e oscuro ‘68
15 giugno 2018

Era l’autunno del 1967, e io, iscritto al primo anno di giurisprudenza alla statale di Milano, passeggiavo con colleghi e amici, di sera, nella storica galleria Vittorio Emanuele. All’epoca si vestiva un po’ all’inglese, scarpe inglesi, pantaloni di flanella, giacca e cravatta. Qualcuno degli astanti, un certo Paolo si mise a dire che, all’Università Cattolica era in atto un’operazione tesa ad influenzare l’intellighenzia milanese e italiana, che la sinistra e la destra politica erano uguali (ricordiamo Giorgio Gaber) e che presto si sarebbe formato un movimento, di opinione, studentesco. Il mio amico ci parlò dell’internazionale situazionista e dei situazionisti francesi Guy Debord Mustapha’ Khayati e di idee nuove che “fermentavano” (sospinte da centri di potere, aggiungo io) in tutta Europa. E in molti altri Paesi. Preso dagli studi e dagli svaghi dell’età dimenticai la cosa, trascorse l’inverno, comparvero i gloriosi blue jeans (io ne portai un paio per tanto tempo che si ridussero come quelli di moda oggi, solo che i miei costavano pochissimo!). Poi un bel mattino di primavera, mentre seguivo le lezioni di filosofia del diritto, sentimmo un improvviso baccano, delle voci concitate, poi la porta dell’aula si spalancò violentemente e un giovane con tanto di barba gridò: fuoori!!! Tutti fuori!!! Temendo qualcosa di grave scattai come una molla e uscii dall’ingresso dell’ateneo in via Festa del perdono. Lo spettacolo mi fece impressione; a una ventina di metri da me era schierato uno squadrone di celerini in tenuta antisommossa con tanto di manganelli! Spaventato, mi guardai intorno e vidi, proprio alle mie spalle, più o meno alla stessa distanza, una folla di studenti che gridavano (erano quelli del movimento studentesco), alcuni erano armati di mazze e spranghe (i cosiddetti Katanga) più in là un altro gruppo di studenti (quelli della destra). Insomma, mi trovavo fra tre fuochi; capii che stava per avvenire uno scontro e, siccome non ci tenevo ad essere coinvolto, mi infilai di corsa in una stradina adiacente (via Bergamini) e tornai a casa. Era il maggio del 1968. La solfa era quella che conosciamo e da quel giorno andò avanti per tanto tempo. Mi ricordo che una mattina, mentre ero in giro per l’ateneo mi dissero che si “occupava” e furono chiuse tutte le porte; ci fu una battaglia coi sampietrini fra le opposte fazioni e mi toccò andare a casa tardi. Nel frattempo sentii parlare, per la prima volta di “sociologia”: certi amici mi dissero che la libera Università degli studi di Trento era una facoltà all’avanguardia e incuriosito mi feci mandare un piano di studi. Milano, per quanto, all’epoca, ricca e vivace non faceva per me, le montagne, le valli stupende e i laghetti del Trentino, invece, mi attiravano molto e poi si sa che i giovani sono portati all’esplorazioni e alle novità. Quando informai mio padre della mia decisione lui tentò di darmi un calcio che evitai agilmente, perché la mia scelta era stata preceduta da un colloquio col prof. Quadrio dell’Università Cattolica di Milano che mi aveva consigliato, dato il mio carattere, di iscrivermi a giurisprudenza. Per convincere mio padre sostenni e superai l’esame, fondamentale, di diritto privato col bravo prof. Trimarchi bersaglio preferito dei giovani del movimento studentesco; mi interrogò sui nove modi di acquisizione della proprietà; siccome ne ricordavo solo otto, mi lasciò il tempo per riflettere e ricordare. Nel frattempo una ragazza lo aggredì dicendo: “criminale! lo stai torturando!”. Non era vero. I miei, alla fine, accettarono la mia decisione e mio padre mi accompagnò in macchina a Trento. Era una splendida giornata di settembre, la val d’Adige, incantevole, era colorata e luminosa e l’università era, guarda caso, occupata. Sugli scalini c’era uno studente con la barba lunga, inquietate e misterioso. Presi alloggio presso una signora anziana, tale Ancilla Pederzolli, che ogni tanto mi diceva: cosa volelo sti sociologhi? Poi andai in affitto con due amici in via dei Mille. Alcune ragazze ci presero in simpatia e ci regalarono asciugamani sedie e un grosso tavolo che trasportammo in testa per le vie di Trento. Eravamo squattrinati, ma entusiasti e felici. Mi misi subito a seguire diligentemente le lezioni di matematica e qui venne la prima sorpresa perché a giugno fui bocciato: non seppi rappresentare graficamente una funzione i cui calcoli avevo eseguito correttamente. Il guaio era che le dispense relative, erano uscite “dopo” la data della sessione d’esame! Deluso, cancellai matematica dal piano di studi e mi cercai un lavoretto a Milano, diventando così uno studente lavoratore. A Trento c’erano un paio di bar, in centro, frequentati da deliziose ragazze bionde, io, al tempo, bel giovane, fui amato da molte di quelle fanciulle che “dopo” però scomparivano lasciandomi in uno stato di giustificata tristezza, dato il mio carattere sentimentale. Quando raccontai il fatto ai miei amici trentini, mi dissero che le signorine erano tutte fidanzate! Fra gli studenti era di moda l’amore libero, le ragazze non si negavano a nessuno e, quando non potevano accontentare i maschi, si scusavano con sincera convinzione. La musica rock anglosassone la faceva da padrona al culmine arrivarono i Pink Floyd dopo i Beatles, i Rolling Stone, i Genesis, Santana, Jimmy Andrix, Crosby Still Nash e Yung Elvis e tutto il resto. Woodstock era musica, droga, hippysmo, ancora una volta amore libero e contrapposizione alla civiltà dei consumi e alla cultura di massa in favore dell’interiorità e di un pizzico di individualismo. Marcuse trionfava totalmente. Conobbi carnalmente un paio di studentesse che, si mormorava, appartenevano alle brigate rosse. All’epoca non sapevo niente di questa banda delinquenziale ma mi ricordo che una delle due, siccome mi trovavo il suo cagnolino fra le gambe durante… nel letto, rispose alla mia protesta “o me o il cane” dicendomi che preferiva quest’ultimo, così tutto finì lì. A Trento si succedevano assemblee (pilotate) e manifestazioni; alle assemblee si andava a caccia di ragazze e alle manifestazioni non andavo mai perché’, anche senza averli letti, avevo Sant’Agostino e Seneca nel Dna. Andavo, invece, in febbraio a sciare sul monte Bondone approfittando delle belle giornate. D’estate i laghetti, soprattutto Lamar dove mi capitò una fortunata avventura. Avevo portato lì una mia amichetta molto carina (anche lei fidanzata a mia insaputa) e ci eravamo sdraiati sull’erba a fare le cose che si fanno; però sentivo, di continuo, dei sibili sordi e continui; a momento non ci feci caso ma la sera raccontai il fatto ai miei amici di Trento che mi dissero sbalorditi. Set matt? Sei capitato in un campo di vipere in amore! Lo sai che potevi morire?! I “compagni” si incontravano di sera nelle case; le femministe, che di giorno ci aggredivano dicendo: “maschio ti distruggo!” di notte cercavano di portarsi a letto qualche malcapitato, pochi per la verità, perché quelle ragazze, in quanto ad avvenenza, lasciavano molto a desiderare. A Trento c’era di tutto, la maggior parte erano squattrinati, alcuni partivano per la Cina a cercare i “documenti della rivoluzione cinese”, altri andavano in Nepal a fumare hashish (qualcuno ci rimase secco). Quelli tranquilli come me erano pochi. Andavano di moda l’eschimo grigio e la barba; una volta, un mio collega che portava, appunto, la barba e che veniva a Trento solo per sostenere gli esami, fu scambiato per uno di sinistra da un drappello di alpini che gli sollevarono la 500 da dietro e lo fecero ripartire dopo qualche insulto: il malcapitato però non c’entrava niente con la politica! Personalmente cercavo di imitare mio padre che aveva studiato a Firenze e, anche con pochi soldi, mi sentivo libero e felice. Una volta, dalla stazione mi feci portare a casa da una carrozza col un bel cavallo, mi sembrava di essere Andrea Sperelli di Dannunziana memoria, ma, sul corso, incocciai la solita “manifestazione” immediatamente. Intimai al cocchiere di cambiare strada! Terminati gli studi, dovendo ottemperare gli obblighi della leva, chiesi di entrare come ufficiale nei parà oppure in cavalleria, ma non fui accontentato: stavo cominciando a pagare lo scotto di un marchio equivoco che mi avrebbe poi perseguitato per decenni perché i sociologi erano considerati, tutti indistintamente (ed erroneamente) persone di “sinistra”, mentre io mi sono sempre tenuto lontano dalla politica perché’ si sa che nell’occhio del ciclone non vi sono perturbazioni e la calma regna sovrana. Valutare il tutto, anche dopo cinquant’anni, è difficile. Il benessere del dopoguerra ha senza dubbio contribuito ad accrescere le aspettative degli adolescenti dell’epoca molto numerosi, perché dopo il secondo conflitto mondiale si ebbe un notevole incremento delle nascite; il fatto poi che queste istanze siano state, anche, strumentalizzate è innegabile e, paradossalmente, gli individualismi sono stati, “massificati”. Per cui molti hanno fatto la fine di Icaro di buona memoria (l’utopia e il sogno sono pericolosi specialmente quando si è giovani). Però è senz’altro vero che la storia, il mondo, procedono per sentieri imprevedibili, oscuri, non sempre razionali che si sottraggono, per la concomitanza di circostanze diverse, ad un’analisi. L’unica cosa che mi sento di affermare è che non si trattò “solo” di un fenomeno di moda, bensì di uno “stile di vita” che è perdurato, con tutti i suoi difetti, per cinquant’anni, aprendo la strada all’ecologismo, all’ambientalismo, al migliore femminismo e al pacifismo predicato dai “figli dei fiori”. Giudicare non spetta a me, però si deve ricordare che le generazioni precedenti avevano partecipato nolentes vel nolentes a sanguinose guerre e che quelle del 68, hanno trovato espressione nei fenomeni suddetti. Un giovane del ‘68 © Riproduzione riservata

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