Lo scalo di Molfetta, storie ed emozioni dei maestri d’ascia
Il secondo capitolo della storia marinaresca di Molfetta, firmato da Tommaso Gaudio (redattore di “Quindici”), parla dei maestri d’ascia, un antico mestiere generazionale, ormai caduto in disuso come anche la flotta peschereccia dello scalo di Molfetta, introduce così l’opera la Presidente dell’Università Popolare, prof. ssa Ottavia Sgherza Altomare, nella cornice suggestiva negli ambienti raffinati dell’università. “Le storie e le emozioni di uomini che costruiscono le navi sono le protagoniste del nuovo libro di Tommaso Gaudio, i percorsi delle vite umane si intersecano con le miserie e le ricchezze, le crescite e gli abbandoni della vita marinaresca molfettese”, afferma Felice de Sanctis, lo scrittore della prefazione nonché giornalista e direttore della rivista mensile “Quindici” e del quotidiano “Quindici on line”. Il viaggio a ritroso, alternato dai sensi contrastanti di splendore e di abbandono, parte dalla spiaggia Maddalena, luogo dello scalo della città e si articola in una ricerca storica, propria dello stile di uno storico scrupoloso, ma anche iconografica, in cui la frenesia di immagini, nomi e grafici scandisce l’andamento dell’attività peschereccia, amalgamate dal comune intento educativo, proprio di un manuale di storia. “Una pietra bianca, per metà asfaltata, ancora visibile segna l’inizio dell’anno demaniale, il quadro della gaussiana che ho analizzato ha inizio nel 1947 e termina nel 2015, anni in cui sono state fabbricate 2800 barche di ogni dimensione e per ogni utilizzo, prodotti finiti delle mani instancabili di 500 addetti ai lavori”, afferma con enfasi narrativa l’autore Tommaso Gaudio. I dati forniti, raccolti durante l’iter di ricerca di ben 4 mesi presso gli archivi della capitaneria di porto, sono sconcertati: il boom delle richieste di produzione ebbe un aumento nel 1948 con 60 richieste, tra costruzioni e modifiche di barche già esistenti, il quale raggiunse il suo picco nel 1961 con la registrazione di 140 richieste. Successivamente il 1981 fu l’anno che iniziò a segnare il crollo del mercato di fabbricazione delle barche, crollo che, a lungo andare, porto nel 2003 alla chiusura di alcuni cantieri e, nel migliore dei casi, alla conversione di altri nella lavorazione dell’acciaio come successe nel caso dei cantieri gestiti dalle famiglie Salvemini e Pansini. Attualmente, lo stato di abbandono e desolazione in cui versa lo scalo fa rabbrividire. Prima il turn over continuo della manodopera al lavoro unito ai rumori della messa in secco delle barche costruiva un quadro idilliaco, proprio di una zona vissuta, in cui il vocio dei lavoratori e lo sciabordio delle onde creavano un’atmosfera magica, a metà strada tra il reale ed il fiabesco. Ora il degrado dei mari, con la conseguente risorsa ittica in esaurimento, depauperata ormai dall’abuso della pesca in mare; il fermo biologico di 6 settimane, inutile perché doppiamente distruttivo; la rottamazione delle vecchie barche e la mancanza di manodopera hanno portato lo scalo a diventare un “malato terminale”, il quale si sa bene, non avrà vita lunga. Ma nulla è completamente perduto dal momento che il maestro d’ascia Michele Cappelluti è ancora qui, insieme a suo genero, alla veneranda età di 80 anni, sono le pietre miliari della lunga storia della fabbricazione delle barche. Professionisti ancora disposti a disegnare, misurare i garbi (termine tecnico per indicare gli angoli dell’imbarcazione) e a stare piegati ore ed ore sulle ginocchia ormai stanche pur di inseguire la loro passione, di dimostrare loro presenza, di rendere immortale la propria arte. Il mestiere del maestro d’ascia, a metà strada tra artigiano ed artista, è affascinante: le mani sapienti del maestro modellano la materia prima del legno che non ha più segreti, frastagliate da calli causati dal duro lavoro, intrise del profumo di resina legnosa. L’invito è uno solo: tuffiamoci nelle pagine del libro di Tommaso Gaudio, immergiamoci nelle storie dei maestri d’ascia e delle barche, nuotiamo tra storia e tradizione locale e “naufraghiamo dolcemente” in un mare di storie di uomini della nostra beneamata città. © Riproduzione riservata