Le voci della notte
Il racconto
Torna sulle pagine di “Quindici” un'autrice dalla spiccata sensibilità e dalla non comune capacità di trasmettere emozioni, Marisa Carabellese, che dedica questo racconto ad Andrea.
Marisa torna con un racconto che dà i brividi ma, al contempo, rasserena perché il Grande Passo lascerà nella nostra realtà porte aperte a riprova che un 'Oltre' c'è e forse è molto migliore di quello che immaginiamo. (d.a.)
Don Savino sostava sulla porta della Canonica respirando a pieni polmoni l'aria fredda e secca della notte. Il buio totale dava alle stelle, uno splendore mai visto prima.
Il piccolo agglomerato di case, ai piedi della collina su cui sorgeva la Chiesa, era anch'esso immerso nel buio. Forse osservando attentamente sarebbe stato possibile scorgere la luce di una candela dietro i vetri o il riverbero di un camino. Una frana aveva danneggiato il giorno prima i fili dell'alta tensione e anche i fedeli più volenterosi avrebbero avuto serie difficoltà a recarsi alla Messa di Mezzanotte. Le comunicazioni telefoniche si erano interrotte alcune ore prima. Don Savino aveva fatto in tempo ad assicurare chi gli aveva telefonato, anche dalla città vicina, di non preoccuparsi, non aveva bisogno di nulla. Qualcuno gli aveva chiesto se non avesse paura di restare così isolato, al buio, anche se tutti sapevano che Don Savino era un tipo coraggioso. Un sorriso aveva illuminato la sua larga faccia dai lineamenti pesanti, caratterizzata dagli occhi piccoli ma vivi, appesantiti da borse evidenti, e dal naso schiacciato da pugile, e non in senso metaforico perché in realtà fra i tanti mestieri aveva fatto anche quello, prima di diventare prete. La sua era stata una vocazione improvvisa e tardiva.
“Cosa può capitarmi? – aveva risposto scrollando le spalle, dall'alto del suo metro e novanta di altezza – Non penso proprio di aver nemici e qui non c'è niente da rubare. Dirò la Messa a mezzanotte e andrò a dormire”. In effetti la Canonica – una stanza con un ripostiglio e i servizi essenziali, - era di una povertà francescana.
Mancava poco ormai alla mezzanotte quando cominciò a sentirli di nuovo: fruscii, sibili, come un leggero alitare di vento, mentre non si muoveva una foglia. Erano un po' di giorni che questo si ripeteva. Aveva messo nelle notti scorse un paio di scodelle d'acqua per terra e la mattina le aveva ritrovate vuote. Aveva pensato a piccoli animali, ma non c'erano orme o impronte sul terreno. Don Savino aveva comunque un bastone a portata di mano: era coraggioso ma non temerario.. Alcuni alberi circondavano lo spiazzo formando un boschetto e fra i rami sentiva che c'erano movimenti furtivi e ininterrotti ma era troppo buio per distinguere qualcosa. Don Savino era troppo umile per pensare a degli Angeli, che non sarebbero mai venuti da un peccatore come lui, e non pensava neanche a Creature da altri mondi. Era un'anima semplice ma non era uno sprovveduto. Quasi mezzanotte: entrò in Chiesa e nonostante il freddo, con un impulso improvviso, lasciò la porta spalancata. Accese le candele sull'altare, quelle che circondavano il piccolo Presepe le aveva lasciate ardere a diradare il buio.. com'era bella così la sua Chiesa, alla luce calda e tremula delle candele! Ancora d'impulso si rivolse al Signore nel tabernacolo:
“Non c'è nessuno stanotte, siamo soli, Signore. Ti prego, lasciami dire la Messa di Natale in latino!” Gliene era rimasta una inconfessata nostalgia, pur accettando e condividendo le ragioni del Concilio per la celebrazione della Messa in italiano.
“Introibo ad altare Dei – intonò con la sua voce profonda – Ad Deum, qui laetificat iuventutem meam”, rispose a sé stesso. Il cuore gli balzò nel petto con un moto di gioia.“A Dio, che allieta la mia giovinezza”. Ai piedi dell'altare si sentiva e si sarebbe sentito sempre giovane.
“Quia tu es, Deus, fortitudo mea... Perchè tu sei, o Dio, la mia forza”.
Mai si era sentito così forte e sicuro, neanche quando negli incontri di box si rendeva conto che ormai l'avversario era alle strette.
“Emitte lucem tuam…” le candele brillavano con una luce chiara, come di aurora. Continuava a fare da celebrante e da chierico.
“Confiteor Deo omnipotenti…” la luce sembrò attenuarsi.
“Domine, exaudi orationem meam.” “Et clamor meus, ad te veniat” “e il mio grido giunga fino a Te”.. La luce andava gradualmente abbassandosi e al Kirie eleison (Signore, pietà) i toni viola e azzurri predominavano. Poi, pian piano, tornarono i colori giallo e oro, i rossi, gli ocra, e al Gloria vi fu una esplosione di luce. Le candele brillavano come cento, mille candele.
“Dominus vobiscum” – Il Signore sia con voi – disse rivolgendosi alle panche vuote e seppe che non era solo. Forse le forme vaghe che gli sembrava di vedere erano solo il riverbero della luce, o le lacrime che annebbiavano i suoi occhi, ma non gli importava. Non gli importava da quale lontana regione siderale fossero arrivati, ma sapeva che erano lì. Non aveva alcun timore. Aveva sempre pensato che se fossero giunte da altri pianeti non avrebbero potuto essere che Creature prive di male. Una volta, parlando con uno dei giovani che venivano ogni tanto a trovarlo e che gli aveva chiesto come la metteva con la faccenda dell'Incarnazione e della Redenzione se ci fossero stati abitanti di altri pianeti, aveva risposto con la sua tranquilla semplicità che se il male e il peccato fossero stati anche lì niente impediva a Cristo di essersi incarnato anche per loro, se fossero state creature prive di peccato non avrebbero avuto bisogno di essere redente.
“Il popolo che abitava nelle tenebre vide una gran luce…” erano le parole di Isaia.
Poi Don Savino lesse il vangelo:
“… Maria diede alla luce il suo figlio primogenito… c'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano nella notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce… e subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”.
“…e pace a tutte le Creature della notte, da qualunque luogo provengano”, aggiunse Don Savino.
“Lavabo inter innocentes manus meas… Laverò fra gli innocenti le mie mani… ut audiam vocem laudis et enarrem universa mirabilia tua… affinchè oda il cantico di lode e per narrare tutte le tue meraviglie” Le candele brillavano ora di una luce ferma e bianca.
“Sanctus, Sanctus, Sanctus… pleni sunt caeli et terra gloria tua”. Sì, i cieli e la terra erano pieni della sua gloria. La notte era fonda fuori della Chiesa che splendeva sulla collina, e fra il buio della terra e del cielo sembrava un'astronave sospesa nello spazio.
I pochi vecchi che avevano aspettato la mezzanotte erano già a letto. Qualcuno che non riusciva a dormire o che si alzò per una necessità corporale, guardando fuori della finestra vide lo spettacolo: guardò, sorrise, si segnò e tornò a dormire... Era gente semplice, e la gente semplice accetta i prodigi senza troppo stupore.
Don Savino alzò la Particola per la Consacrazione. L'Ostia nelle sue mani sembrava una piccola luna e inondava l'altare della sua luce bianca. Mentre scandiva le parole che tante volte aveva pronunciato fu come se fosse attirato fuori dalla Chiesa. Per un tempo che gli sembrò lunghissimo fu come se vedesse la terra dall'alto: vide tutto l'orrore che l'uomo vi può seminare, vide l'esodo di interi popoli, vide guerre assurde e carestie e fame e il flagello dell'Aids e i bambini soldato costretti ad uccidere, e i bambini lasciati morire perchè privi di farmaci del valore di poche lire, e quelli schiavizzati, sfruttati, violentati, e vide i giovani lanciati da oscuri mandanti come semi di morte e di distruzione, e udì il pianto delle madri…e quando il suo cuore sembrò schiantarsi vide disseminate tante piccole luci che erano la giustizia, la concordia, l'amore che muovevano tanti uomini in tutte le latitudini e impedivano al buio di soggiogare la terra e su tutto vide dilagare un oceano di luce e di pace e seppe che le forze del male non avrebbero prevalso.
“Agnus Dei, qui tollis peccata mundi…”, l'Agnello avrebbe ancora una volta riscattato l'uomo.
“Dominus vobiscum” - il Signore sia con voi - “Et cum spiritu tuo”, gli sembrò di sentire.
La Messa volgeva al termine. Fra i banchi aveva la certezza di sentir muovere qualcuno o qualcosa, ancora quei fruscii, quei bisbigli, quei suoni come un lieve alitare di vento. La luce delle candele si attenuava, fuori della porta cominciava a dissiparsi la notte e le stelle stavano scomparendo.
“Ite, missa est” - Andate, la Messa è finita -, disse Don Savino con gli occhi colmi di lacrime, e come si odono le parole in sogno, udì un coro sommesso che scandiva: “Ti rendiamo grazie, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e le hai rivelate agli umili”.
“Amen”, sussurrò Don Savino chiudendo la porta.
Marisa Carabellese