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Le piste ciclabili progettate da noi Ma la velostazione è sovradimensionata
15 ottobre 2019

Molfetta avrà le prime piste ciclabili della sua storia. Nessuno aveva mai pensato, prima del 2013, che una delle opere utili su cui giocarsi il futuro della città fosse questa. Piste ciclabili, prima del 2013, a Molfetta non ce ne sono mai state. E questo è un fatto. Nessuno le ha progettate come “opera pubblica”, ovvero inserendole in qualità di infrastruttura in un Piano delle Opere Pubbliche. Solo l’amministrazione di Guglielmo Minervini disegnò una ciclabile e lavorò sull’importanza della mobilità dolce. Ma erano altri tempi e quella ciclabile era una striscia gialla, che tracciava una carreggiata preferenziale sul lungomare. Oltre un decennio dopo, abbiamo pensato di andare oltre. È vero: l’opera in costruzione in queste settimane è stata cantierata da Tommaso Minervini. Il sindaco ha avuto un grande merito, che gli riconosco: ha contrattato con il Credito Sportivo il mutuo da un milione di euro necessario a realizzare il progetto esecutivo che gli abbiamo lasciato sulla scrivania. Detto questo, non ha fatto altro. Le piste ciclabili sono l’opera-simbolo, insieme al Centro Antiviolenza, della rivoluzione che abbiamo tentato (e che poi si è interrotta) nel 2013: quella che, sulla spinta della città diffusa e della società civile, chiedeva di porre fine alla città megalomane pensata da Antonio Azzollini e dai suoi sodali, per iniziare a costruire una città vivibile, sostenibile e a misura dei bisogni reali dei suoi abitanti. Sul piano simbolico, le ciclabili (“piccola opera” rispetto al Grande Porto, alla Grande Pista d’Atletica, al Grande Digestore Anaerobico, al Grande Canalone della zona industriale etc.) rappresentano l’aspirazione collettiva a vedere soddisfatto il diritto a una Molfetta dove vivere meglio, praticare uno stile di vita positivo e integrare il proprio diritto a muoversi in città con il proprio desiderio di inquinare meno e contribuire allo sviluppo sostenibile del territorio. La progettazione dell’opera ha cinque genitori, a cui deve andare oggi la gratitudine piena non solo mia, come ex sindaca, ma della città. Due sono gli assessori che hanno seguito il progetto, passo dopo passo. Una è Rosalba Gadaleta, ex assessora all’Urbanistica e all’Ambiente. La città la ricorda come una amministratrice inflessibile, qualcuno ha detto “rigida”. Eppure dobbiamo a lei importanti politiche di stampo ecologista che oggi vengono emulate da altre città vicine. Rosalba ha integrato il progetto nella più generale partita della pianificazione della mobilità, che ha visto Molfetta approvare come primo Comune di Puglia il PUMS, Piano Urbano della Mobilità Sostenibile. Uno dei passaggi strategici, insieme al PAES, per attuare in modo razionale, sensato, organico la strategia del Patto dei Sindaci, a cui aderimmo convintamente, occupandoci di insediare politiche di contrasto ai cambiamenti climatici prima dell’ondata green (assolutamente benedetta) che oggi si è allargata e ha acquisito consenso. Impagabile anche il contributo del settore Lavori Pubblici alla definizione del progetto e di un altro assessore, grande appassionato di bicicletta: Giovanni Abbattista, che ha governato con rigore la fase delle conferenze dei servizi, dei permessi, del dialogo tra gli enti diversamente coinvolti nell’iter autorizzativo dell’opera. Alla nostra amministrazione mancò il tempo di arrivare a finanziamento. Si aprì un varco con la progettazione dei FESR in scadenza, ma non riuscimmo a intercettarlo. E la soluzione del mutuo era già in atto su porta a porta e autobus: valutammo di non estenderla, per non gravare sul debito comunale. Per il resto, il progetto è stato ben accompagnato dagli assessori Gadaleta e Abbattista, rappresentanti di qualità – pur diversissimi – di un PD che non c’è più. Va detto, però, che il progetto è stato pensato e portato a rete anche da tecnici che ci hanno creduto, oltre che lavorato. Nella parte finale, è stato decisivo l’apporto di Lazzaro Pappagallo, ex dirigente dei Lavori Pubblici. Ma la maternità di queste ciclabili, dal “concept” alla progettazione di dettaglio, va riconosciuta a due donne molto tenaci. Due architette d’assalto che oggi guidano l’amministrazione di un Comune pugliese bellissimo e complicato come Canosa di Puglia: Sabina Lenoci e Annamaria Gagliardi. È la loro l’idea di un reticolo di ciclabili dedicato ai giovani della città, che attraversa le scuole e le interconnette in logica intermodale, sia a ponente che a levante. Per consentire agli studenti, oltre che a tutti i cittadini, di usare la bicicletta in sicurezza come mezzo di trasporto per raggiungere la scuola. Acquisendone l’abitudine e familiarizzando con la preferenza dell’emissione zero, una preferenza culturale, che se accordata da giovanissimi ha più speranze di farsi stile di vita. C’è questa grande ambizione nell’idea di una rete di ciclabili di questa portata: allineare Molfetta alle altre città green d’Italia e d’Europa e scommettere su una rivoluzione dei costumi collettivi, che abitui il cittadino molfettese non solo al corretto rapporto con la raccolta e la riduzione di produzione dei rifiuti (il porta a porta, le isole ecologiche, etc.), ma anche al progressivo affrancamento dalla dipendenza da automobile o scooter privato e al progressivo affidamento al trasporto pubblico (i nuovi autobus, l’intermodalità ciclabili-stazione) e ai mezzi a impatto zero della mobilità lenta (la bicicletta, il monopattino, i piedibus). Non mi appassiona, quindi, il dibattito sulle carreggiate che si restringono o sulla presenza di alberi a bordo pista che potrebbero far cadere fogliame sul tracciato. Sono questioni tecniche che, ne sono certa, saranno state valutate con attenzione da chi di dovere. Nella consapevolezza che siamo a valle di un percorso amministrativo complesso, fatto di conferenze di servizi, acquisizione di pareri, ricerche sui materiali più adeguati. Quindi è fondamentale che in fase di realizzazione non sia modificato nulla e che la direzione dei lavori sia attenta e rigorosissima. Mi dispiace, questo sì, dell’imperdonabile errore della Grande Velostazione di Piazza Aldo Moro di cui l’Amministrazione ha voluto rendersi protagonista. Una Velostazione chiaramente sovradimensionata rispetto alle reali esigenze della nostra città, che avrebbe avuto bisogno, in quello spazio di ben altro. Ricordo che fino al 2013 lo spazio era privato e di proprietà di Ferrovie e che è stato da noi acquistato nel 2015, per 150mila euro, con la esplicita intenzione di farci un parcheggio pubblico a cielo aperto dedicato ai pendolari, che ogni mattina si misurano col problema di lasciare la macchina in uno spazio di prossimità alla stazione. Spendiamo 450mila euro (cifra esorbitante, per due quinti a carico del Comune) e rinunciamo a 70 posti auto per 200 posti bici. Nella certezza che i primi sarebbero stati utili con massima certezza e che i secondi rischiano di rimanere vacanti in buona parte, a rischio vandalismo. Non si potevano contemperare le due esigenze, come nel nostro progetto, e far convivere i posti auto con una velostazione più limitata, come la Velocity da 50 posti e 200mila euro di Ruvo di Puglia? Mi dispiace anche che il sindaco Tommaso Minervini insista sull’idea di una pista ciclabile tra Molfetta e Giovinazzo, idea pericolosa e sbagliata (come ci insegna il nefasto caso della pista Giovinazzo-Santo Spirito, col suo rosario di gravi incidenti e la storia del sequestro della struttura, piena di opacità). Con grande orgoglio, però, potremo dire che la rivoluzione del 2013 non è passata invano. Lascia un segno duraturo sul futuro della città. Rende Molfetta più simile a come l’abbiamo sempre sognata. E questo ci ricorda, come sempre, che fare politica serve. Che i progetti di cambiamento reale lasciano semi che poi germogliano. E che eravamo nel giusto. Al servizio delle cose utili e belle. Con un unico interesse a guidare il nostro lavoro: quello collettivo. Quello di assicurare qualità urbana e costruire una città più innovativa e più inclusiva per tutti. © Riproduzione riservata

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