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Le infinite sfaccettature di “Norma”
15 dicembre 2017

Dopo averne dato un nutrito assaggio durante la serata di gala dell’ANEB dello scorso giugno, l’Alter Chorus ha offerto al pubblico molfettese un excursus globale sulla composizione più significativa del repertorio operistico di Vincenzo Bellini, Norma, opera lirica in due atti scritta nel 1831 su libretto di Felice Romani, ispirato alla tragedia Norma, ou L’Infanticide di Louis-Alexandre Soumet. Tutto ciò nella forma di un pregevolissimo concerto tenutosi domenica 12 novembre nella parrocchia del Cuore Immacolato di Maria (San Filippo Neri) di Molfetta e voluto dal parroco don Vincenzo Di Palo per sostenere le varie attività pastorali. Un’opera particolarissima e complessa questa del musicista catanese, l’anello di congiunzione tra due stili nati l’uno come reazione all’altro, ossia tra il sobrio e razionale neoclassicismo e l’emotivo ed impetuoso romanticismo. Un lavoro caratterizzato da infiniti contrasti, dunque, che spazia tra il sacro e il profano, tra vicende politiche e tormenti personali, un luogo ricco di antinomie e di armonie dove tutte le contrapposizioni si trasformano in potenti amplessi. E l’abilità geniale di Bellini è stata proprio quella di mettere in risalto tutte queste dicotomie e di denudare la psicologia e le debolezze dei personaggi, mediante un uso estremamente ponderato dell’orchestra, qui nel mero ruolo di accompagnamento della voce. Norma è tuttavia un’opera spesso considerata dal grande pubblico di non facile ascolto, poco scorrevole, ma che nostro caso ha tenuto incollato ai banchi il numeroso pubblico intervenuto, spesso con gli occhi attenti sugli smartphone per seguire il libretto e non perdersi nemmeno una parola di questo profluvio di poesia. E i motivi sono presto detti. Innanzitutto, c’è da premettere che, per i motivi sopra illustrati, gli interpreti di Norma si trovano praticamente soli con loro stessi, spesso spogliati di ogni paramento musicale che possa in un certo qual modo rafforzarli, devono far vivere la voce di vita propria, conferendo un suono speciale per ogni parola. E questo equilibrio perfetto tra dramma e canto si è pienamente realizzato, prima di tutto grazie al ricercato e meticoloso lavoro del direttore Antonio Allegretta, oculato nella scelta del cast e sempre eloquente nel gesto, e grazie all’intelligente e tecnicamente perfetto accompagnamento pianistico di Alessandro Giusto, quest’ultimo capace di respirare insieme agli interpreti nonché di coglierne e nobilitarne l’interpretazione musicale, l’azione scenica e il risvolto psicologico. Il soprano Marilena Gaudio, nel ruolo della protagonista Norma, sacerdotessa dei Druidi, si è confermata come interprete coltissima e sopraffina, capace di ben utilizzare formazione classica, facilità di acuto, controllo del fiato e colore omogeneo come strumenti per uno scavo profondo nella poliedrica psicologia di una donna che è guida religiosa di un popolo (e questo lato è stato ben delineato dalla elegiaca interpretazione di Casta Diva e della cabaletta che ne segue) ma anche amante del proconsole Pollione e madre di due figli avuti da lui (e qui l’istinto materno si è manifestato in tutta la sua drammaticità nel toccante finale Deh! non volerli vittime). Il tenore Nicola Cuocci, grazie ad una pulitissima, acutissima, e brillantissima vocalità, ha saputo dipingere nitidamente un uomo dai bollenti e indomiti spiriti (palesatisi soprattutto nella cabaletta Meco all’altar di Venere) ma che, nel corso della vicenda, riesce a fare chiarezza dentro di sé, arrivando a distinguere l’amore che lo lega da anni a Norma dalle incontrollate pulsioni per la giovane Adalgisa, giovane novizia del tempio di Irminsul. Personaggio quest’ultimo i cui panni sono stati vestiti dal soprano Giulia Calfapietro, la quale, fin dal primo recitativo Sgombra è la sacra selva, grazie al suo timbro caldo e bronzeo, soprattutto nei centrali, nonché a una tecnica ragguardevole, ha tracciato un profilo molto sofferto di una donna che vive l’amore nelle sue intrinseche contraddizioni, che onora i voti fatti al suo dio ma ama anche il suo uomo, tutto ciò attraverso una interpretazione che si pone in esatta antitesi con quella focosa di Pollione resa da Cuocci. Il culmine di questo triangolo amoroso, in cui si fa sintesi dei caratteri di questi personaggi, è dato dal finale primo Adalgisa… Alma, costanza!, duetto tra Norma e Adalgisa, che con l’ingresso di Pollione sfocia nel terzetto Ah! di qual sei tu vittima. Il basso Onofrio Salvemini, grazie ad un suggestivo e graffiante timbro scuro, ha dato vita ad un solenne e ieratico Oroveso, il padre di Norma, facendone emergere il carattere di un guerriero dal passato glorioso. I ruoli corali dei druidi, dei sacerdoti e delle sacerdotesse sono stati invece sostenuti dall’Alter Chorus, sempre intonato in una partitura acuta e spesso poco agevole, disseminata di salti, a cui il coro ha conferito un’aura di austerità e regalità, emersa soprattutto nel primo coro Norma viene, nel letto corale di Casta diva, nel coro maschile Non partì?... Finora è al campo, e nello struggente e soave concertato finale Qual cor tradisti, che ha posto il sigillo ad una serata davvero pregna di arte e di bellezza. © Riproduzione riservata

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